Gentile direttore,
abbiamo letto con piacere le importanti novità nel contratto per il Comparto, utili per il personale sanitario LGBTI e vorremmo metterle in rilievo per omaggiare chi nel precedente governo ha lavorato per questi obiettivi ed i sindacati, come ANAAO e CGIL che hanno collaborato sul tema anche con noi di AMIGAY aps.
Vogliamo evidenziare 4 punti, due positivi e due migliorabili:
1) Alias;
2) Genitorialità;
3) Molestie sessuali;
4) Matrimonio
L'obiettivo più evidente raggiunto è quello del riconoscimento della identità Alias per le persone Transgender, rispetto al sesso anagrafico (art. 41), che in Italia è difficile da ottenere in meno di 1-3 anni.
Questo riconoscimento viene in parte sminuito, per motivi probabilmente burocratici, nella seconda parte dello stesso articolo rispetto allo stesso tema e rispetto ad elementi a valenza "strettamente personale".
Dal punto di vista dello strettamente personale, è abbastanza ovvio che per le persone Transgender sia anche lì l'interesse a vedersi riconoscere nella propria identità, detta appunto Alias rispetto al documento anagrafico. Siamo convinti che si potrà fare meglio in futuro, ma di per sé è una rivoluzione necessaria a salvaguardia del personale del Comparto che sia Transgender, preceduta da simile disposizione nell'articolo 21 del contratto per gli statali.
Detto questo abbiamo visto con molto favore il riconoscimento della genitorialità come maternità e paternità senza distinzione ossessiva. Al momento nessuna legge vincola i genitori non biologici omosessuali o transgender al loro ruolo, ma quelli riconosciuti per sentenze specifiche del tribunale almeno potranno essere riconosciuti come genitori anche per contratto.
Un terzo e un quarto punto restano invece ambigui e rischiano di penalizzare il personale del comparto LGBTI se non verranno chiariti ulteriormente in futuro o tramite specifiche sentenze.
Il terzo nasce da queste parole dell'art. 84: "atti, comportamenti o molestie a carattere sessuale", che non specificano se si intendano anche verso persone LGBTI o per omo-transfobia. Sarebbe opportuno chiarirlo e non sappiamo se il defunto ddl Zan avrebbe aiutato a chiarire questo punto.
Il quarto punto è addirittura omissivo laddove per i vari diritti connessi con il matrimonio non è specificato che tali diritti si applicano ugualmente anche a chi li reclami per l'unione civile.
In quest'ultimo caso la legge esiste ed è disciplina dell'art. 1, comma 20, della Legge n. 76/2016. L'effetto della legge è che si applicano le medesime norme a matrimonio e unione civile. Sarebbe stato utile inserirlo in modo specifico per non dare adito a dubbi e non obbligare le persone lesbiche o omosessuali ad ulteriori e penosi contraddittori in caso di ingiustificata negazione di tali diritti.
Possiamo però concludere che ci aspettiamo una simile serie di benefici anche nel CCNL per i Medici e Dirigenti Sanitari, sperando che da questo successo l'attuale Ministro della Salute prenda spunto per applicare anche nel Fascicolo Sanitario Elettronico la voce Alias e nel SSN dei criteri di salvaguardia dei Diritti Sanitari LGBTI a partire dall'uso di ICD-11.
Manlio Converti