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Suicidio assistito, distinguere “capacità di prendere decisioni libere e consapevoli” e “consenso informato”

di Alessandro A. Negroni

25 SET - Gentile Direttore,
le condizioni stabilite dalla Corte costituzionale nella nota sentenza sul caso Dj Fabo per rendere legittimo l’aiuto al suicidio prestato a una persona che intenda suicidarsi sono notoriamente quattro: “l’aspirante suicida si identifichi […] in una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli” (Corte cost., sentenza n. 242/2019, Considerazioni in diritto, 2.3; e già Corte cost., ordinanza n. 207/2018).

Quello che ritengo sia da sottolineare è che la condizione relativa alla “capacità di prendere decisioni libere e consapevoli” da parte dell’aspirante suicida (e la verifica di essa) non possa e non debba essere identificata con il “consenso informato” di cui alla legge n. 219/2017.

1. Già mantenendosi sul piano dell’interpretazione letterale l’espressione “capacità di prendere decisioni libere e consapevoli” (si intende in relazione alla scelta di suicidarsi) non si identifica con “consenso informato” dell’aspirante suicida (si intende alle modalità di esecuzione del suicidio) di cui alla legge n. 219/2017;


2. la “capacità di prendere decisioni libere e consapevoli” (“A”) alla quale fa riferimento la Corte costituzionale tra le condizioni in argomento si configura certamente come condizione di possibilità del successivo “consenso informato” (“B”), ma sul piano logico per essere tale (ossia per essere condizione di possibilità) la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli non può che essere distinta e autonoma rispetto al consenso informato. In altre parole: se A è condizione di possibilità di B, significa che A non è B in quanto in caso contrario si avrebbe l’assurdo che A è condizione di possibilità di se stesso;

3. è pacifico che un aspirante suicida che in un dato momento abbia la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli e abbia espresso un consenso valido alle modalità di esecuzione del proprio suicidio assistito possa in un secondo momento revocare il consenso senza che ciò implichi il venire meno della sua capacità di prendere decisioni libere e consapevoli;

4. nella declaratoria di incostituzionalità della sentenza n. 242/2019, parte decisiva e determinante dell’intera sentenza, “La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) […] agevola l’esecuzione del proposito di suicidio”. La lettera della declaratoria indica come la Corte esiga espressamente e inequivocabilmente che le modalità previste dalla legge n. 219/2017 (e quindi in particolare il “consenso informato” dell’aspirante suicida) si applichino all’agevolazione dell’esecuzione del suicidio, ma non avverta in questa sede l’esigenza di estendere espressamente le modalità in parola alla verifica della capacità dell’aspirante suicida di prendere decisioni libere e consapevoli, mostrando in tal modo di essere consapevole che il consenso informato (alla concreta esecuzione del suicidio) di cui alla legge n. 219/2017 non sia e non coincida con la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.

La capacità di prendere decisioni libere e consapevoli si configura (anche) nella sentenza della Corte Costituzionale come una capacità generale dell’aspirante suicida, per quanto tale capacità nel contesto in cui si colloca non possa che avere ad oggetto la scelta di fondo di suicidarsi, una scelta che per la Corte deve necessariamente essere maturata in modo autonomo, libero e consapevole per poter rendere non punibile l’aiuto al suicidio.

La verifica da parte del servizio sanitario nazionale della sussistenza di tale capacità (come condizione che rende legittimo l’aiuto al suicidio) appare necessariamente richiedere che l’aspirante suicida sia consapevole di cosa sia il suicidio medicalmente assistito (e il servizio sanitario nazionale dovrà fornirgli le opportune informazioni al riguardo); tuttavia nell’ambito della verifica, dal momento che tale capacità non si identifica con l’espressione del consenso informato, l’aspirante suicida non dovrà necessariamente avere la piena e puntuale conoscenza delle modalità di esecuzione del suicidio stante che tali modalità potranno poi essere oggetto di un distinto consenso informato.

In altre parole, la verifica della capacità (di prendere decisioni libere e consapevoli) può comprendere al suo interno la verifica del consenso informato (alla concreta esecuzione del suicidio) dell’aspirante suicida, ma non necessariamente: il consenso informato allo specifico e imminente trattamento sanitario consistente nell’auto-somministrazione di un farmaco letale può anche essere espresso successivamente alla verifica della capacità, restando sempre compito del servizio sanitario verificare le modalità di esecuzione del suicidio e il consenso informato dell’aspirante suicida.

Resta inteso che la positiva verifica da parte del servizio sanitario nazionale delle quattro condizioni che rendono non punibile l’aiuto al suicidio apre all’aspirante suicida la possibilità di accedere, quando e se lo riterrà, all’esecuzione del suicidio medicalmente assistito, senza configurare ovviamente in capo all’aspirante suicida alcun obbligo di suicidarsi e/o di affrettarsi a individuare un medico che offra il richiesto aiuto al suicidio; e anzi qualsiasi pressione diretta o indiretta sull’aspirante suicida a concretizzare il suo intento suicidario appare eticamente inaccettabile oltre a poter configurare il reato di istigazione al suicidio.

Alessandro A. Negroni
Filosofo del diritto, Università degli Studi di Milano

25 settembre 2024
© Riproduzione riservata

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