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Pandemia e fragilità psichica: tra epiloghi prevedibili e paradossali

di Gemma Brandi

15 MAR - Gentile Direttore,
la pandemia ha comportato la fragilizzazione di molti che riuscivano a cavarsela, magari correndo sul limite di un cedimento del terreno psichico, e ovviamente ha accentuato la fragilità di altri. Questo si deve anche a una gestione approssimativa, supponente, disorientante, intempestiva della comunicazione. Si dirà che si era impreparati.
 
Non si può però negare che si sia continuato ad esserlo anche a una grande distanza dalla esplosione del caso. Quelle fatue e irate rassicurazioni dei virologi all’inizio del diffondersi della Covid-19, al pari degli allarmismi isterici e delle promesse di una rapida regressione delle limitazioni, il tutto all’insegna di una intuibile tendenza a raccontare storie, non hanno consentito, a chi aveva scarsi strumenti critici e una parziale fiducia nelle proprie interpretazioni, di costruire gli anticorpi necessari per affrontare la lunga ondata gelida che ha paralizzato in larga misura la vita sociale. Sapere comunicare a tutti, con semplicità, l’incertezza e insieme la volontà di comprendere, le difficoltà e insieme la volontà di superarle, i cambiamenti e insieme le strategie di adattamento, sarebbe stato assai meno rischioso in termini di fragilizzazione.
 
Gli esperti di Salute Mentale ben sanno quanto sia importante non incorrere in ipocrisie, non perdere l’attimo, promettere solo quanto si può mantenere, ampliare i margini della lucidità altrui, anziché ridurli. Forse si sarebbe dovuto sfruttare una simile esperienza nel rivolgersi alla popolazione, anziché ricorrere a grand commis d’etat.
 
Vorrei però non trascurare i soggetti più sofferenti. Cosa è accaduto a queste frange maggiormente ferite della cittadinanza? Paradossalmente, in una situazione nella quale ci si sarebbe potuti attendere il contrario, costoro hanno retto il colpo. In verità, chi ha esperienza di cura di tali cittadini, sa bene come la loro tolleranza possa essere insospettatamente elevatissima, purché l’impedimento sia reale e non millantato, purché sia fatto il possibile per dare loro una mano.
 
Si tratta di individui che mediamente non pretendono l’impossibile, o per meglio dire che non pretendono. Sono le stesse persone che potrebbero scagliarsi in malo modo contro chi tende a ingannarne la loro buona fede, la loro ingenuità. Ecco l’ingenuità che li caratterizza, e la sensibilità, queste non vanno tradite. Per il resto ogni ostacolo non sembrerà insuperabile proprio a chi parrebbe affetto da limiti insormontabili.
 
A proposito del possibile da mettere in campo, si sarebbe dovuto/si dovrà fare di più, molto di più per colmare la scarsa alfabetizzazione informatica, degli operatori e degli stessi malati, in materia di contatti da remoto, di nuovi strumenti di vicinanza e persino di autoaiuto. Tutti gli addetti alla assistenza e i suoi destinatari, sarebbe stato il caso che ricevessero dispositivi e formazione adeguati per affrontare il distanziamento rimanendo vicini, addirittura più vicini di prima.
 
Seguire un soggetto sofferente durante la sua colazione e quindi garantirsi che assuma la terapia che un tempo gli portavamo a domicilio, e poi ricollegarsi con lui nell’arco della giornata, avendo scambi lunghi e frequenti nei momenti di crisi, imparare insomma a restare vicini pur essendo lontani, ecco un percorso mai neppure preso in esame. Non avere sfruttato a sufficienza l’occasione configura un doppio peccato: essere stati incapaci di colmare il gap assistenziale da lockdown e non avere valorizzato strategie di vicinanza, destinate anche in futuro a rendere i Servizi meno altrove che mai.
 
Non si è, inoltre, approfittato del mal comune che ci ha resi tutti un po’ meno supposti forti, creando un ponte insperato tra chi viene definito fragile e chi abita il mondo della maggioranza autosufficiente. Ponti preziosi per un futuro di avvicinamento tra categorie separate da miti condivisi che suddividono gli abitanti del pianeta in esseri più o meno partecipi, e di conseguenza più o meno rispettabili.
 
Eppure è lapalissiano l’arcobaleno che, ad esempio, avrebbe collegato, sempre paradossalmente, il mondo carcerario al confinamento coatto in cui tutti ci siamo trovati a vivere. Tra le mie fantasie da lockdown c’è stata quella di commissionare ai detenuti un piccolo vademecum dell’uomo confinato, che sarebbe stato di aiuto a tutti noi impreparati a una situazione nuova, per adattarci meglio a questa. Adattamento, oh rara avis!
 
E allora forza, sursum corda e diamoci da fare nelle direzioni indicate e in altre ancora, colmiamo infine queste falle, smettiamo di pensare che prospettive sedicenti politicamente alte abbiano la meglio su un affaccendamento tutt’altro che a vuoto per individuare i problemi e risolverli, per sostenere le istituzioni, purché davvero queste siano problem solvers e non pronte a ripararsi dietro un formalismo vile, ad arroccarsi all’interno di una autoreferenzialità stupida, a rifuggire più che evidenti responsabilità, a sostituire il sentimento fraterno di cui sono espressione costituzionale con una ferocia indifferente, a ostentare una possanza a caro prezzo pagata - nei due sensi che la parola ha - da tutti i cittadini.
 
Gemma Brandi
Psichiatra psicoanalista

Esperta di Salute Mentale applicata al Diritto

15 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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