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I medici italiani (dipendenti) pagano troppe tasse

di Pierino Di Silverio

02 DIC - Gentile Direttore,
l’evasione fiscale costa al nostro Paese 181,4 miliardi di euro annui, circa il 10% del PIL (dati Krls Network of Business Ethics 2019) e il lavoro sommerso è preponderante nelle regioni meridionali, dove il lavoro ufficiale decresce di pari passo con i disinvestimenti industriali e le carenze del terzo settore (dati ISTAT 2019).
 
Il 25,6% delle tasse deriva dai redditi delle persone fisiche e solo il 4,5% dalle imprese le quali, di fronte a una pressione fiscale totale tra le più alte d’Europa (42,2% contro una media OCSE del 33,8%), hanno due strade: spostare i capitali all’estero (via seguita da circa 43 miliardi nel solo 2018), in cerca di una pressione fiscale più accettabile, o evadere.
 
Rispetto a tali dati, di facile consultazione anche da chi non è del mestiere, la proposta di riforma fiscale in discussione, oltre a dimenticare i redditi più bassi, che rischiano di essere penalizzati addirittura se passasse l’abolizione del bonus Renzi, non fornisce un chiaro vantaggio economico alle fasce medie, anche in considerazione della ventilata eliminazione di quei pochi sgravi fiscali di cui esse oggi godono. Insomma si chiama “riforma” una situazione sostanzialmente uguale a quella attuale, che dimentica, nella maniera più assoluta, la lotta all’evasione.
 
Il problema riguarda anche i medici dipendenti del SSN. In una situazione di carenza drammatica di vocazione, più volte denunciata, e di condizioni che rendono non appetibile il lavoro ospedaliero , la riduzione della tassazione sul loro lavoro assume particolare importanza per professionisti che, durante le ore di lavoro in reperibilità (ovvero quando sono a disposizione dell’azienda e quindi ‘bloccati’ a casa e in prossimità del luogo di lavoro) guadagnano ben 1 euro l’ora o che per ogni ora di lavoro straordinario percepiscono ben 13 euro netti, o che per il lavoro quotidiano sono retribuiti con circa 16 euro/ora.
 
Limitarsi a un intervento cosmetico significa lasciare invariata una situazione particolarmente penalizzante, soprattutto se confrontata con quella dei medici a partita IVA della sanità convenzionata, che godono di flat tax dal 5 al 15% del reddito prodotto o con quelli della sanità privata, cui è concessa la aliquota del 10% sull’intero salario accessorio (quasi un terzo dello stipendio). Ai medici dipendenti, invece, continua ad essere negata una fiscalità di scopo per il recupero dei milioni di prestazioni accantonate causa Covid, una pandemia dimenticata che ormai produce liste di attesa che si misurano in trimestri.
 
E invece si procede senza una proposta decisamente innovativa del regime fiscale perché, dando una risposta d’altri tempi, i soldi non bastano mai.
 
Se fino a oggi la sanità è stata considerata il bancomat dei governi, oggi potremmo dire che è diventato un assegno circolare degli stessi. Assegno che, purtroppo, inizia a essere contestato per carenza di forza lavoro produttiva. Presto anche quelle risorse, sfruttate, elogiate e spremute a invarianza di spesa, ovvero i professionisti, inizieranno a mancare per una scelta che finirà con aggravare una carenza strutturale figlia di una programmazione inesistente, della quale nessuno è chiamato a rispondere.
 
La scelta che ogni medico fa all’atto del giuramento oggi viene messa in discussione da condizioni di lavoro sempre meno accoglienti e umane, veicolata verso altri lidi, rigorosamente privati, apparendo oggi purtroppo anche anacronistica.
 
E allora tanto vale mutare il giuramento di Ippocrate, visto che le istituzioni non permettono di mantenerlo perché non si può curare ogni paziente senza discriminare, se la discriminazione, per geografia, etnia, età, viene mantenuta dalle istituzioni attraverso disinvestimenti economici, perché non è possibile creare alleanze terapeutiche con pazienti che sono affetti da una infodemia ingravescente promossa da scellerate politiche di disinformazione, perché non è perseguibile il bene della comunità in assenza degli strumenti necessari e poi addirittura pagare conseguenze etiche, morali e penali nel caso in cui qualcosa andasse storto a causa della disorganizzazione istituzionale.
 
E allora o mutiamo il giuramento o mutiamo drasticamente e repentinamente le condizioni di lavoro dei medici dipendenti del SSN. Partendo da una tassazione che appare immeritata per coloro che sono tra i contribuenti pubblici su cui si basa la maggior parte degli introiti dello Stato, chiamati a pagare le tasse prima ancora di ricevere lo stipendio sui conti correnti, esercitando una funzione a garanzia dell’esigibilità di un diritto costituzionale.
 
Il tempo non è tanto e se non sono utilizzabili allo scopo i fondi attuali esistono fondi potenziali (il MES). Quello post-pandemico è un crocevia unico e irripetibile e abbiamo il dovere di sfruttarlo per assicurare quel sistema di cure che favorisce, direttamente e indirettamente, il funzionamento della complessa macchina di uno Stato tutelando il bene più prezioso dei suoi cittadini.
 
Dovrebbe appartenere al comune senso democratico coinvolgere le parti sociali nei processi di riforme dei sistemi e se questo senso comune viene smarrito, Anaao Assomed ha il dovere di ricordarlo, rinvigorirlo, farlo riemergere, in qualunque modo sia eticamente permesso. Perché abbiamo un giuramento da salvare e abbiamo delle vite da curare.
 
Pierino Di Silverio
Componente Esecutivo Nazionale Anaao Assomed
Responsabile Nazionale Anaao Giovani


02 dicembre 2021
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