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Sulla carenza di medici specialisti si fanno sempre gli stessi errori

di Pierino Di Silverio

07 LUG - Gentile Direttore,
l’ulteriore aumento dei posti messi a bando per l’ingresso alla facoltà di medicina e chirurgia, con i recenti decreti del MUR, è stato accolto con molto entusiasmo. E con pari entusiasmo è stato accolto l’aumento dei numeri dei corsi di laurea (nove). Il tutto si inserisce in un già frastagliato e ipertrofico girone di corsi di specializzazione e mini lauree che non fanno altro che disordinare un sistema formativo che avrebbe invece bisogno di logiche organizzative definite.
 
Questi i numeri: da 13.072 dello scorso anno a 14.020 con un incremento netto del 7% in un anno e del 21% in due anni. Al contempo aumentano anche le borse di specializzazione che arrivano a 13.070.
 
Nonostante lo sforzo compiuto per risolvere l’oramai annoso problema dell’imbuto formativo e della carenza di medici, ripetutamente denunciato da Anaao Assomed, a quanto pare però non sono stati presi in alcuna considerazione gli studi effettuati sull’argomento.
 
Si continua infatti a ritenere che a mancare siano i medici neolaureati e a confondere la carenza di specialisti con la carenza di medici, associando erroneamente l’imbuto formativo, proprio di chi è già laureato ma stenta a trovare spazio in specializzazioni consone alla propria vocazione, agli studenti di medicina.
 
Il risultato di questo equivoco è la creazione di sei nuove facoltà di medicina e chirurgia con un ulteriore aumento dei posti di ammissione al primo anno del corso di laurea in medicina con il rischio che, se non dovessero essere confermate le circa 14.000 borse di specializzazione previste per questo anno accademico, anche per i prossimi anni ci sarà un nuovo corto circuito tra medici laureati e medici che devono entrare in specializzazione foraggiando di fatto lavori low-cost, e predominanza di medici non formati, prodotto grezzo che inevitabilmente andrà via dal nostro paese in cerca di una formazione migliore.
 
Non va sottovalutato, inoltre, che la gobba pensionistica, a partire dal 2025, vedrà una naturale decrescita del numero dei pensionamenti, posto che il sistema sanitario nel frattempo resti immutato nella sua organizzazione.
 
Ci sono voluti dieci anni per far comprendere ai governi multicolori che si sono alternati alla guida del nostro paese, che esisteva una carenza di medici specialisti dovuta principalmente ad assenza di investimenti e deficit di programmazione sanitaria.
 
Oggi, dopo aver vissuto una pandemia letale per un sistema sanitario già fortemente compromesso, ci ritroviamo a dover riprendere una discussione che sembrava chiarita.
 
Lo ribadiamo: basterebbe programmare i fabbisogni in base alle richieste delle Regioni che, ancora una volta sono arrivate frastagliate e non corrispondenti alle reali esigenze del territorio (basti pensare che le stesse avevano richiesto un aumento di posti a medicina che arrivasse a 14.322).
 
È necessario fare chiarezza sul tipo di sanità che immaginiamo tra sei anni, sul tipo di cure che vogliamo assicurare ai cittadini, e di specialisti necessari per rispondere alle patologie più frequenti.
Dispiace e rammarica, ma soprattutto preoccupa che non si sia ancora provveduto a effettuare analisi o studi su come il COVID abbia mutato radicalmente la richiesta di cure dei cittadini prima di operare scelte politiche drastiche e pericolose per l’intero sistema.
 
Tra liste d’attesa lunghe anni e peggiorate dalla pandemia, cure e prestazioni rinviate, patologie croniche, patologie tumorali aggravate, patologie semplici complicate, iniziano a sorgere patologie di nuova gestione che richiederanno interventi non solo sul territorio, che sembra essere preminente destinazione di investimento dei fondi del Pnrr, ma anche e soprattutto su una riorganizzazione tout court delle cure.
Si continua a pensare erroneamente alla sanità territoriale e a quella ospedaliera come a sanità diverse quando invece la reale necessità emersa dopo la pandemia è quella di considerare la presa in carico del paziente come unicum.
 
Le crisi economiche hanno per troppo tempo distratto la concentrazione dall’esigenza primaria del Paese: garantire le cure e il diritto alla salute dei cittadini.
 
Il COVID ha anche evidenziato il fallimento del modello aziendalistico in sanità, presentando un conto assai alto del disastroso modello formativo e organizzativo della nostra sanità, distrutta da decreti tenaglia, tagli lineari, assenza di investimenti.
 
Riteniamo imprescindibile, pertanto, un’immediata revisione dell’accesso a medicina sia nei contenuti (i test oggi preordinati senza testi di riferimento su cui studiare, basati su logiche psicologiche che poco hanno di attinente con il diventare medico), sia nei numeri, conferendo allo specializzando la dignità e la legittimità di essere medico, con i diritti, i doveri, le tutele e le prospettive di carriera e di occupazione che merita.
 
Noi continueremo a denunciare, a studiare (anche se dovrebbe farlo il Governo), a lottare perché ogni decisione destinata a minare il nostro sistema sanitario non passi sotto silenzio, impunita e magari anche accolta con manifestazioni di sollievo e di vittoria.
 
Chiediamo ai decisori politici di soffermarsi sulle richieste della categoria, interprete non solo di legittimi interessi ma anche delle esigenze dei pazienti che dalle corsie degli ospedali chiedono di poter essere curati nei tempi giusti.
 
Non basta essere medico per poter curare. Occorre un luogo sicuro dove poterlo fare.
 
Pierino Di Silverio
Responsabile Nazionale Anaao Giovani

07 luglio 2021
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