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Aspiriamo a vivere in un mondo in cui la malattia di Huntington non faccia più paura

di Ferdinando Squitieri

24 SET -

Gentile direttore,
il mondo della ricerca sulle malattie neurodegenerative si muove in maniera sincrona verso un progressivo guadagno di conoscenza, col preciso obiettivo di prevenire la morte delle cellule nervose e la perdita delle funzioni collegate con questo fenomeno.

In questo scenario si inserisce la ricerca sulla malattia di Huntington, rara, genetica, ereditaria, neurodegenerativa, considerata dalla comunità scientifica un modello di studio anche per altre malattie neurologiche. Il recente congresso Europeo che si è da poco concluso a Strasburgo (Francia) ha messo in evidenza che la ricerca clinica apre una concreta speranza su due importanti fronti:

1) Rafforzando ulteriormente il registro di malattia di Huntington, chiamato Enroll-HD, che è già il più esteso al mondo (raccolti dati clinici e campioni biologici da oltre 22.000 partecipanti in soli 10 anni). Non esiste – ad oggi - un altro esempio paragonabile per nessuna altra delle 8.000 malattie rare note;

2) Un numero rilevante di industrie biotecnologiche e farmaceutiche sia dagli USA che dall’Europa, ed ora anche dalla Cina, promuove tentativi sperimentali promettenti per contrastare gli effetti tossici della causa genetica della malattia. Sono almeno 25 le terapie sperimentali in corso nel mondo che, attraverso sofisticate tecnologie, ora anche di ingegneria genetica, procedono con risultati promettenti.

Su cosa agiscono queste sperimentazioni?

- Sull’RNA, attraverso farmaci assunti per via orale. L’esempio più promettente è la sperimentazione PIVOT-HD (di PTC Therapeutics) che attraverso un farmaco sperimentale denominato PTC518 sta cercando di ridurre i livelli della proteina tossica che si accumula nei tessuti, soprattutto nell’encefalo, l’organo più colpito. Si tratta di uno studio di fase 2b in corso in USA e in Europa (inclusa l’Italia).

- Sull’RNA, attraverso strategie di ingegneria genetica con vettori virali in grado di inserirsi all’interno delle cellule nervose condizionandone la funzione, in modo da tenere bassi i livelli della proteina difettosa. L’azienda biotecnologica americana impegnata in questa ricerca si chiama UniQure e dichiara che, sebbene in fase preliminare, i pazienti stanno tollerando bene questa terapia ed alcuni sembrano mantenere una stabilità clinica senza mostrare peggioramento. Non ancora in Italia, per ora, ma potrebbe arrivare anche da noi.

- Su aspetti biologici in grado di contrastare la progressione della malattia attraverso farmaci assunti per via orale. È il caso del farmaco pridopidina di Prilenia Therapeutics che agisce facilitando i collegamenti tra cellule nervose e per il quale è da poco stata sottomessa ad EMA la richiesta di autorizzazione alla immissione in commercio.

La Fondazione LIRH (Lega italiana ricerca di Huntington) è in prima linea da oltre dieci nel sostegno alla ricerca scientifica di particolare interesse sociale. Operiamo per garantire alle persone affette, alle persone a rischio e ai loro familiari, la possibilità di accedere a terapie appropriate e innovative, di ricevere una adeguata assistenza clinica e psicologica e di vivere la loro condizione senza essere oggetto di pregiudizi o discriminazione. Aspiriamo a vivere in un mondo in cui la malattia di Huntington non faccia più paura.

Ferdinando Squitieri, MD, PhD

Direttore Scientifico della Fondazione LIRH



24 settembre 2024
© Riproduzione riservata

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