L’ospedalità privata nel post-pandemia. Uno sguardo dalla finestra delle Marche
di Claudio Maria Maffei
09 LUG -
Gentile Direttore,
mentre continua su Quotidiano sanità il
Forum sull’ospedale, di fatto sull’Ospedale pubblico, la pubblicazione dei bilanci di esercizio 2020 delle Aziende Sanitarie fornisce l’occasione di una prima riflessione sull’impatto della pandemia sulla produzione dell’ospedalità privata ed in particolare su quella delle Case di Cura Multispecialistiche. La Azienda Sanitaria Unica della Regione Marche (ASUR) fornisce dati di particolare interesse visto che è titolare dei contratti di fornitura di tutte le Case di Cura della Regione. I dati sono desumibili
dall’Allegato E al Bilancio di Esercizio 2020 dell’ASUR.
Nelle Marche le Case di Cura Multispecialistiche sono 9 aggregate in tre Reti d’Impresa, che come noto sono l’escamatage offerto al DM 70 per la sopravvivenza delle piccole Case di Cura, che sono la grande maggioranza delle Case di Cura delle Marche. Infatti, in totale queste Case di Cura assommano tutte assieme a 677 posti letto con tre strutture che non svolgono attività per acuti in regime ordinario e non svolgono attività in emergenza/urgenza, ma solo attività programmate prevalentemente di tipo chirurgico. Queste attività coprono diverse discipline, con una forte presenza della attività ortopedica, chirurgica generale e urologica.
I dati del Bilancio Consuntivo ASUR del 2020 evidenziano in primo luogo lo scarso coinvolgimento di queste strutture nella risposta alla emergenza pandemica. Solo una struttura ha dato un contributo importante, meritorio ed essenziale, mentre la maggioranza delle strutture ha solo genericamente risentito dei limiti imposti alle attività sanitarie dalla pandemia. Nel caso delle strutture pubbliche a gestione diretta l’impatto della pandemia sulle attività programmate è stato invece notevolissimo come del resto documentato dallo stesso bilancio d’esercizio ASUR oltre che dai risultati dello
studio Agenas-MES Sant’Anna sui primi sei mesi del 2000.
Nella produzione delle Case di Cura delle Marche l’impatto negativo della pandemia in termini di valore economico della produzione non c’è stato almeno se si confrontano i dati 2020 con quelli 2019. Per l’attività ambulatoriale l’ASUR ha sostenuto per il 2020 un costo per i residenti pari a 33 milioni di euro, e cioè quasi due milioni in più rispetto al 2019. Per l’attività di ricovero per i residenti marchigiani la produzione è stata invece di 56,23 milioni di euro e cioè 3,576 milioni in più rispetto al 2019. E’ invece diminuita la produzione in mobilità attività sia in regime di ricovero (5,615 milioni in meno) che in regime ambulatoriale (circa un milione in meno).
Si tratta di analisi “grezze” che vanno approfondite, ma che già dimostrano da una parte che le Case di Cura Private rappresentano una riserva di operatività importante che potrebbe essere utilizzata in corso di riemergenze epidemiche, ma dall’altra confermano la natura di “oasi felice” per alcune attività specie di area chirurgica che nelle strutture pubbliche trovano con difficoltà spazio. Non è certo un caso che in situazioni come queste la fuga verso il privato di professionisti sia nelle Marche così alto, come documentato dallo
studio ANAAO che evidenzia come con il suo 6,6% le Marche siano state nel 2019 la Regione con il più alto tasso di cessazioni volontarie tra i medici pubblici, percentuale aumentata di 2,5 volte nel 2019 rispetto al 2010.
Dell’esistenza di questi due mondi all’interno del SSN (ospedali a gestione diretta e ospedali a gestione privata contrattualizzati) occorre prendere atto, valutarne rischi ed opportunità e deciderne una diversa regolamentazione a partire da una revisione del DM 70. Questo consente infatti alle strutture ospedaliere private ciò che non è consentito alle pubbliche: operare anche con piccole dimensioni nei centri urbani, svolgere solo attività programmate e selezionate, avere massima elasticità sia nei modelli organizzativi che nelle procedure di acquisizione dei professionisti. In termini pratici, ad esempio, un chirurgo in una struttura privata può fare solo la parte “core” della propria attività di specialista, non fare “guardie” e sviluppare al massimo la propria potenzialità operativa magari operando in più strutture anche di più Regioni. Da rifletterci.
I dati del 2020, l’anno terribile della prima e seconda ondata della pandemia, confermano a mio parere in modo molto evidente l’esistenza di questi due mondi. Belle esperienze di integrazione tra pubblico e privato ci sono state, ma si tratta di soluzioni che adesso vanno tolte dalla estemporaneità e messe a sistema. Con regole e soluzioni nuove cui lavorare da subito.
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico Chronic-On
09 luglio 2021
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