17 settembre -
“Ammettere alla partecipazione dei concorsi pubblici per i servizi di emergenza e urgenza degli enti, i medici che - avendone i requisiti anche non in possesso di specifica specializzazione - hanno operato nelle reti delle cure palliative con contratti di lavoro diversi da quelli di tipo subordinato è un atto di giustizia e di civiltà, a salvaguardia dell’efficienza delle reti per le cure palliative, per continuare a garantire l’assistenza adeguata ai malati terminali, altrimenti a rischio. Prendo atto con favore che la tematica affrontata nella mia interrogazione presentata nel marzo scorso al ministro della Salute sia
, come scrive il governo nella sua risposta che ritengo non esaustiva. Mi auguro, dunque, considerato che si tratta di argomento sensibile per gli operatori quanto per i cittadini e non rinviabile, che l’emendamento che presenterò nel primo provvedimento pertinente possa essere accolto favorevolmente. Il problema, infatti, è che il DPCM del 2 marzo scorso che permette la stabilizzazione di migliaia di lavoratori precari del Servizio sanitario nazionale attraverso procedure concorsuali riservate al personale del comparto sanità e a quello appartenente all'area della dirigenza medica e del ruolo sanitario, prevede l’accesso concorsuale solo ai medici con contratti di lavoro subordinato anche a tempo determinato, escludendo di fatto tutti i medici con contratti di lavoro atipici, flessibili e libero-professionali. Nella mia interrogazione chiedevo, pertanto, un intervento legislativo che sanasse questa situazione e la predisposizione di atti di indirizzo specifici nei confronti delle Regioni". È quanto dichiara in una nota Luigi d’Ambrosio Lettieri (Cor), componente Commissione Sanità del Senato.
"La legge n. 38 del 2010 recante Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore. E uno degli aspetti attuativi della legge è quello previsto dall'articolo 5, che fa riferimento alle reti nazionali e ai profili professionali e di specializzazione specifici. Alcune indagini condotte dalla Federazione cure palliative (FCP) e della Società italiana di cure palliative (SICP) indicano che la metà dei medici palliativisti non possiede neanche una delle specialità indicate dalla legge e un terzo non ha alcuna specialità, pur avendo le competenze necessarie. Concretamente la questione ha trovato soluzione nell'art. 1, comma 425, della legge n. 147 del 2013, dove è disposto che “i medici in servizio presso le reti dedicate alle cure palliative pubbliche o private accreditate, anche se non in possesso di una specializzazione, ma che alla data di entrata in vigore della legge possiedono almeno una esperienza triennale nel campo delle cure palliative, certificata dalla regione di competenza, sono idonei ad operare nelle reti dedicate alle cure palliative pubbliche o private accreditate. Ma l'esclusione dalle procedure concorsuali dei profili professionali richiamati nella legge n. 147 del 2013 solo perché non detentori di contratto di lavoro subordinato, non assicurerebbe l'erogazione di prestazioni di qualità e di alta specializzazione determinando, inoltre, la dispersione di quel bagaglio di conoscenze e competenze acquisito durante gli anni di lavoro accanto ai pazienti assistiti nella rete di cure palliative. Appare dunque indispensabile - ha concluso il senatore - consentire ai medici che per numerosi anni hanno operato, con contratti di lavoro di tipo privatistico, nelle strutture pubbliche e private erogatrici di cure palliative, di proseguire il loro lavoro per garantire assistenza adeguata ai pazienti terminali e preservare il cospicuo patrimonio di competenze professionali acquisito sul campo”.