Suicidio assistito. Il paternalismo dei medici
di Giuseppe R. Gristina
21 OTT -
Gentile Direttore,
Vorrei condividere alcune considerazioni in merito ai contenuti del convegno nazionale sul suicidio assistito organizzato dall’OMCeO di Parma, sintetizzati in un
comunicato stampa FNOMCeO, ripreso da
QS e da
alcuni quotidiani. Rispetto al
comunicato del 25 settembre scorso non sembra siano emerse rilevanti novità nella riflessione riguardo ai problemi, molto concreti, che la
sentenza della Corte costituzionale ha posto ai medici.
Nel comunicato stampa la FNOMCeO dichiara:
“il medico ha per missione quella di combattere le malattie, tutelare la vita e alleviare le sofferenze. Quello del suicidio assistito è quindi un processo estraneo a questo impegno”.
Che l’assistenza al suicidio sia o no una procedura estranea all’impegno del medico dipenderà dalla sua impostazione morale e dall’approccio etico alla professione e alla relazione di cura che gli sarà proprio.
La posizione morale adottata da FNOMCeO, rigidamente ancorata al Codice deontologico, certamente condivisa da molti colleghi, giustifica l’estraneità del medico alla procedura.
Altri colleghi fondano invece il loro approccio etico alla persona malata sul presupposto secondo il quale il principio di beneficienza (fare il bene della persona malata) si realizza attraverso il rispetto del principio di autonomia (diritto della persona malata all’autodeterminazione). Proprio perché è compito del medico alleviare le sofferenze, l’assistenza a un malato che ha deciso di rinunciare alla vita perché la malattia gli ha tolto dignità, speranza e fiducia, rappresenta l’ultima cura che un medico può prestare.
Si tratta di due modi di interpretare il ruolo del medico che convivono da sempre, dipendendo dai diversi approcci culturali, dall’appartenenza o meno a un credo religioso, dalle diverse visioni del mondo.
Queste considerazioni sull’etica medica potranno anche sembrare elucubrazioni teoriche ad alcuni, ma hanno invece ricadute concrete.
In una società che è multiculturale e pluralista, le due visioni della professione dovrebbero poter convivere, essendo compito degli Ordini quello di farsi garanti di entrambe le posizioni morali, non di schierarsi per l’una o per l’altra.
Sul tema del suicidio assistito, la preoccupazione della FNOMCeO dovrebbe essere quella di non generare una frattura nella professione. L’unico modo per farlo è ammettere che per i medici l’alleanza terapeutica è inquadrabile in una prospettiva plurale di valori e che la Federazione si fa garante di questa pluralità, rispondendo così anche alle differenti posizioni che in merito al tema del fine-vita esistono già nella società.
Sarebbe auspicabile che la FNOMCeO organizzasse allora una survey per verificare come questa diversità di posizioni tra i medici si articola, permettendo a questi ultimi di conoscere i loro stessi orientamenti, alla popolazione come si sviluppa il pensiero dei medici, al legislatore di interpretare la funzione dei medici come una presenza attiva, collaborativa, non autoescludente come invece sembra che la FNOMCeO voglia fare a tutt’oggi.
Il comunicato FNOMCeO prosegue poi:
“un compito [quello del medico n.d.r.]
ricco di un’esperienza millenaria ma anche moderna poiché incarna nell’agire professionale i principi della Costituzione”.
Ricordo qui che la Corte considera (
ordinanza 207/2018 punto 9) costituzionalmente garantito il diritto del malato di interrompere la propria vita, che si materializza ogniqualvolta sussista uno stato di malattia contraddistinto da definite caratteristiche (
ordinanza 207/2018 punto 8).
Sarebbe allora auspicabile che i medici non si dichiarassero estranei alle funzioni di difesa e garanzia della persona malata che esige questo diritto, ma che fosse semplicemente garantito loro di appellarsi all’obiezione di coscienza. Così, gli Ordini svolgerebbero al contempo la loro funzione di protezione nei confronti delle persone malate e di imparzialità nei confronti dei medici, permettendo a quelli di loro che sono disponibili di tutelare, senza correre il rischio di essere sanzionati, quei diritti considerati dalla Corte suscettibili di protezione sulla base della Costituzione. In questo modo, si manterrebbe il Codice deontologico all’interno dei confini costituzionali, conservando integra la sua rilevanza giurisprudenziale e normativa che altrimenti, stanti i complessi rapporti tra diritto e deontologia, sarebbe significativamente depotenziata a tutto svantaggio degli stessi medici.
In ultimo, il Presidente della Consulta Deontologica FNOMCeO ha affermato:
“Per il medico restano validi e ineludibili, i principi del Codice Deontologico, che impediscono al medico di effettuare o favorire atti finalizzati a provocare la morte del paziente”.
È evidente il riferimento all’art. 17 del Codice Deontologico.
Bisogna allora sottolineare che, a seguito della sentenza della Corte, l’art. 580 del c.p. non dovrà essere abolito – “…
vanno con fermezza preclusi tutti i possibili abusi …” (
ordinanza 207/2018 punto 10) – ma rivisto alla luce dei contenuti di quella sentenza.
Allo stesso modo, proprio a garanzia delle persone rese fragili e vulnerabili dalla malattia e dei medici che considerassero coerente l’assistenza al suicidio con la propria scala valoriale, potrebbe prevedersi il mantenimento dell’art. 17, esplicitando la sua non applicabilità ove ricorressero le esimenti previste dalla Corte per l’art. 580 c.p. Giova ricordare che una soluzione simile è stata già adottata con il testo dell’art. 43 del Codice deontologico dopo l’entrata in vigore della legge 194/1978.
Si ricostruirebbe così una coerente, armonica e efficace relazione tra il Codice deontologico e le altre fonti del diritto.
Mentre si attendono le motivazioni della sentenza della Corte, è importante considerare che essa ha posto la professione medica di fronte a un bivio cruciale che non lascia spazio a scorciatoie.
Sostenere come alcuni relatori del convegno di Parma hanno fatto che
“se il suicidio assistito diventa un diritto della collettività, allora sia un diritto socialmente assistito e non medicalmente assistito”è come dire che i medici tornano a riservarsi il diritto di definire la qualità e la quantità della sofferenza e scegliere se e quando porvi rimedio. Non una scorciatoia allora, ma una restaurazione del più ortodosso paternalismo.
Giuseppe R. Gristina
Medico, anestesista rianimatore
21 ottobre 2019
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