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Non viviamo una crisi, ma una policrisi   

di Giuseppe Belleri

25 SET - Gentile Direttore,
Mario Draghi nel suo recente rapporto sulla competitività dell'Unione ha usato toni drammatici ed insolitamente enfatici, lontani dall'aplomb distaccato e razionale del grande banchiere. Il tema sanitario è stato toccato solo in relazione allo sviluppo dell'industria farmaceutica raccogliendo il consenso dell'associazione continentale che raggruppa le principali aziende del settore.

Quello prospettato da Draghi è un futuro a tinte fosche, caratterizzato dal rischio di irreversibile declino economico e industriale, con intuibili riflessi sociali e contraccolpi sui sistemi sanitari, se non verranno adottate le azioni proposte dal piano nel tentativo di rallentare la china su cui sta scivolando l'unione dopo la pandemia.

La sanità è il settore che più ha risentito del lascito pandemico, aggravato dalla guerra e dal riscaldamento climatico, eventi paradigmatici di una policrisi globale, termine coniato alle fine del secolo scorso dal sociologo Morin, secondo il quale nelle crisi i meccanismi a feed-back che solitamente ridimensionano gli squilibri funzionali non solo si rivelano poco efficaci ma addirittura controproducenti, alimentando paradossalmente la crisi.

Il termine policrisi è stato riproposto recentemente dal giornalista Mooze per descrivere l'interdipemdenza tra eventi problematici che «interagiscono tra loro in maniera tale che l’insieme delle parti è più opprimente della loro semplice somma», per cui ogni settore in crisi diventa un fattore di amplificazione per altri aggravando il quadro generale e le difficoltà di governance.

La pandemia ha fatto emergere annosi squilibri latenti nel SSN, che in certa misura attualizzano le previsioni paventate da Draghi per i prossimi anni. La sensazione è quella di trovarsi nel pieno di un turbolento cambio d'epoca, come lo definisce Massimiliano Valerii direttore del Censis, dagli sbocchi imprevedibili sul lungo periodo.

Il cambio d'epoca è culturalmente segnato dal venir meno dell'idea di progresso lineare e socialmente garantito dal welfare, tratto distintivo del trentennio post bellico. Nella società emergono in particolare i segnali di un malessere diffuso caratterizzato da risentimento, rancore e insoddisfazione, per rischi di regressione dovuti agli effetti delle diseguaglianze sociali, della precarietà e dei limiti organizzativi del sistema. L’idea di un progresso socioeconomico inarrestabile, assicurato dalla tecnoscienza e dalla democrazia liberale, è tramontata e in parallelo si è esaurito il senso di una narrazione imperniata sulla promessa di salute totale per tutti, implicita nella generosa ma per certi versi utopica definizione dell'OMS del 1948.

I bisogni indotti e le aspettative alimentate dal sistema mediatico sono disattese da una realtà frustrante per un’offerta pubblica selettiva, aumento dei vincoli burocratici e intollerabili tempi d’attesa, all'origine del clima di risentimento e delegittimazione che si manifesta nelle quotidiane aggressioni verbali, fisiche e “legali” verso gli operatori sanitari, subentrate per la legge del contrappasso all’encomio degli eroi del Covid. L'unico settore che non risente dei contraccolpi pandemici è il marketing sanitario privato, che anzi si espande in proporzione inversa alla carenza di prestazioni pubbliche.

La crisi antropologica della relazione fiduciaria, che ha convertito l'alleanza terapeutica del passato nell'odierna diffidenza pronta alla rivalsa legale, si salda con la sussidiarietà autoreferenziale della privatizzazione di fatto e con la crisi motivazionale dei professionisti, che snobbano le discipline a stretto contatto con la gente – come l’ES e la MG - e quelle incardinate nell'organizzazione senza sbocchi libero-professionali alternativi al pubblico impiego.

Da queste tensioni emerge il profilo di una inestricabile policrisi, al contempo sanitaria, culturale e sociorelazionale post pandemica. Basti pensare al circolo vizioso che si automantiene e assedia il PS tra dimissioni degli operatori stremati da ritmi di lavoro e rischi d’incolumità, concorsi deserti per un problematico ricambio generazionale e cronico sovraffollamento per carenza sia di posti letto ospedalieri che di prestazioni ambulatoriali, fonte di esasperazione e di conflittualità tra assistiti e operatori parafulmine del sistema. O al combinato disposto tra deficit di servizi territoriali e di operatori sanitari nelle aree interne, in crisi per spopolamento e denatalità, che mina la tenuta del sistema fino al rischio di desertificazione proprio dove il SSN potrebbe arginare la migrazione verso le zone urbane.

Il passaggio d'epoca è segnato dalla policrisi in atto, la cui profondità è proporzionale alle inter-retroazioni tra le componenti sopra tratteggiate, che si connettono alle difficoltà con cui da trent'anni si confrontano i sistemi pubblici, descritte nel 2003 dal sociologo Giarelli nel saggio dedicato al malessere che accomuna professionisti, cittadini e welfare:
• la sfida inflattiva dei costi crescenti a fronte di rendimenti marginali decrescenti;
• la sfida della super specializzazione tecnospecialistica di stampo riduzionistico;
• la sfida epidemiologica per la prevalenza della cronicità.

Le policrisi sono portatrici di una complessità irriducibile ad una causa primaria, per l’interdipendenza tra le dimensioni coinvolte e gli effetti collaterali macro delle scelte individuali micro, e a soluzioni semplici e lineari. Decisori politici di maggioranza e critici di opposizione sono consapevoli della radicalità della policrisi?

Cordiali saluti

Giuseppe Belleri
Ex MMG - Brescia

25 settembre 2024
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