Finanziamento e spesa del Ssn, facciamo chiarezza
di Vittorio Mapelli
06 MAG -
Gentile Direttore,vorrei chiederle, se posso, una moratoria su due notizie che ci martellano quasi ogni giorno, attinte dal DEF, dalla Corte dei Conti, dall’OCSE, da Eurostat, dall’ISTAT o dalla Fondazione GIMBE e pubblicate dal suo giornale, che peraltro apprezzo molto. La prima è che il finanziamento del SSN è destinato a scendere nei prossimi anni fino al 6,2% del Pil (secondo il DEF); la seconda che in Italia si spende per la sanità pubblica molto meno che in Francia e Germania (secondo la Corte dei Conti, la Fondazione GIMBE e altri). Notizie, sia detto, vere, ma fuorvianti nei commenti di molti giornalisti, politici e anche studiosi, che contribuiscono a creare un clima di vigilia di prossima catastrofe del SSN. Il che non mi sembra, almeno non ancora.
Il DEF è un documento di programmazione triennale e riguarda la spesa tendenziale (ad aprile), ma ciò che conta è la legge di bilancio, che (a dicembre) stabilisce il finanziamento reale del SSN. Purtroppo non si possono confrontare le cifre dei due documenti, perché l’una riguarda la spesa e l’altra il fabbisogno finanziario (sistematicamente inferiore alla spesa). Ma se si prendono le previsioni della legge di bilancio di due anni prima (t-2) e lo stanziamento approvato (t0), si noterà che quest’ultimo è sempre superiore alla previsione iniziale, smentendo le più fosche attese, come dimostra la tabella.
Nel 2024, ad esempio, il finanziamento è stato incrementato di 5,3 miliardi, rispetto alla previsione iniziale del 2022. E lo stesso è per l’incidenza sul Pil, sempre superiore di almeno 3 decimi di punto, eccetto il 2023. Che poi l’incidenza tenda a diminuire è un altro discorso, che conta relativamente (e magari riprenderemo). In questi anni turbolenti si naviga a vista e allo stesso tempo si strizza l’occhio all’UE e ai mercati finanziari, mostrando che la spesa pubblica dell’Italia scenderà.
In conclusione: le previsioni del DEF e della stessa legge di bilancio di due anni prima non valgono quasi nulla – e non serve stracciarsi le vesti – perché saranno riviste al rialzo, secondo l’andamento dell’economia e della finanza pubblica, al momento del varo della legge.
Che l’Italia spenda meno (2.228 euro) di Francia (3.140 euro) e Germania (3.683 euro) nel 2022 per la sanità pubblica, secondo l’Eurostat, è un dato di fatto. Ma è pure un dato di fatto che gli italiani pagano in media 14.068 euro di tasse – compresi i bambini e gli evasori – i francesi 18.532 euro e i tedeschi 19.494 euro e si possono quindi permettere quel livello di spesa sanitaria. Oltretutto la pressione fiscale in Francia è superiore di 5 punti a quella italiana ( 47,7% contro 42,7%). Tutto si tiene, il loro Pil è superiore a quello italiano e di conseguenza anche le entrate per lo stato sono maggiori delle nostre, rispettivamente del 31,7% in Francia e del 38,5% in Germania. Punto e basta. Che ci piaccia o no, siamo i parenti poveri di francesi e tedeschi e non possiamo pretendere di spendere come loro. Come in ogni famiglia, si fanno le spese al passo con le entrate. O altrimenti si fanno debiti. Gli scienziati che nel loro appello del 2 aprile hanno suggerito di alzare il finanziamento del SSN all’8% del Pil – ottima proposta – dovrebbero anche indicare – come fa il Parlamento per ogni nuova proposta di spesa – dove trovare i 37 miliardi aggiuntivi. Dal recupero dell’evasione e dell’elusione fiscale, scandalosamente alte? Dal taglio delle spese per la Difesa? Dall’abolizione degli sprechi in sanità? Nel 2019 la Fondazione GIMBE denunciava 21 miliardi di sprechi in sanità, ma oggi non ne parla più: sono stati forse tagliati? Se venissero eliminati, ci basterebbe solo il 5,3% del Pil….
Sempre in tema di confronti, nessuno cita che in Italia nel 2022 abbiamo “sperperato” 83 miliardi di interessi per il nostro enorme debito pubblico, mentre la Germania ha speso solo 27 miliardi e la Francia 51 miliardi (Eurostat). Se non avessimo questo enorme macigno o scendessimo al livello della Francia (112% del Pil), potremmo disporre dei 37 miliardi che ci mancano per la sanità. O ancora, nessuno ricorda che il sistema pensionistico assorbe in Italia il 13,7% del Pil – la più alta percentuale dell’Unione Europea –, ma in Germania solo il 10,0% e in Francia il 13,0%. Saremmo disposti ad uno scambio tra pensioni e sanità?
C’è invece una notizia che il suo giornale non ha ancora dato, se non erro, e molti giornalisti, politici e sindacalisti ancora ignorano o fingono di ignorare: che sempre più il SSN si finanzia a debito. Dei 134 miliardi di quest’anno, 9,5 miliardi sono presi a debito. Ha iniziato il governo Conte, durante la pandemia, con 3,8 miliardi di indebitamento nel 2020 (portato poi a 7,3 miliardi), ed è proseguito con i successivi governi Draghi (14,4 miliardi) e Meloni (14,6 miliardi), fino a totalizzare oggi 36,3 miliardi euro. Sono le somme degli indebitamenti triennali contenuti nelle varie leggi di bilancio: quello del 2024, ad esempio, è la somma di 5,4 miliardi della LB 2022, di 2,3 miliardi della LB 2023 e di 1,8 miliardi della LB 2024. Se da un lato preoccupa questo trend ascendente, dall’altro testimonia l’attenzione di tutti i governi al tema della salute.
Caro Direttore, i termini del problema sono molto semplici e crudi: il SSN avrebbe bisogno ogni anno di almeno +1,5-1,8% di crescita reale (oltre al tasso di inflazione) – è la media tra gli anni delle “vacche grasse” (2000-08) e delle “vacche magre” (2012-19) –, tenuto conto che la popolazione decresce e invecchia, si consumano più prestazioni e di costo o prezzo maggiore, ma l’economia non riesce a stare al passo, perché se va bene il Pil sale dell’1-1,2% all’anno. Quindi, è giocoforza indebitarci, se vogliamo salvare il SSN. È quanto hanno fatto gli ultimi tre governi, di colore diverso, a riprova che il SSN sta a cuore a tutti. Continuare a gridare “al lupo, al lupo!” o diffondere notizie false (il famoso taglio di 37 miliardi, secondo la Fondazione GIMBE, quando il finanziamento aumentò invece di 10,3 miliardi) è del tutto sterile, anche se aiuta a tenere alta la guardia. È la terza crisi che il SSN sta attraversando – la prima, tra il 1992 e il 1995, con l’uscita dallo SME, quando la spesa crollò dal 5,9 al 4,8% del Pil, poi ci fu la lunga crisi dei subprime tra il 2010 e il 2019 e da ultimo la pandemia di Covid 19 –, forse la più grave perché endemica al sistema, ma credo che la rana non finirà bollita. Se però ognuno farà la sua parte: lo Stato garantendo sempre le giuste risorse – anche indebitandosi per quel poco che serve –, accantonando il progetto di autonomia differenziata in sanità e riformando la medicina di base, anche contro il corporativismo sindacale dei medici; le Regioni uscendo dai piani di rientro, dopo 17 anni, e dando prova di capacità di governo del loro sistema sanitario; le Aziende sanitarie e ospedaliere eliminando sprechi, inefficienze e inappropriatezze che bruciano molte risorse e allungano i tempi di attesa; i Cittadini essendo responsabili (19 milioni di esami e visite prenotate e non eseguite, solo in Lombardia) e non procurandosi malattie non necessarie con i loro stili di vita a rischio.
There is no free meal, dicono bene gli americani, e quindi se vogliamo spendere di più per la sanità, qualche scelta, magari scomoda, dovremo pur farla. O forse qualcuno si illude di poter stampare ancora carta moneta per finanziare la sanità pubblica?
Spero non me ne voglia. Un cordiale saluto
Vittorio MapelliEx professore associato di economia sanitaria, Università degli studi di Milano
06 maggio 2024
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore