Opg/Rems. Tutti ne parlano, ma pochi hanno le competenze per farlo
di Mario Iannucci
27 FEB -
Gentile Direttore,
le indirizzo alcune note a proposito delle Rems e delle Sezioni Psichiatriche penitenziarie. Un simpatico collega, psichiatra come me e professore associato di psichiatria, usava dire, scherzando, che due mestieri tutti gli italiani sono in grado di fare: il commissario tecnico della nazionale di calcio e lo psichiatra. Questa sembra una battuta, ma corrisponde esattamente alla verità. Specie se si prende in esame quel campo speciale della psichiatria che piace moltissimo alla gente comune e ai media, quello della malattia mentale che si associa alla commissione di gravi reati. Una leccornia per tutti, per i talk show televisivi, per i narcisi di qualsiasi categoria, per i personaggi politici più o meno navigati, per sindacalisti di ogni taglia e di ogni orientamento. Ne parlano tutti e diffusamente, ma con quale competenza?
Quotidiano Sanità del 19/02/17 ci ha messo al corrente di quanto è emerso dal convegno “Dopo il superamento degli Opg. Quali criticità e quali prospettive” , organizzato dalla Commissione igiene e Sanità il 16/02/2017 a Palazzo Madama. Sono ben contento che qualcuno abbia tracciato le coordinate per evitare che si riapra la stagione degli Opg.
Guardiamo allora chi ha trattato questo argomento nel suddetto Convegno. Dei sette relatori intervenuti, soltanto una, la Dr.ssa
Mila Ferri, laureata in medicina e specialista in psichiatria, ha una competenza specifica. Non saprei dire se la collega emiliana abbia mai prestato servizio come medico nelle carceri o negli Opg, occupandosi direttamente della cura dei pazienti in quei luoghi. Di certo ha una documentata competenza di direzione sanitaria in quel settore.
Oltre alla Dr.ssa Ferri però, nel Convegno in questione, non c’era alcun altro medico, alcun altro psichiatra. C’era un laureato in farmacia (l’On. Dr.
Luigi D’Ambrosio Lettieri), un laureato in Fisica (l’On. Dr.
Gennaro Migliore), un laureato in Scienze Politiche (l’On. Dr.
Davide Faraone), una diplomata al liceo classico (l’On.
Emilia Grazia De Biasi), una docente universitaria di Scienza delle Finanze e Economia e politica sanitaria (l’On. Prof.ssa
Nerina Dirindin), un laureato in Scienze Politiche (il Dr.
Franco Corleone, già senatore della Repubblica e ora Commissario unico del Governo per il superamento degli Opg, nonché garante regionale toscano dei diritti dei detenuti) e, infine, un responsabile nazionale della Cgil sanità che non so se sia laureato (
Stefano Cecconi, che si è molto interessato agli Opg e alle Rems, con il Comitato Stop-Opg, per abolirli).
Per carità: i curricula di tutti i Relatori del Convegno certificano la loro massima competenza nel trattare il tema in discussione. Ma si tratta davvero di una competenza clinica diretta, acquisita sul campo, occupandosi della cura delle persone delle cui sorti discutono? Sono certo che si potrebbe ragionevolmente dubitare di questo. Mia nonna Bianca, dalla inguaribile toscanità mugellana, avrebbe parlato di costoro come di quelli che “vogliono cavare i ragni con le mani degli altri”. E i ragni di cui trattiamo sono ragni molto “velenosi”, ai quali nessuno si avvicina volentieri.
Lavoro dal 1979 in ambito carcerario. Ho lavorato nel carcere delle “Murate”, nell’Opg di Montelupo F.no (da dove mi sono allontanato quando ho capito che qualcuno lo stava trasformando in un “orrore indegno di un Paese appena civile”), nei Servizi di Salute Mentale del territorio. Per il Servizio Sanitario Regionale sono Responsabile de ‘Le Querce’, la prima Struttura Residenziale Psichiatrica pubblica per pazienti autori di reati. Sono anche Responsabile della Sezione di Osservazione Psichiatrica della CC di Sollicciano.
Tutti i santi giorni che Iddio manda in terra mi occupo della cura di pazienti psichiatrici autori di reati. Attraverso ‘Le Querce’ sono transitati oltre cento pazienti dal 2001 ad oggi e nessuno di loro, durante il soggiorno in Residenza, ha mai causato gravi problemi di sicurezza sociale. Molti di tali pazienti, a distanza di anni, tornano regolarmente a trovarci. La nostra Residenza è aperta e trasparente: nella Struttura abbiamo volentieri ospitato, nel corso degli anni, Colleghi provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo, con i quali abbiamo volentieri discusso le questioni cliniche che trattiamo.
A ‘Le Querce’ pretendiamo per Regolamento e ricerchiamo attivamente la collaborazione dei Servizi Territoriali. Questi ultimi, anche fra quelli più “democratici”, preferirebbero di gran lunga non occuparsi dei pazienti (taluni molto gravi, non compliant, spesso assai ben conosciuti dagli stessi Servizi) quando commettono dei reati. Molti di questi Servizi preferirebbero di gran lunga che fosse il carcere a occuparsi di simili pazienti: “they are bad, not only mad” , dunque un po’ di sana punizione a simili pazienti tanto male non può fare. Certo: in carcere, asseriscono subito dopo i nostri “democratici” colleghi, è indispensabile che questi pazienti ricevano cure assolutamente analoghe a quelle che riceverebbero all’esterno. Tanto più dopo che persone competenti e illuminate come il Presidente Alessandro Margara, con il DL 230/1999 che è stato seguito da altre norme innovative e opportune, hanno trasferito le competenze assistenziali nei penitenziari ai S.S. Regionali.
Ma cerchiamo di non essere ridicoli: il passaggio dell’assistenza sanitaria nei penitenziari non era riuscito a rendere adeguata la cura dei pazienti psichiatrici negli Opg, strutture dirette da medici del Ssr dopo il 2008, ma ora, per incanto, pretenderemmo di avere subito una assistenza adeguata, per tali pazienti, nelle carceri ordinarie! Che ipocrisia! E’ assolutamente un incompetente, che non conosce il carcere perché non ci lavora e/o non ci ha mai lavorato, colui che pensa che possano essere curati convenientemente, in carcere, gravi pazienti per i quali i Giudici di merito abbiano già disposto, con sentenza o ordinanza, un internamento in Rems, ancorché provvisorio ex art 206 cp.
Nell’ultima Relazione sull’attività svolta dal Commissario Unico per il superamento degli Opg, Dr. Franco Corleone
, prodotta il 19/11/2016, viene riportato che, in quel periodo, gli internati nelle Rems erano 603, mentre quelli con misura di sicurezza decretata ma ancora non eseguita per mancanza di posti erano 241.
Questo significa che il 40% dei pazienti (il 40%!) che debbono essere “ricoverati” nelle Rems, non possono esserlo. Molti di questi pazienti che hanno già decretata una misura sanitaria rimangono invece in custodia in carcere (a mio parere del tutto contra legem: mi piacerebbe sapere cosa deciderà la Cedu al primo ricorso promosso presso quella Corte), alcuni sono ricoverati negli Spdc (talora a norma dell’art. 286 cpp), non pochi se ne stanno all’esterno, nella situazione paradossale di chi, pur essendo stato giudicato così socialmente pericoloso da dover essere sottoposto a una misura di sicurezza detentiva, se ne rimane “in libertà” perché nella Rems non ci sono posti letto. Penso che sarebbe molto civile applicare lo stesso criterio per il carcere: il giudice stabilisce che un soggetto autore di reato debba essere sottoposto alla custodia in carcere, ma nel carcere non c’è posto e, quindi, il soggetto da detenere viene messo in lista di attesa!
Non meraviglia, peraltro, che siano in molti a sostenere che l’esecuzione delle misure di sicurezza provvisorie debba avere luogo in carcere (si tratta peraltro di una contraddizione, in termini strettamente legale). Costoro, infatti, sono tutti fermi sostenitori della necessità di abrogare il cosiddetto “doppio binario” per i pazienti psichiatrici autori di reato. Dalla proposta di legge presentata dal senatore Vinci Grossi del PCI nel 1983, ad altre proposte presentate negli anni dall’On. Corleone e, infine, ai progetti del Comitato Stop-Opg, c’è tutto un filone di pensiero che si ripropone di abrogare gli art. 88, 89 e 95 cp, ponendo fine all’internamento/ricovero dei pazienti psichiatrici autori di reato in strutture di cura, “restituendo ai folli-rei il diritto alla pena”, persino a quella dell’ergastolo.
Anche Gianfranco Rivellini, psichiatra che da anni lavora presso l’Opg/Rems di Castiglione delle Stiviere, osserva che, a proposto delle “Rems, il diritto alla cura non può sottostare ai tempi e all’esito del processo penale” . Mi chiedo fra l’altro, in accordo con Gianfranco Rivellini, come si possa imputare ai Giudici della cognizione o del dibattimento una eccessiva facilità nel decretare l’applicazione delle misure di sicurezza del ricovero nella Rems. Quando un Giudice chiede un accertamento peritale psichiatrico, dichiara ipso facto la sua incompetenza a valutare da solo le questioni che sottopone all’esperto (relative in genere alla imputabilità dell’indagato/imputato, alla sua pericolosità sociale e alla capacità processuale). Se dunque il perito fornisce l’indicazione, dopo avere valutato il periziando, di una totale o parziale infermità di mente e di una pericolosità sociale elevata, tale da richiedere la misura di sicurezza detentiva del ricovero della Rems, non si capisce come il Giudice possa esimersi dall’adottare le misure proposte dall’esperto. Smettiamo quindi di attribuire ai Giudici, che in questo settore già si trovano stretti fra l’uscio e il muro loro malgrado, responsabilità che non hanno.
Parliamo infine dei periti in psichiatria. In proposito Franco Corleone sostiene che “c’è poi un problema con perizie spesso ‘stavaganti e sciatte’: il proscioglimento per incapacità di intendere e di volere va dato con rigore. Per questo credo che i magistrati debbano sempre chiedere un doppio parere”. Diciamo da anni che nelle valutazioni peritali dovrebbero essere coinvolti i Servizi di Salute Mentale pubblici (quelli interessati al caso qualora nella commissione del reato da parte del paziente non possa ravvisarsi una ipotesi di colpa professionale da parte del Servizio stesso). Questo coinvolgimento diviene tanto più indispensabile nella misura in cui le leggi sul superamento degli Opg, in particolare la L. 81/2014, impongono ai Servizi pubblici che curano il paziente l’elaborazione del Piano Terapeutico Riabilitativo Individualizzato (PTRI).
Non pochi colleghi sembrano essere in completo disaccordo rispetto alle disposizioni di legge che (per fortuna a mio avviso) impongono ai Servizi di Salute Mentale (anche penitenziari: si pensi alla Osservazione Psichiatrica) di pronunciarsi sulla imputabilità del paziente autore di reato e di dare indicazioni trattamentali.
Pieritalo Pompili, Giuseppe Nicolò e
Stefano Ferracuti, ad esempio, sul
QS del 2 novembre 2016 hanno scritto un articolo intitolato “Dagli Opg alle Rems. Ma i medici non possono fare i poliziotti” . In detto articolo sostengono che sarebbe sbagliato, per gli psichiatri che hanno in cura un paziente autore di reato (anche gli psichiatri delle Rems o del carcere), esprimere dei pareri medico legali “in ordine, [ad esempio], alla pericolosità sociale attuale del proprio assistito”.
Secondo i colleghi l’espressione di questo parere “non può e non deve essere ammesso in base all’art. 62 del […] Codice Deontologico [Medico]”. Questo, ovviamente, non risponde al vero. Il suddetto art. 62 dice soltanto che il medico curante, “[…] fermi restando gli obblighi di legge, […]non può svolgere funzioni medico-legali di ufficio o di controparte nei casi nei quali sia intervenuto personalmente per ragioni di assistenza o di cura e nel caso in cui intrattenga un rapporto di lavoro dipendente con la struttura sanitaria coinvolta nella controversia giudiziaria”. Il medico curante non può essere incaricato come CT (dal Giudice, dal PM o dalla controparte), ma nulla vieta che sia consulente di parte del paziente nel caso quest’ultimo lo desideri. Nulla vieta (e anzi gli obblighi di legge impongono) agli altri Colleghi del SSM (non direttamente implicati nella cura) di fornire al Giudice, se richiesti, un parere medico legale (come accade, ad esempio, nel caso delle Osservazioni Psichiatriche in carcere). Ovviamente tale parere non potrà riguardare la responsabilità professionale della “struttura sanitaria” cui egli appartiene, qualora tale struttura sia “coinvolta nella controversia giudiziaria”.
Tutti gli psichiatri che svolgono con competenza, con dedizione e con abnegazione il loro lavoro, spesso in condizioni difficilissime e di grave rischio professionale (come accade ad esempio a noi che lavoriamo nelle carceri, a coloro che lavorano nelle Rems o nelle sezioni psichiatriche penitenziarie), sono stufi che ci siano in giro tante persone, spesso del tutto incompetenti ma animate da fortissimi pregiudizi ideologici o da piccoli interessi di campanile, che prendono continuamente la parola per dire loro, spessissimo a sproposito, come comportarsi.
Osserverei un’ultima cosa, ora che si parla molto di responsabilità professionale e di posizione di garanzia: almeno noi psichiatri penitenziari della CC di Firenze, che lavoriamo quotidianamente a contatto con pazienti detenuti, da anni non prendiamo nemmeno una lira in più per farlo. Una indennità penitenziaria viene percepita dagli infermieri, da taluni medici e da altre figure professionali penitenziarie, ma non da noi. La nostra abnegazione, senza dubbio, riguarda anche la totale e inconcepibile noncuranza istituzionale per gli aspetti del nostro rischio professionale. Il burn-out professionale, nel nostro settore, non meraviglia che sia altissimo.
Dr. Mario Iannucci
Resp. della Residenza ‘Le Querce’ e della Osservazione Psichiatrica della CC di Sollicciano
27 febbraio 2017
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