Gentile Direttore,
è ormai chiaro che siamo in una emergenza nazionale sanitaria, in una condizione in cui si devono cercare risorse economiche e modelli organizzativi per salvare il SSN e con esso il sistema di cure pubblico. Sono, perciò, del tutto fuori luogo attacchi privi di fondamento alla libera professione intramoenia del medico ospedaliero, accusata, addirittura, di occupare spazi ordinariamente destinati alle cure pubbliche, con il sottinteso sospetto di concorrere così all’allungamento delle liste di attesa.
Come al solito, politici e pseudotecnici sono alla ricerca di un capro espiatorio dei mali di un sistema sanitario pubblico definanziato da tutti i governi, vituperato, utilizzato come bancomat, disperso in un regionalismo asimmetrico in cui l’aspettativa di vita dei cittadini si riduce proporzionalmente ai km che separano Trento da Napoli.
Accuse del genere a mezzo stampa si commentano da sole e tradiscono anche la non conoscenza della materia per almeno tre ordini di motivi:
Esiste, poi, un quarto motivo, ovvero che di ordinario, soprattutto durante e dopo il Covid, i nostri nosocomi hanno ormai ben poco. A parte la follia che caratterizza oggi chi ancora resiste negli ospedali, malpagato, frustrato, denunciato, aggredito e in pieno burn out. E i cittadini, che continuano a ignorare la Legge 124/98 secondo cui, se i tempi di una visita dovessero superare quanto previsto dalla richiesta, la visita stessa può essere erogata in regime di intramoenia, ovvero privato, con i costi a carico dell’azienda.
Insomma, da qualunque punto vogliamo vedere la questione, dichiarazioni del genere, da parte di tecnici o politici, servono solo a rivelare scarsa conoscenza del sistema sanitario e ad alimentare una campagna di dequalificazione dei medici dipendenti agli occhi dell’opinione pubblica. Forse per nascondere il vero problema delle liste d’attesa, che richiama le inadempienze delle amministrazioni e dei legislatori, vale a dire la carenza di personale, di infrastrutture, di organizzazione e di investimenti. E per alimentare fake news, come la prossima assunzione di 15000 gettonisti, perché chi di loro è specialista e non pensionato non ha alcuna intenzione di diventare dipendente pubblico, tantomeno incassando un quarto rispetto a oggi.
Se si vuole restituire al medico ruolo sociale e professionale, se si vuole che i pazienti inizino di nuovo a vedere il medico ‘per quello che è, ovvero un professionista chiamato a tutelare il dono più prezioso, ovvero la salute, occorre difenderne il lavoro. Con campagne contro le violenze ma anche prendendo le distanze da quegli avvoltoi della legge che istigano, con la tutela legale gratuita, le denunce contro i medici, inondando strade e social con pubblicità senza alcun controllo né pena. Per errori presunti (il 97% delle cause intentate a medici si conclude con un non luogo a procedere), si alimenta un corto circuito che trasforma un medico indagato in imputato e condannato, prima ancora che si aprano le aule dei tribunali. Per essere alla fine assolti sì, ma a che prezzo!
Ci aspetteremmo che, al posto di chiacchiere in libertà, si inizi a lavorare da subito per una depenalizzazione dell’atto medico, prevedendo misure anche contro le denunce avventate e strumentali.
C’è tanto da fare e tanto chiediamo, ormai con poche speranze, da anni. Non certo insinuazioni e attacchi all’attività privata del medico ospedaliero, l’istituto più normato della Pubblica Amministrazione, marginale gestione del residuale tempo che il carico di lavoro negli ospedali lascia.
Probabilmente saremo angeli senza ali caduti in guerra, in una terra che sempre più ha bisogno di regole diverse, del controllo e del rispetto per un articolo 32 della Costituzione sempre più dimenticato. Il tempo, ormai, sta scadendo per il nostro servizio sanitario pubblico e nazionale, a rischio, reale e imminente, di crack.
Pierino Di Silverio