26 febbraio -
“L’interruzione delle riproduzioni dei visoni è una decisione positiva che va ad accogliere parzialmente le richieste della LAV che da sempre, e a maggiore ragione durante la pandemia di coronavirus e visti i casi di diffusione negli allevamenti che per primi abbiamo denunciato mesi fa, continua a chiedere il divieto permanente dell’allevamento di animali per la produzione di pellicce. Grazie alle nostre pressioni, supportate dalla maggioranza degli italiani, abbiamo risparmiato enormi sofferenze a migliaia di animali, 35.000 solo quest’anno, e continueremo a batterci per fare diventare questo divieto definitivo”.
Così
Simone Pavesi, Responsabile LAV Area Moda Animal Free, commenta l’annuncio del rinnovo fino al 31 dicembre prossimo della sospensione dell’attività di allevamento dei visoni con l’Ordinanza del Ministro della Salute
Roberto Speranza che, emanata nel novembre scorso, sarebbe scaduta fra due giorni.
La decisione, osserva la Lav in una nota, “è stata giustamente assunta come misura precauzionale al fine di evitare ulteriori rischi di diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 tra i visoni allevati per la produzione di pellicce e, quindi, come misura anti-Covid19 a tutela della salute pubblica”.
Nei 6 allevamenti ancora presenti in Italia resteranno dunque i soli riproduttori (indicativamente 7.000 visoni), che non potranno essere utilizzati per l’avvio del nuovo ciclo produttivo. “E’ stato così bloccata, per la prima volta in Italia, la fase degli accoppiamenti prevista nel mese di marzo e che, tra aprile e maggio, avrebbe comportato la nascita di circa 35.000 cuccioli di visone poi destinati ad essere uccisi per diventare pellicce, dopo 8-9 mesi di prigionia nelle minuscole gabbie di rete metallica di questi allevamenti intensivi”, spiega l’associazione a tutela degli animali.
Ad oggi, spiega la Lav, tra gli allevamenti italiani, risultano esserci stati almeno 2 focolai: “Il primo lo scorso anno nell’allevamento di Capralba (Cremona) e che ha comportato l’abbattimento di tutti gli oltre 26.000 visoni (riproduttori compresi), il secondo è stato rilevato a gennaio nell’allevamento di Villa del Conte (PD) e attualmente sotto sequestro per ulteriori accertamenti (nonostante siano già state rilevate positività negli animali sia a test virologici che sierologici). Un allevamento, a Scorzè (Venezia) ha cessato l’attività a gennaio, dunque risultano ancora in attività 6 allevamenti di cui 2 in Lombardia (Calvagese della Riviera, Brescia, e Capergnanica, Cremona), 2 in Emilia Romagna (Galeata in provincia di Forli Cesena e Ravenna), 1 in Veneto (Villa del Conte, Padova), 1 in Abruzzo (Castel di Sangro, L’Aquila)”.
Nei 6 allevamenti dove sono stabulati non meno di 7.000 visoni riproduttori dovranno essere implementate rigorose misure di biosicurezza e sorveglianza diagnostica al fine di evitare l’introduzione del coronavirus e la formazione di serbatoi. “L'attuazione di misure di sorveglianza per gli allevamenti di visoni è estremamente costosa ed è assurdo che il costo dei tamponi ai visoni gravi sulle casse della Sanità Pubblica. Chi alleva visoni per farne pellicce, oltre ad assumersi la responsabilità di non introdurre il coronavirus in questi allevamenti, deve anche farsi carico dei costi per il monitoraggio diagnostico”, osserva Pavesi che precisa: “Continueremo a lottare per allineare l’Italia agli altri Paesi europei che, anche in epoca pre-Covid19, hanno messo al bando questi allevamenti sulla base di motivazioni etiche e scientifiche, viste le palesi gravi privazioni a cui sono sottoposti gli animali”.