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Servirebbe uno “sciopero” delle donne contro l’8 marzo

di Ornella Mancin

09 MAR - Gentile Direttore,
se avessi potuto, se come medico donna avessi avuto i mezzi e il potere  per farlo, avrei dichiarato nella sanità  uno sciopero di tutte le mie colleghe contro l’8 marzo o meglio contro la “festa” organizzata da chi tutti i giorni per tutto l’anno ci fa la ”festa”.
 
Uno sciopero simbolico di questo tipo, non  solo avrebbe evitato la retorica insopportabile  nella quale  anche noi donne medico  finiamo ogni anno  con il cadere accettandone la ritualità, usando quindi  l’8 marzo per mettere la solita bandierina e per lavare la coscienza  a qualche organizzazione sindacale , ma  avrebbe avuto il pregio di indicare  delle precise controparti.
 
Le nostre contro parti non sono generiche ma precise e circostanziate, hanno perfino nomi e cognomi, e principalmente sono di due tipi: ordinistiche e sindacali.
 
Cioè le  nostre controparti sono chi ci rappresenta ,  che in nome di una discutibile distribuzione del potere  trasferiscono meccanicamente discriminazioni, ingiustizie, prevaricazione  dalla società alla rappresentanza.
 
Sono francamente stanca di leggere quello che scrivono le mie  colleghe  l’8 marzo e ripropongo  con forza, e se mi permettete anche con sdegno, di contro la loro compiacenza,  il principio di maggioranza come  ideale regolativo  quello descritto da Bobbio.
 
Il principio di maggioranza è adottato da collegi di ogni tipo, non solo per l'elezione di rappresentanti  ma anche per  l'assunzione diretta di decisioni che riguardano la collettività in tutte le sue forme.
 
Sono stanca  come maggioranza  medica di non decidere niente  sulla mia condizione professionale e dì subire delle decisioni da parte di una minoranza medica , sono stanca di essere negata non solo come soggetto professionale  ma come soggetto politico come titolare del più elementare diritto democratico.
 
Sono stanca di mettere in conflitto i voti agli argomenti  vale a dire le volontà delle persone alle politiche che ci rappresentano. Sono stanca di essere surrogata dal pregiudizio.
 
Ma di quale “healt  governance” parliamo se proprio la governance delle nostre professioni dei nostri diritti delle nostre necessità ha la forma tirannica della sopraffazione cioè della negazione del più elementare  principio di maggioranza?
 
Quindi archiviata anche per quest’anno la festa delle donne , si possono congelare tutti i discorsi e i propositi fatti ieri a favore della parità di genere  e conservarli per il prossimo 8 marzo quando ritorneranno buoni per un nuovo rito.
Oggi occupiamoci di “quel che resta del giorno”.
Resta un Paese fortemente maschilistica nell’essenza che considera le donne un fastidio più che  un valore.
 
Ne scrive molto bene Tiziana  Ferrario , una brava giornalista che ha condotto per anni il TG1,  nel suo libro “Uomini: è ora di giocare senza falli” in cui presenta le caratteristiche dell’uomo  che adotta atteggiamenti maschilisti: quando prende la parola una donna ne approfitta per parlare con il vicino  o usa il cellulare, ha sempre qualcosa da spiegare a una donna anche se lei ha più competenza nel campo, non disdegna ricatti e molestie, impone ritmi di lavoro che impedisce alle donne di avere una vita privata, non esita a ridere delle battute sessiste, ritiene la  violenza la misura del suo potere, se deve elogiare una donna dice che “ha le palle”,  candida e sostiene solo donne a lui fedelissime, usa le donne come ornamento,   cerca l’applauso se lava i piatti o cambia il pannolino al figlio….e molte altre che potete leggere nel suo libro.
 
Una cultura così fortemente impregnata di maschilismo genera scelte, come ne abbiamo viste di recente, che non considerano minimamente la parità di genere:
- Il lancio dell’App Immuni (ora defunta) con la vignetta della famigliola stereotipata (la donna con il neonato in braccio e l’uomo che lavora al computer).
- Una Comitato tecnico scientifico per la gestione della pandemia totalmente al maschile (ma non si è detto che il prezzo maggiore di questa pandemia lo stanno pagando le donne?).
 - Partiti  che faticano a trovare la quadra per dare spazio a qualche donna nel governo.
- Governance delle professioni sanitarie quasi completamente al maschile nonostante il riconoscimento di una maggioranza reale femminile.
 
Gli esempi sono tanti e la percezione è che per la nostra società la donna è decisamente brava finché lavora con impegno e dedizione, producendo in genere più dei maschi, ma diventa un fastidio se rivendica ruoli che “tradizionalmente” devono restare in mano agli uomini.
 
Questa convinzione è talmente radicata che in genere la maggior parte degli uomini non ha neanche consapevolezza che esista il problema convinti che l’uguaglianza tra l’uomo e la donna sia già stata raggiunta e vivono con insofferenza qualsiasi rivendicazione di parità di genere nel tentativo neanche troppo velato di non dover dividere “il potere” (per il quale la spartizione è già difficile) pure con le donne.
 
Cosa serve ricordare come ha fatto il ministro Speranza ieri che il 68% del personale sanitario è donna  se poi  nel ripristinare la didattica a distanza non se ne tiene conto? O cosa serve stracciarsi le vesti perché nascono pochi figli quando non si fa nulla per agevolare il lavoro delle donne e renderlo più flessibile?
 
Alle parole devono seguire i fatti e i fatti devono garantire parità di condizioni tra i generi come ha ben detto il presidente Draghi; significa riconoscere alla donna, con le sue specificità,” la stessa identica dignità che ognuno riconosce a se stesso, con eguali capacità, con eguali diritti”  come ha ben detto ieri il Presidente Mattarella, ricordandoci che “rispettare e ascoltare le donne vuol dire lavorare per rendere migliore la nostra società”.
 
Mi piacerebbe che in sanità si cominciasse a lavorare in questo senso e non a considerare le donne come quelle che vogliono “erodere” potere agli uomini.
 
Ben presto avremmo il banco di prova delle elezioni della Fnomceo , vedremo se avremmo anche qui la nostra rivoluzione “rock” come  a Sanremo , come ha ben scritto ieri il professor Cavicchi nel suo blog su Il Fatto (La vittoria dei Maneskin è un messaggio politico: ora anche la sanità deve diventare rock, dove il rock è descritto come  “metafora di una intera nuova generazione di rompere le regole in nome di una nuova voglia di libertà”)  o se tutto resterà immutato.
 
Attendo con curiosità e speranza.
 
Ornella Mancin
Medico di medicina generale

09 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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