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Osteopati. Il diritto ad essere una professione sanitaria autonoma

di Paola Sciomachen

17 OTT - Gentile Direttore,
il ROI – Registro degli Osteopati d’Italia è da sempre impegnato nella valorizzazione della professione, nella crescita dei professionisti e nella promozione della ricerca. Da oltre due anni segue attivamente il percorso di riconoscimento dell’osteopatia come professione sanitaria ed il processo di  approvazione dell’articolo 4 del Disegno di Legge 1324, ora in discussione alla Camera dei Deputati.
 
Si tratta di un lavoro molto complesso, in cui tutte le parti interessate alla riforma sono chiamate ad esprimersi e a collaborare, avendo cura di tutelare il cittadino, garantire  la qualità del professionista e salvaguardare la professione.

A tal proposito ci sembra meriti un commento l’audizione, dello scorso 10 ottobre, presso la Commissione Affari Sociali della Camera sul Ddl Lorenzin in cui sono stati sollevati alcuni dubbi circa il riconoscimento della professione sanitaria dell’osteopata. Particolarmente delicati sono stati i passaggi sui percorsi formativi dettati dalla norma CEN “Osteopathic Healthcare Provision”. Alla luce di ciò, ci preme fare chiarezza su cosa indichi realmente la normativa, in particolare, circa la formazione e le competenze che l’osteopata deve acquisire per un corretto svolgimento del proprio esercizio.

La norma europea CEN, approvata il 30 aprile 2015, ha inquadrato l’osteopatia come professione sanitaria di contatto primario con competenze di diagnosi osteopatica, gestione e trattamento dei pazienti esclusivamente manuale. Questa norma, formulata e condivisa dagli enti di normazione di 33 Paesi europei, tra cui l’Italia, pur non essendo cogente, è un importante documento di riferimento per la regolamentazione della professione nei singoli Paesi e, là dove è già regolamentata (Gran Bretagna, Finlandia, Belgio, Francia, Austria, Danimarca, Germania e Portogallo), si stanno mettendo in atto revisioni per adeguarsi agli standard richiesti.

Ma veniamo all’aspetto più rilevante della questione: la formazione dell’osteopata. La norma CEN, nel definire il percorso formativo del professionista, identifica due programmi di studi, il “Tipo 1” e il “Tipo 2”per raggiungere le competenze necessarie.

Il programma di “Tipo 1” si articola in 4800 ore, di cui almeno 1000 ore di pratica clinica sotto supervisione, con il rilascio di almeno 240 crediti o ECTS, secondo il sistema europeo di trasferimento dei crediti.
Il programma di “Tipo 2”, rivolto a chi sia già in possesso di una laurea sanitaria, comprende 2000 ore di formazione e 1000 ore di pratica clinica osteopatica supervisionata per  una durata minima complessiva di quattro anni. La durata di questo percorso varia in relazione alla validazione del numero dei crediti già maturati.

Entrambi i percorsi formativi, definiti dalla norma CEN, portano all’acquisizione delle medesime competenze. Ciò significa che a fine percorso gli studenti di "Tipo 2", indipendentemente dalla preesistente formazione, preparazione ed esperienza maturata dalla laurea pregressa, dovranno dimostrare di possedere le medesime competenze osteopatiche pratiche dei laureati dei programmi di “Tipo 1” - comprese quelle moto sensoriali - e di saper applicare i principi osteopatici al trattamento clinico.

Quindi in entrambi i programmi non è previsto un ciclo di studi inferiore ai 4 anni perché non garantirebbe l’apprendimento delle necessarie competenze e abilità essenziali per la corretta condotta professionale dell’osteopata. In particolare per quanto concerne le medical humanities e un corretto sviluppo della palpazione percettiva, abilità distintiva e fondamentale per la diagnosi e la cura osteopatica che richiede tempo, come dimostrano l’esperienza formativa internazionale e gli studi in proposito.

Pertanto, sono proprio le competenze a definire una professione, come emerge dal Decreto Legislativo 13/2013, in cui viene sottolineato il valore delle conoscenze conseguite, in linea con le proprie attitudini, al fine di promuovere la crescita e la valorizzazione del patrimonio culturale e professionale acquisito dalla persona nel suo percorso, garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità.

A sostegno abbiamo la letteratura, le evidenze che dimostrano l’efficacia del trattamento osteopatico e la storia dell’osteopatia che vede negli USA, nel 1897, il primo riconoscimento dell’osteopatia come professione sanitaria autonoma e a seguire in Europa, dove pure è professione autonoma, in quei Paesi in cui è riconosciuta.

Su questi presupposti tecnico-scientifici possiamo affermare con certezza che l’osteopatia è una professione sanitaria autonoma ed è un diritto per gli osteopati italiani richiedere di essere riconosciuti come tali a tutela dei cittadini che si affidano alle loro cure.

Paola Sciomachen
Presidente ROI – Registro degli Osteopati d’Italia


17 ottobre 2016
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