Manovra. Oliveti (Enpam): “Impedirci di usare il patrimonio è una confisca”
di Eva Antoniotti
A preoccupare il vicepresidente dell’Ente previdenziale dei medici non è la richiesta di garantire un equilibrio in una prospettiva di 50 anni, perché la “gobba” arriverà prima. Ma per poterla affrontare, dice in questa intervista a Quotidiano Sanità, l’Enpam deve poter utilizzare il patrimonio accantonato.
27 DIC - Il comma 24 dell’articolo 24 della manovra è stato certamente un colpo duro per le Casse di previdenza privatizzate. La richiesta è che portino bilanci in equilibrio in una prospettiva di 50 anni, ma senza utilizzare per questo i propri patrimoni, che ammontano complessivamente a circa 50 miliardi per tutte le Casse.
Per l’Enpam il colpo è stato particolarmente duro: meno di due mesi fa aveva presentato la propria “autoriforma”, disegnata anche con il contributo di
Mario Monti, allora in veste di consulente. Oggi rischia di doverla ridiscutere da capo, a meno che non cambi qualcosa entro giugno, data in cui dovrebbe scattare il comma 24.
In questa intervista a Quotidiano Sanità, il vicepresidente dell’Enpam Alberto Oliveti spiega le sue ragioni.
Dottor Oliveti, la manovra di fine anno fa una richiesta così forte alle Casse di previdenza, da essere quasi insostenibile, tanto da far pensare ad un commissariamento a breve…
Chiariamo subito che di commissariamento non si parla. La sanzione prevista è quella di passare al metodo contributivo per il calcolo delle pensioni e di operare per due anni un “taglio” dell’1% delle pensioni già in essere. Il problema grave è che queste imposizioni interferiscono nella nostra autonomia, mentre noi avevamo già messo a punto una riforma, concordata con i tecnici del ministero del Lavoro, che garantiva l’equilibrio a 30 anni con proiezione a 50 anni.
Dunque il passaggio di orizzonte temporale da 30 a 50 anni non vi preoccupa?
No, anche perché il vero problema che abbiamo di fronte, ovvero la cosiddetta gobba previdenziale, si presenterà prima, tra 20-25 anni. Sarà il momento in cui la platea dei pensionati raggiungerà il suo massimo, ma noi siamo sicuri di poter rispondere a questa situazione, certamente utilizzando il patrimonio.
Ma il comma 24 chiede proprio di garantire l’equilibrio senza fare ricorso al patrimonio.
E questo è il vero problema, che contraddice la gestione integrata di patrimonio e contributi. Cerco di spiegarlo in modo semplice. L’Ente incassa dei contributi, una parte dei quali va a pagare le prestazioni, ovvero le pensioni, e una parte va ad integrare il patrimonio. Dal rendimento del patrimonio arriva un altro flusso di denaro che in parte va alle prestazioni, in parte si reinveste e in parte va a pagare le tasse.
Questo è il sistema che usa l’Enpam ed è un sistema misto, ideato proprio quando al momento della privatizzazione delle Casse di previdenza, per superare i limiti dei sistemi a ripartizione secca o a capitalizzazione secca.
Come funziona il sistema a ripartizione secca?
Trasforma direttamente i contributi incassati in prestazioni, cioè in pensioni. Il limite è che quando una generazione è meno numerosa o meno danarosa delle precedenti, fatica a mantenere chi è già in pensione. Insomma, è un sistema che non tiene in situazioni di squilibrio demografico ed economico tra generazioni subentranti.
E il sistema a capitalizzazione?
È il metodo usato solitamente nelle casse private: io verso un patrimonio, la cassa me lo gestisce e poi avrò quello stesso capitale per la pensione. Il limite in questo caso è la svalutazione: io verso oggi soldi che riceverò domani con lo stesso valore nominale, ma con una diverso valore effettivo.
Insomma, se capisco bene, il comma 24 vi porta alla ripartizione secca.
Proprio così. Nel momento che Fornero ci dice che il patrimonio non può essere considerato, il sistema diventa diretto: tanti contributi mi entrano, tanto posso pagare in prestazioni. Proprio mentre davanti sappiamo di avere quella gobba demografica della professione che è esattamente il limite del metodo a ripartizione secca. È una clamorosa marcia indietro rispetto al sistema introdotto da Amato e da Dini al momento della riforma delle Casse previdenziali, quando noi abbiamo abbiamo accettato uno scambio: maggiore autonomia in cambio della rinuncia a poter essere sostenuti attraverso il fisco. Oggi ci ritroviamo che la maggiore autonomia non la esercitiamo perché ci stanno dettando le regole, anche se continuiamo a non poter contare sulle casse dello Stato.
Perché Fornero fa una richiesta del genere?
Mi sembra che stia favorendo una contrapposizione di classe, parla di “caste” previdenziali invece che di “casse” previdenziali, mette giovani contro vecchi. Ai giovani dà il messaggio: “vi stanno fregando, non hanno l’equilibrio”, ingenerando una rivoltosità che spinga i giovani a scegliere di mettere una quota nella previdenza complementare, che finora non è mai decollata, dove possono scegliere anche investimenti più aggressivi, e ovviamente più rischiosi. È in qualche modo un sostegno ai Fondi pensione, che in controluce si legge anche nel comma 28 dell’articolo 24.
A questo punto a cosa servirebbe il patrimonio Enpam?
A pagar tasse sicuramente, visto che ogni anno sul nostro patrimonio paghiamo 75 milioni alla fiscalità generale. In totale controtendenza rispetto all’Europa dove le Casse non pagano al fisco.
Molti dicono che l’obiettivo del Governo è statalizzare il nostro patrimonio, ma è già statalizzato in qualche modo. Già oggi Eurostat contabilizza per definire i “beni” dello Stato italiano anche il patrimonio delle casse. E dunque, visto che quello che conta è la stabilità in Europa, il nostro patrimonio già concorre al bilancio dello Stato.
Forse il timore della ministra Fornero è che arriviate ad esaurire il patrimonio.
Quando siamo stati privatizzati abbiamo avuto due regole: una è garantire l’equilibrio a quindici anni, che poi è diventato a 30 e ora a 50 anni, l’altra è che ogni anno per ogni euro pagato di pensioni ci fossero, nel bilancio consuntivo, almeno 5 euro di patrimonio, la riserva legale.
Nella riforma che abbiamo discusso e validato con i tecnici del ministero del Lavoro, che dovrebbero essere quelli che lavorano con Fornero, noi mostravamo come i nostri bilanci fossero in equilibri negli anni con l’utilizzo, congiunturale e non strutturale, del patrimonio, ma comunque sempre nel rispetto della riserva legale. In altre parole, negli anni della “gobba”, due o tre, useremo il patrimonio messo da parte proprio per fronteggiare le difficoltà. Ma non andremo mai al di sotto della riserva legale. Anzi, secondo i nostri calcoli alla fine dei 50 anni ci troveremo con un patrimonio decuplicato rispetto alla partenza.
In un’intervista al “Corriere della Sera” Fornero paventa il rischio Inpdai, finito “sotto l’ombrello del soccorso pubblico”. Come le risponderebbe?
La nostra riforma rispetta il rapporto tra entrate e uscite nella prospettiva temporale richiesta dal Governo, utilizza il patrimonio in misura limitata e per un tempo limitato. Tutto questo senza chiedere un soldo a carico del contribuente, anzi dando alla fiscalità generale un flusso costante per la tassazione sul patrimonio.
Come si fa a dire a noi che siamo a rischio di fallimento, quando la previdenza pubblica, senza il sostegno del fisco, ha un equilibrio che non arriva a venti giorni! Fornero guarda la pagliuzza nel nostro occhio, ma non la trave nell’occhio dell’Inps, che non presenta bilanci attuariali dal 2008.
Ma il rischio fallimento c’è?
No. Lo ripeto, i tecnici del ministero del Lavoro avevano già approvato la nostra riforma. Inoltre lo Stato ci vigila con otto livelli di controllo e dunque sa bene quali sono le nostre condizioni. E poi, solo per fare una battuta, penso che per questo rischio già paghiamo allo Stato una sorta di polizza, visto che ogni anno gli diamo 75 milioni di euro di tasse.
Questa è la questione della “doppia tassazione”. Ce la spiega ancora?
Ogni pensionato Enpam paga due volte: paga le tasse sulla “sua” porzione di patrimonio e poi le paga sulla pensione che riceve. Credo proprio che su questa ingiustizia, che non ha corrispondenza in nessun paese europeo, dovremo perseguire una strada giudiziaria, con decisione.
Se dovesse restare il comma 24, voi verrete sanzionati. Cosa succederà concretamente?
Dovremo ridurre dell’1% per due anni le pensioni in essere, ma soprattutto dovremo cambiare il metodo di calcolo delle pensioni per coloro che sono ancora in attività. Noi non utilizziamo il retributivo “retrivo”, quel metodo diabolico che calcolava la pensione non su quanto era stato versato, ma sul miglior periodo di retribuzione avuto sull’intera carriera.
Il nostro è un calcolo reddituale, che tiene conto dell’effettivo reddito e consente di assegnare valore via via a i contributi. È un metodo sofisticato, che richiede calcoli complessi ma che consente a ciascuno di sapere ogni mese di quanto cresce la sua “piantina”. Se correttamente condotto è più equo del metodo contributivo e questo lo ha riconosciuto anche Fornero, che infatti mi ha detto: “La vostra situazione merita una riflessione specifica”.
Ma lei è riuscito a parlare in questi giorni con Mario Monti, che è stato consulente per una parte della vostra riforma?
Non sono più riuscito a parlare con Monti da quando ha assunto l’incarico di presidente del Consiglio. Ma credo che tutti possano capire che Monti non avrebbe lavorato per una cassa “fallimentare”. La sua presenza al nostro convegno di novembre è stata importante. E anche quella di Giuliano Amato. Queste norme sono contro la riforma delle Casse ideata nel 1993 da lui e credo che tra un po’ si farà sentire.
Cosa pensa di fare da qui a giugno, quando dovrebbe diventare operativa la norma del comma 24?
Semplicemente presenterò nuovamente la nostra riforma, e loro mi dovranno dire sì o no. Se sarà no, passeremo al contributivo, ma la responsabilità di farci usare un sistema meno equo sarà del ministro Fornero.
Faremo tutto però per difenderci perché abbiamo agito come fa un buon padre di famiglia, che mette da parte in previsione delle spese future. Se non possiamo utilizzare il nostro patrimonio e come se impedissero a quel padre di usare i suoi risparmi messi in banca. Si chiama confisca.
Eva Antoniotti
27 dicembre 2011
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