Le elezioni nel Lazio e le liste d’attesa. Ci risiamo
Sebbene consapevoli che il tema, alla pari con il tilt dei Pronto Soccorso, colpisce particolarmente i politici perché riguarda realtà non camuffabili che rinviano immediatamente alle loro responsabilità, per le quali cercano un capro espiatorio, ri-proviamo a fare chiarezza, con qualche proposta
06 FEB - Il tema delle liste d’attesa periodicamente riemerge, come un fiume carsico, alla superficie del dibattito politico in sanità, specie in campagna elettorale, in uno scontato, quanto illusorio, cortocircuito con la attività libero professionale intramoenia dei medici ALPI.
Non meraviglia quindi che sul tema si cimentino anche l’on. Zingaretti e l’on. Lombardi, candidati alla carica di Presidente della Giunta della Regione Lazio, rispettivamente per PD e M5S, andando ad aggiungersi ad altri Presidenti di Regione (Toscana, Campania, Emilia romagna) o a singoli consiglieri, come avvenuto in Regione Puglie.
Ultima in ordine di tempo l’on. Lombardi, alla quale va dato atto di avere meritoriamente assunto la sanità come tema centrale della sua campagna elettorale,
in una intervista a Quotidiano Sanità, colloca “la rimodulazione dell'intramoenia, cioè la possibilità dei medici ospedalieri di fare visite private con mezzi pubblici..., che andrà sostanzialmente ricalibrata e commisurata alla produttività durante l'orario del servizio pubblico e naturalmente a quanta attesa c'è per quel determinato esame”, addirittura al primo posto tra i cambiamenti strutturali da realizzare.
Sebbene consapevoli che il tema, alla pari con il tilt dei Pronto Soccorso, colpisce particolarmente i politici perché riguarda realtà non camuffabili che rinviano immediatamente alle loro responsabilità, per le quali cercano un capro espiatorio, ri-proviamo a fare chiarezza e qualche proposta.
Le liste d'attesa sono una caratteristica strutturale di tutti i sistemi sanitari pubblici, ove il tempo di accesso ai servizi, e non il costo, ha il ruolo di trovare un equilibrio tra domanda ed offerta, sulla quale incide la disponibilità di risorse strutturali, quali, ad es., il numero dei medici e dei posti letto. Conterà qualcosa sulle attese il rilevante taglio delle risorse, 30 miliardi certificati dalla Corte dei Conti, destinate al finanziamento del SSN dal 2011 al 2016? E la perdita di almeno 50.000 unità di personale, tra cui 10.000 medici, dal 2009 al 2017?
E che le assenze per gravidanza non vengono mai sostituite? E che 70.000 posti letto, necessari per ridurre le attese degli interventi chirurgici, sono stati tagliati in 10 anni? E che la età media dei medici è di 54 anni, la più alta al mondo, con i limiti fisici propri della età? E la scelta delle Regioni di accollare alla sanità gran parte dei risparmi chiesti dal Governo non ha inciso sulla erogazione dei servizi e quindi sulle attese? Nessuno ha mai sentito parlare di taglio delle sedute operatorie, o di rinvio dell’acquisto di dispositivi, magari negli ultimi mesi dell’anno per evitare deficit economici? Quanto pesa tutto ciò sulle attese?
Il SSN garantisce al cittadino la prestazione sanitaria ma, di solito, non il medico di propria fiducia, per ovvii motivi organizzativi, resi ancora più critici dal sistematico de-finanziamento del SSN che ha caratterizzato questi anni. La ALPI permette,invece, di scegliere il professionista, e di acquisirne la disponibilità, perlomeno telefonica, il che non è possibile nel regime pubblico. Dal canto loro, i medici ospedalieri trovano nella ALPI quell’autonomia e quella gratificazione professionale che le aziende sanitarie, votate al solo equilibrio dei conti, oggi negano.
Se poi guardiamo ai dati ufficiali (2017), vediamo che le prestazioni in libera professione intramoenia ambulatoriali rappresentano il 7 % del totale che ogni anno eroga il servizio pubblico, una media di 2 visite a settimana per medico. Quelle in regime di ricovero addirittura 0,3%, esattamente 22.024 dimessi in libera professione contro 6.343.050 in regime ordinario.
Numeri molto al di sotto dei limiti indicati dalle leggi e dai contratti. In verità, la ALPI permette, consentendo alle Aziende sanitarie di effettuare con proprio personale prestazioni aggiuntive a quelle istituzionali, l'accesso ad un canale di prestazioni di qualità garantita, a costi calmierati e ad imposizione fiscale certa, intercettando ed introitando risorse economiche che altrimenti andrebbero ad alimentare il settore privato. Risorse, pari a poco più di 1 miliardo all’anno, con trend in netto calo (-11,6% dal 2010 al 2015, dati 2017) che producono 400 milioni di tasse per lo Stato, 250 milioni di incassi per le Aziende sanitarie, e 50 milioni per finanziare proprio la riduzione delle liste di attesa, cui i Medici, nell’ultimo contratto, hanno dedicato anche 3 milioni di ore lavoro/anno sottratte al loro aggiornamento. Come le Aziende utilizzino i 300 milioni che ogni anno incassano dalla ALPI non è dato sapere.
In realtà, il gap tra tempo di attesa in regime istituzionale e quello per la stessa prestazione in ALPI denuncia la inosservanza da parte delle Regioni del D.Lgs 120/2007 che dispone il progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni istituzionali ai tempi medi di quelle rese in regime di ALPI. E le Aziende si guardano bene dall’informare i cittadini del fatto che, per legge, è a carico del servizio pubblico il costo della prestazione in ALPI quando la attesa supera un limite predeterminato.
La correlazione perversa tra ALPI, i cui introiti sono in calo, e tempi di attesa, in netta crescita, risulta difficile da dimostrare e non si capisce come l’abrogazione della ALPI, che è tempo libero del medico, possa azzerare le attese dei pazienti. Anzi, impedendo a medici di mettere a disposizione dei cittadini, anche dopo aver svolto il proprio lavoro istituzionale, le loro elevate conoscenze professionali e sofisticate capacità tecniche, si rischia di regalare al privato, che si sta attrezzando con prestazioni
low cost, quote economiche importanti, contribuendo al de-finanziamento della sanità pubblica. O è proprio questo il vero obiettivo della polemica?
In tema di abbattimento delle liste d'attesa, l'Anaao Assomed ha da tempo presentato proposte che richiedono un'assunzione di responsabilità politica, non pervenuta finora, da parte del Governo e delle Regioni. Le riportiamo sinteticamente:
1. incentivare il ricorso all'istituto della produttività aggiuntiva nell'ambito di accordi contrattuali aziendali – anche in orari serali e prefestivi
2. considerare i ticket pagati dai cittadini in questo caso risorsa aggiuntiva per le Aziende, da utilizzare per l'abbattimento delle liste d'attesa, e non anticipo del finanziamento ordinario regionale
3. estendere i benefici fiscali previsti per il settore privato all’incremento della produttività per l’abbattimento delle liste d'attesa
4. intervenire sul versante della domanda migliorandone l’appropriatezza e il governo su classi di priorità, facilitando la comunicazione tra professionisti, valorizzando la autonomia e la responsabilità dei medici.
Il fenomeno del tempo di attesa eccessivo, che certo non sottovalutiamo, e più ancora la crescente diseguaglianza sociale e territoriale, di cui pure occorre parlare, è un indicatore di crisi della sanità pubblica. Che oggi sopravvive grazie al senso di responsabilità dei Medici, nonostante la flessibilizzazione estrema delle loro condizioni di lavoro, di fronte al calo drastico delle risorse, e l’avanzare di una sorta di "neo taylorismo" nell'organizzazione dei servizi sanitari, dove il tempo di relazione, l'ascolto del paziente e dei suoi bisogni, è considerato un tempo morto ed il tempo di cura un costo da comprimere.
Una politica “tafazziana” in cui a vincere sarà solo chi sta fuori dal sistema pubblico, che già oggi raccoglie un fiume di denaro. In fondo al tunnel c’è solo il buio di un SSN povero per i poveri, per il quale molti stanno lavorando. I ricchi potranno sempre rivolgersi ad una sanità privata ricca di risorse e professionalità. Quelle fuggite dal sistema pubblico.
Carlo Palermo
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed
06 febbraio 2018
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