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Lavori usuranti. Chi decide?

di Domenico Della Porta

Alla luce della normativa vigente in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro, non è affatto facile stabilire se un lavoro non rientrante tra gli elenchi previsti dal Decreto  5 febbraio 2018  non produca danni simili a quelli dovuti ad attività riconosciute gravose o usuranti. Come hanno detto i pensionati a Piazza San Giovanni ieri ci potrebbe riuscire solo una Commissione tecnico scientifica ad hoc

02 GIU - Solo una Commissione Tecnico-Scientifica riuscirà ad individuare quali sono le attività  lavorative gravose che consentirebbero un’anticipazione del pensionamento. L’ennesimo richiamo dell’istituzione di questo importante organismo è stato uno dei punti evidenziati  unanimamente nel corso della manifestazione unitaria dei pensionati  contro il Governo svoltasi ieri a Roma a Piazza San Giovanni. La normativa vigente, infatti,  presenta numerose criticità sulla delicata questione.
 
La prima riguarda l’elenco delle mansioni usuranti, che appare non esaustivo, in quanto non comprende attività che per le loro peculiarità sarebbe opportuno inserire in tale elenco, si precisa nella relazione di accompagnamento del Disegno di Legge presentato alla Presidenza del Senato il 10 maggio 2016 dai Senatori Fucksia, Ichino e altri.
 
La seconda attiene alla tabellazione dei limiti di età con cui andare in pensione. Tale criterio sembra derivante esclusivamente da motivi puramente ragionieristici, sul modello del taglio lineare che in questi anni ha sostituito una effettiva spending review.
 
Soprattutto non si tiene conto della variabilità e complessità della macchina/valore uomo. Uno degli effetti pratici che si sono ottenuti con tale sistema è infatti quella di procrastinare l’età pensionabile, sull’assunto che il continuo allungamento della speranza di vita della popolazione garantisca un supplemento adeguato di anni di vita per operare uno scambio equo tra anni di pensione e anni di lavoro.
 
Tuttavia questo scambio, seppur giustificato sul piano demografico, risulta iniquo sul piano sociale, se applicato indiscriminatamente, cioè senza prendere in considerazione le diseguaglianze professionali nella salute, e il loro impatto sulla speranza di vita delle diverse categorie professionali.
 
Ulteriore grave criticità concerne il fatto che, per accedere al beneficio pensionistico, continua la relazione,  occorre aver raggiunto almeno 7 anni di lavoro usurante negli ultimi 10 e, dal 2018, addirittura metà degli anni di lavoro svolto. Questo requisito è uguale per tutte le mansioni inserite nella tabella. Una siffatta previsione, omologante e qualunquista, non trova nessuna plausibilità scientifica.
 
Inoltre, il requisito di aver svolto un lavoro usurante per “metà della vita lavorativa”, previsto a regime, risulta comunque troppo lungo per determinate attività, e pare anch’esso trovare la sua unica giustificazione nella mera sostenibilità economica. Infine la normativa attualmente in vigore, per come è strutturata, non tiene conto del fatto che l’usura in campo lavorativo non è un dato esattamente e facilmente quantificabile, ma per sua natura in continuo divenire. Si tratta infatti di un concetto proprio della scienza medica soggetto a ridefinizione continua sotto il profilo fisio-patologico, anche a causa dei cambiamenti tecnologici della struttura produttiva stessa.
 
Questo è il motivo per cui è opportuno che la tabella contenente le mansioni usuranti sia costantemente monitorata, aggiornata e rivista. Nel tempo alcune mansioni potrebbero uscirne, altre invece potrebbero esservi inserite.
 
Ad oggi, il riferimento vigente è il  Decreto  5 febbraio 2018  del Ministero del Lavoro, di concerto con il Ministero dell’Economa, in cui  sono elencate  le 15 categorie di lavoratori, che svolgono una attività definita “gravosa”, ad avere diritto all’APE sociale e alla pensione anticipata: 
- operai dell'industria estrattiva  dell'edilizia e della manutenzione degli edifici;
- conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni;
- conciatori di pelli e pellicce;
- conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante;
- conduttori di mezzi pesanti e camion;
- personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni;
- addetti all'assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza;
- insegnanti della scuola dell'infanzia ed educatori degli asili nido;
- facchini e addetti allo spostamento merci; personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia, operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti; operai agricoli;
- marittimi;
- pescatori;
- operai siderurgici di seconda fusione.
 
Escludendo qualsiasi confronto tra l’elenco dei “lavori gravosi” (legge 232/2016) e quello dei  “lavori usuranti” ( d.lgs. 67/2011), generati dalle varie normative promulgate negli anni e collegate all’anticipazione  della pensione, occorre considerare che il riconoscimento di un danno conseguente ad una determinata attività lavorativa avviene attraverso la funzione della sorveglianza sanitaria svolta dal Medico Competente ed  è indipendente  dall’elenco in cui è inclusa la medesima attività lavorativa. 
 
Ecco perché è opportuno tener presente  anche le caratteristiche fisiche e psicologiche del prestatore d’opera, senza tralasciare il fattore età, come indicato in un documento elaborato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel 1979 “I lavoratori più anziani: lavoro e pensionamento”.
 
Alla luce della normativa vigente in materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro, non è affatto facile stabilire se un lavoro non rientrante tra gli elenchi di cui sopra non produca danni simili a quelli dovuti ad attività riconosciute gravose o usuranti. Innanzitutto va considerato il rischio organizzazione del lavoro. In esso sono compresi fattori condizionati dai processi di lavoro quali lavoro in turni, lavoro in continuo, lavoro notturno, sistemi efficaci di gestione e accordi per la pianificazione, il monitoraggio e il controllo degli aspetti attinenti alla salute e alla sicurezza, la manutenzione degli impianti, comprese le attrezzature di sicurezza, gli accordi adeguati per far fronte agli incidenti e alle situazioni di emergenza.
 
Tutte queste situazioni se non analizzate con attenzione possono creare una condizione lavorativa responsabile di una serie di disturbi (ad esempio sindromi gastroenteriche, o sindromi ansioso-depressive).  Un altro aspetto dell’organizzazione del lavoro è quello relativo alla gestione dei rapporti interpersonali e gerarchici, la cui mancata soluzione può essere causa oltre che di sindromi da disadattamento con somatizzazioni a livello di diversi organi e apparati, anche del fenomeno dell’assenteismo.
 
Ancora, una erronea organizzazione del lavoro può determinare esposizioni professionali nocive agli agenti più diversi: basti pensare all’inosservanza delle norme che regolano l’utilizzo di particolari materie prime che potrebbero diffondersi nell’ambiente.
 
L’inidoneo o semplicemente il prolungato uso di attrezzi, macchinari o mezzi ausiliari allo svolgimento delle mansioni costituisce un altro elemento su cui l’organizzazione del lavoro deve intervenire per evitare che divenga fonte di rischio. L’assenza di corrette prescrizioni organizzative che possono, ad esempio, avere contenuto sia di tipo semplicemente tecnico che ergonomico e igienistico può essere causa di nocività. Si deve però tener presente che ciò può non essere dovuto a negligenza o impreparazione, ma alla reale mancanza di adeguate conoscenze che potranno essere acquisite in futuro anche sulla base di esperienze precedenti. 
 
Alla luce di queste considerazioni, si ritiene assolutamente interessante quanto proposto nel DDL di maggio 2016, dove viene sottolineato l’utilità di “un aggiornamento triennale della tabella contenente l’elenco delle attività usuranti, previa acquisizione del parere vincolante di una commissione tecnico-scientifica nominata con apposito decreto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro della salute, e composta da non più di dodici membri, individuati tra i rappresentanti delle società scientifiche impegnate nella tutela e nella promozione della medicina del lavoro e dell’igiene industriale maggiormente rappresentative e i rappresentanti degli organismi paritetici.
 
Ferme restando le attribuzioni di cui alle precedenti lettere b), c) e h), l’attività della commissione è volta all’individuazione di misure perequative degli svantaggi professionali nella salute, tenendo conto delle variazioni del carico di lavoro nelle specifiche mansioni.
 
La commissione svolge altresì la funzione di osservatorio permanente in qualità di organo di consulenza presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per analisi e indagini sulle attività usuranti, sulle aspettative di vita, sull’esposizione al rischio professionale, sul grado di incidenza di infortuni e malattie professionali per ciascuna categoria lavorativa. Alla commissione spetta il compito di monitorare i fattori di usura che permettono l’accesso ai benefici previdenziali e di individuare parametri e criteri tecnici e scientifici per valutare la riduzione o l’aumento dei fattori di usura stessi.”
 
Domenico Della Porta
Primario di Medicina del Lavoro Uninettuno – Roma
Presidente Osservatorio Nazionale Malattie Occupazionali e Ambientali Università degli Studi di Salerno

02 giugno 2019
© Riproduzione riservata

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