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Suicidio assistito. Ecco perché non è una legge “qualsiasi”

di Giorgio Trizzino

02 MAR - Gentile Direttore,
questa settimana si vota alla Camera il Disegno di Legge sulla “morte volontaria assistita”, dopo quattro anni di rinvii ed incomprensibile ostruzionismo all’interno delle commissioni riunite Affari Sociali e Giustizia e dopo che la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum riguardante l’omicidio del consenziente.
 
Questo a dimostrazione che talvolta capita di rimanere sordi e ciechi davanti ad una realtà che in modo crudo e talvolta crudele mette l’essere umano nelle condizioni di volersi togliere la vita perché non intende più continuare a soffrire. Talvolta si cercano fattori fuorvianti pur di evitare di affrontare il tema del fine vita che rimane per molte coscienze un tabù da rimuovere.
 
Nella storia del riconoscimento dei diritti civili nel nostro Paese si sono verificati spesso confronti aspri che hanno causato anche profonde fratture ed incomprensioni. Anche sul tema del fine vita in Italia si è arrivati a una situazione del genere e credo sia troppo complicato cercare di individuare le cause determinanti. Bisogna solo prenderne atto ricordando che la coscienza sociale sembra mutata, anche perché negli anni molti di noi hanno assistito i propri cari e si sono accorti che si muore male. Il risultato è che ormai ‘’suicidio assistito’’ ed “eutanasia” non sono più termini impronunciabili, ma anzi sono diventate parole condivisibili.
 
Su queste basi si è consolidata la consapevolezza, anche da parte dell’autorevole Rivista dei Gesuiti “Civiltà Cattolica”, del profondo cambiamento intervenuto nella coscienza sociale, tanto da portare la stessa Rivista a dichiarare la propria apertura al testo di legge sulla morte volontaria assistita che verrà votato alla Camera.
 
Il disegno di legge prevede che siano soddisfatte le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 242 sul caso Dj Fabo e cioè che la persona sia in grado di intendere e volere, di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli e che sia affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze intollerabili e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Il testo di legge nel suo passaggio in commissione ha ristretto ulteriormente le condizioni previste dalla Sentenza della Corte.
 
Infatti prevede che ci sia anche una “prognosi infausta” (che non era quella del Dj Fabo, Antoniani), che siano fornite prima le “cure palliative” (quasi che l’assistenza palliativa debba essere imposta come un trattamento sanitario obbligatorio) e che sia esplicitamente prevista la “obiezione di coscienza” del medico (non menzionata opportunamente nella Sentenza della Corte in quanto il medico non interviene direttamente nella somministrazione del farmaco che determina la morte del soggetto richiedente).
 
In modo chiaro ed inequivocabile Civiltà Cattolica non si dichiara contraria alla morte volontaria assistita (suicidio assistito) poiché considera questo principio ormai entrato nell’ordinamento italiano grazie alla Sentenza della Corte Costituzionale e di conseguenza considera inutile continuare ad opporvisi.
 
Decisione saggia che aiuta la credibilità del Parlamento in un momento difficile in cui è chiamato a decidere sulla morte assistita, pur con tante limitazioni, sostenendolo nella decisione in quanto il testo di legge potrebbe non contrastare la morale cristiana “con un responsabile perseguimento del bene comune possibile”.
 
Alla vigilia di questo provvedimento legislativo storico che il Parlamento si accinge a discutere, bisognerebbe contestualmente aprire, insieme ai vari ambiti culturali e sociali, un’ampia riflessione sul tema del fine vita in quanto non è possibile limitarsi a dichiararsi favorevoli o contrari ad una realtà che evolve velocemente.
 
È il caso della legge n. 219 sul consenso informato e sulle direttive anticipate che, dopo cinque anni dall’approvazione, già necessita di essere rimodellata per consentirne la reale applicazione. Ancora buona parte dei cittadini non conosce questa legge e non è informata sulle modalità di deposito delle proprie volontà.
 
Lo stesso discorso vale per il diritto alle cure palliative che, pur valendosi di una delle migliori leggi al mondo, la n. 38 del 2010, non consente a tutti i cittadini di potere accedere ad una adeguata assistenza domiciliare o ad un ricovero in Hospice.
 
Il Parlamento non è dunque chiamato ad approvare una legge qualsiasi ma una legge che tutela il diritto all’autodeterminazione di chi chiede il rispetto della propria volontà e libertà di decidere come e quando morire. Non è chiamato a cercare in tutti i modi di inserire cavilli ed ostacoli per rendere questa legge impossibile da attuare. Dobbiamo evitare che queste morti avvengano comunque ed a prescindere dall’approvazione di una legge.
 
Dobbiamo evitare che avvengano in modo cruento o dettate da atti di disperazione, dobbiamo evitare che avvengano in un silenzio opprimente e tra sguardi di complicità tra chi chiede e chi non può sottrarsi a questa richiesta. Forse è giunto il momento di avviare con il mondo cattolico un tavolo di confronto serio e non viziato da preconcetti che aiuterà certamente a trovare la giusta strada per una buona legge.. questo è il “bene comune possibile”.
 
Giorgio Trizzino
Membro della Commissione Affari Sociali della Camera (Gruppo Misto)


02 marzo 2022
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