Fine vita. Serve un impegno concreto per rendere la dignità nella malattia un diritto di tutti
di Raffaella Pannuti (Presidente ANT)
05 GEN -
Gentile Direttore,
nei giorni scorsi ho letto con interesse e angoscia la
lettera di Marcella Gostinelli che raccontava la dolorosa esperienza della morte di un amico, paziente oncologico in un reparto ospedaliero, il giorno di Natale. Una testimonianza toccante e simile alle tante che raccolgo ogni giorno, in ogni parte d’Italia, dalle persone che vengono a contatto con la malattia. Ho l’onore infatti di presiedere Fondazione ANT, realtà non profit che da quarant’anni porta gratuitamente cure mediche e specialistiche a casa dei malati di tumore in fase avanzata e avanzatissima.
Lotto quotidianamente con amministrazioni indifferenti, lavorando per far capire loro che servono modelli diversi per assistere questo tipo di paziente e dare supporto alle famiglie. Questo succede purtroppo anche in Toscana, da dove Gostinelli scrive: a Firenze, ANT assiste gratuitamente 800 persone all’anno a casa grazie a un’équipe medico sanitaria che lavora sostenuta da donazioni di aziende e privati cittadini. Tutto questo senza che il servizio sanitario regionale sia interessato a sostenere e a integrare un modello che assicura la permanenza a casa nel 70% dei casi fino all’ultimo giorno (contro una media nazionale che si aggira al 30%) garantendo un’assistenza medica, infermieristica e psicologica per il malato e la sua famiglia.
Il nostro percorso nell’assistenza domiciliare è cominciato 40 anni fa esatti grazie al professor Franco Pannuti, oncologo e primario della Divisione di oncologia dell’Ospedale Malpighi di Bologna dal 1972 al 1997. ANT è cresciuta attorno alla sua visione di una sanità a misura d’uomo, dove anche gli ultimi, i morenti, potessero avere una dignità e non fossero lasciati soli: dal primo malato assistito all’epoca, oggi ANT ha portato gratuitamente cure mediche e specialistiche a casa di 125.000 persone, 10.000 all’anno, in dieci regioni italiane.
Un risultato straordinario contro ogni aspettativa. I primi tempi, infatti, l’assistenza domiciliare non sembrava neppure una buona idea, l’ospedale era considerato da tutti l’unico luogo adeguato alla cura dei pazienti oncologici. Ora, anche grazie al lavoro nostro e di altre realtà simili, si è fatto strada un nuovo modello, in cui la casa è diventata il luogo di elezione per curare i malati cronici e l’ospedale si riserva per curare la fase acuta della malattia. Una vera e propria rivoluzione copernicana, nata per rispondere a un bisogno: quello dei malati e dei loro familiari di poter vivere ogni momento in dignità, immersi tra i propri affetti fino all’ultimo giorno, senza corse al pronto soccorso ma con un medico accanto e una persona cara a tenere la mano.
Le associazioni di volontariato nascono per sollecitare il Pubblico su bisogni che ancora non sono stati colti. In questi quarant’anni il messaggio è passato, ma non è ancora abbastanza, le sfide non sono finite: il diritto all’assistenza domiciliare non si mette più in discussione, ma non tutti i cittadini malati cronici sono messi in condizione di esercitare questo diritto. La sfida che ANT affronterà nei prossimi anni è proprio quella di spingere il Pubblico a cercare modelli di assistenza domiciliare che possano garantire la dignità della vita fino all’ultimo respiro. Modelli di alta qualità, sostenibili e universali.
Allora lancio un appello affinché si apra il confronto da subito, con umiltà e collaborazione, tra cittadini e istituzioni perché quella che in ANT chiamiamo Eubiosia - la dignità della vita anche nella malattia - possa in breve diventare un diritto di tutti e non solo di pochi.
Raffaella Pannuti
Presidente Fondazione ANT Italia Onlus
05 gennaio 2018
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