Gentile Direttore,
QS ha sempre dedicato ampio spazio alla crisi del SSN e ha opportunamente aperto un Forum su questo tema. Non ho letto il libro di Cavicchi che apre la discussione ma conosco le sue idee ben riassunte da lui stesso e concordo su quasi tutto.
Dico quasi perché non mi sembra giusto dare tutte le colpe dello stato del nostro SSN alla sinistra e al PD quando negli ultimi trent’anni il centro destra ha governato assai e oggi governa la destra.
Forse ciò accade perché dal PD ci saremmo aspettati una diversa attenzione alle questioni sociali.
Tuttavia oggi, quando governa la cosiddetta destra sociale, percepiamo una differenza di linguaggio ancor maggiore, tra fughe nel privato alla lombarda e promesse di detassazioni categoriali che, fatalmente, metteranno in crisi la sanità pubblica.
Ma, come ho detto, sono d’accordo sull’analisi dei problemi: il definanziamento, il regionalismo differenziato, l’affidamento al privato di parti del servizio, la crisi del personale, le piante organiche, le difficoltà del territorio, e via e via.
Il primo dei problemi è quello economico, ma dove trovare i soldi? Cavicchi propone una ricetta assai ragionevole, i soldi si trovano nel privato, riportando nel servizio fiscalità perdute a vantaggio di gruppi finanziari o del cosiddetto welfare aziendale.
La questione è che occorre sottrarre i soldi dalle tasche di grandissimi gruppi finanziari, multinazionali del farmaco e dell’informatica, fondi sovrani, assicurazioni, perfino del volontariato, per riportarli nel budget complessivo del servizio sanitario.
Ma quel qualcuno opporrebbe resistenza e lo Stato lo dovrebbe tener fermo mentre gli frugano le tasche. Non ci sono riuscite le società ancora definibili come socialdemocratiche, compresa la nostra, mi sembra impensabile che lo faccia l’attuale governo dove convivono istanze privatistiche con una visione economica inconsapevole verso i servizi sociali, e basti pensare al regionalismo differenziato e alla flat tax.
Di nuovo si resta in attesa di cosa saprà proporre la sinistra altrimenti rimane solo la speranza che, prima o poi di fronte alla crisi del servizio e alla diminuzione delle prestazioni sanitarie, la gente si muova e protesti e imponga ai politici di risolvere i problemi quotidiani tra i quali, indubbiamente, la salute è uno dei principali.
C’è chi pensa, forse ricordando Virchow, che la medicina sia indipendente dall’assetto sociale. Credo che se non cambia la visione economica e politica che una società ha di sé stessa la sanità non si trasformi. Oggi quasi ovunque prevalgono concezioni che privilegiano il diritto dell’individuo sul dovere sociale.
Tuttavia, se invece che ricostruire un edificio distrutto, la sanità pubblica, si potesse rinforzarne le fondamenta sarebbe assai miglior cosa. Che poi occorra una rivoluzione o una riforma o un insieme di correttivi, purché indirizzati alla conservazione dei valori fondanti il servizio, mi sembra questione secondaria rispetto alla concretezza dei fatti reali: cosa si può ottenere in questo momento storico, con questi leader, in questa crisi ambientale, di fronte a così drammatici eventi economici, bellici e sociali?
Qualcuno propone gruppi di pensiero e di consulenza che affianchino i decisori politici. Un’ottima idea perché la cultura è sempre l’arma che alla distanza può vincere.
Tuttavia se tutti gli operatori del SSN, dipendenti e non, appartenenti a tutte le professioni sanitarie, proclamassero una giornata di protesta, una grande manifestazione in difesa della sanità pubblica, con al centro i problemi che abbiamo elencato, forse riusciremmo a far capire alla popolazione che la tutela della salute non è un regalo piovuto dal cielo ma una quotidiana conquista di tutti i cittadini.
Antonio Panti