Il rischio di un nuovo centralismo sanitario
di Giuseppe Belleri
13 APR -
Gentile Direttore,
nell’ultimo mese con lo scoppio della guerra la variabile economica è balzata in primo piano nel dibattito sull'avvio del PNRR: inflazione annuale sopra il 5%, aumento dei costi di gas, elettricità, carburanti, materie prime e alimentari hanno messo in discussione il quadro macroeconomico, con il concreto rischio di stagflazione se non di una nuova recessione. Non sarà semplice far quadrare i conti considerando che i costi per Case ed Ospedali di Comunità (CdC e OdC) sono stati calcolati con i prezzi del 2018 e che molte regioni dovranno trovare coperture anche per la spesa corrente per il personale, non comprese nei fondi strutturali del Recovery Found. Di conseguenza si sono moltiplicate le richieste di revisione dei costi per le strutture previste dal PNRR da parte delle associazioni imprenditoriali e delle stesse regioni.
Il primo effetto di questa nuova fase è stato il tramonto dell'ipotesi di passaggio alla dipendenza dei medici convenzionati, che il DM 71 ha sostanzialmente ignorato salvo imprevisti dell'ultim'ora, rinviando a tempi migliori il consistente impegno finanziario necessario a portare a termine un’operazione di ampia portata normativa ed economica. Anche i criteri di ripartizione dei fondi della missione 6 saranno messi a dura prova, in particolare quelli per il rafforzamento della sanità territoriale, ovvero CdC e OdC. In questo contesto politico ed economico turbolento ed incerto la distribuzione dei finanziamenti a livello regionale resta quindi il punto critico.
Come noto il DM 71 prevede l'attivazione di 1 CdC ogni 40-50mila abitanti, per un totale che varia quindi da circa 1.500 a 1.200 strutture, differenziate in due tipologie: CdC hub di grandi dimensioni per le città con almeno 40mila abitanti e CdC spoke per comuni più piccoli distribuiti in aree rurali, della collina e della montagna scarsamente popolate. Tuttavia il Decreto non specifica la distribuzione delle due tipologie di CdC, mentre in precedenti documenti era stato prospettato un numero assoluto di 1.350 CdC e 600 OdC; questa indeterminatezza è l’esito del dimezzamento delle risorse previste nella prima versione del Piano, oggi insufficiente per garantire una rete Hub&Spoke diversificata su tutto il territorio nazionale.
Evidentemente viene delegato alle regioni il compito di stabilire numero e tipologia di strutture necessarie per intrecciare una rete sociosanitaria composta da nodi adatti alle caratteristiche sociodemografiche ed orografiche di ogni realtà locale. Non potrebbe essere altrimenti, visto che le regioni partono da situazioni diversificate, comprese tra i due estremi di un continuum limitato, da un lato, da amministrazioni prive di strutture territoriali e, dall'altro, da regioni con una consolidata rete di case della salute, da una cinquantina in Toscana, Veneto e Piemonte fino ad oltre il doppio in Emilia Romagna
All'estremo opposto si trova la Lombardia che, con un popolazione doppia rispetto all'Emilia, ha in funzione una ventina di Presst - strutture assimilabili ad una CdC - a fronte di finanziamenti per oltre 216 Hub. E’ quindi verosimile che i fondi per le strutture ripartiti a livello nazionale con criteri standard verranno utilizzati in modo differenziato dalle regioni; ad esempio la Lombardia ha già dimezzato il parametro demografico delle Case e degli Ospedali di Comunità per adattarlo alle zone di montagna meno popolate e con problemi di viabilità. Nall’ATS della Montagna lo standard di una CdC ogni 40-50mila abitanti e di un OdC ogni 100mila è stato ridotto rispettivamente a 19mila e 50mila residenti.
In pratica i finanziamenti centrali, ripartiti in modo aritmetico in base alla popolazione residente, verranno utilizzati in relazione ai bisogni del territorio e alle caratteristiche di ogni SSR. Paradossale è il caso dell’Emilia Romagna, che in base agli standard del DM 71 dovrebbe realizzare nel prossimo quinquennio 85 CdC Hub mentre a fine 2018 ne erano in funzione 105 - di cui il 51% (53) a medio/alta complessità e il 49% (52) a bassa complessità - frutto di una decennale programmazione che prevede di realizzarne altre 38 entro il 2023 (a febbraio 2022 erano attive 127 Case della Salute con una copertura dei 3/4 circa della popolazione, suddivise tra strutture per 15mila residenti e per 30mila, ovvero con standard difformi da quelli del DM 71).
Il problema nasce dalla discutibile decisione di ridurre da 4 a 2 miliardi il finanziamento delle strutture territoriali per deviarne due sull’assistenza domiciliare, con l’obiettivo di coinvolgere il 10% degli ultra 65enni. Questo taglio ha comportato il dimezzamento delle Case previste nella prima bozza del PNRR elaborata dal governo Conte2 a gennaio 2021. Una scelta che, oltre a pregiudicare la rete Hub&Spoke, potrebbe aggravare i problemi di gestione amministrativa, di personale e logistici (si pensi solo alla viabilità e alla necessità di parcheggi). Una rete di sole CdC di grandi dimensioni potrebbe riservare due effetti indesiderati, se non perversi:
· A livello macro al termine del quinquennio alcune regioni si troveranno con una rete di sole macro CdC Hub da 45mila abitanti circa mentre quelle che ne erano già dotate avranno completato una diversificata e flessibile rete Hub&Spohe, composta di CdC grandi, piccole e medie. Risultato: l’attuale disallineamento tra regioni nella dotazione di strutture e nell’erogazioni dei servizi territoriali resterà invariato, a scapito della popolazione residente nelle aree disagiate già ora svantaggiata per la distanza delle strutture ospedaliere.
· A livello micro si pensi solo alle difficoltà e ai tempi per gli spostamenti degli operatori sociosanitari dalla CdC Hub verso le abitazioni degli utenti dell’assistenza domiciliare, residenti in un raggio di decine di Km dalla sede della Casa o peggio ancora del Distretto con un bacino di 100mila utenti.
L’implementazione della Missione 6 appare inappropriata in quanto prescinde dalle varietà delle situazioni locali di partenza, per caratteristiche geodemografiche, orografiche, culturali, storiche, socioeconomiche etc. Insomma non si riforma la sanità territoriale in base a rigidi ed astratti standard finanziari e strutturali imposti top down, come si augurano i paladini di un vetero centralismo amministrativo per rimediare ai “20 servizi sanitari regionali”, ovvero ignorando uno dei cardine di una PA efficiente ed efficace: la territorializzazione dei servizi e delle funzioni.
Dott. Giuseppe Belleri
MMG e Animatore SIMG
13 aprile 2022
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