Medici. Perché serve una nuova grande manifestazione nazionale
di Ivan Cavicchi
Ma questa volta il tema dovrebbe essere non tanto quello del “diritto alla cura”, come avvenne tre anni fa, quanto quello del “dovere di curare”. Ecco come e perché mi piacerebbe una manifestazione nazionale di tutti i medici italiani per proporre i doveri professionali quale prima garanzia dei diritti di salute delle persone
18 MAR - Tre anni fa esattamente il
27 ottobre del 2012 si svolse a Roma una grande manifestazione organizzata dai medici alla quale aderirono altre professioni sanitarie e non solo. A partire dal diritto del cittadino quindi del “
diritto alla cura”, lo slogan di quella manifestazione era “
diritto di curare”. Credo che presto dovremmo organizzarne un’altra ma con uno slogan nuovo che ripartendo sempre dal presupposto del “
diritto alla cura” lanci però questa volta la questione del “
dovere di curare”, intendendo per cura qualcosa che in tutti i sensi della tutela produce salute.
In questi tre anni le cose si sono aggravate e ormai molte politiche regionali tradiscono malcelati caratteri contro riformatori, ma la cosa relativamente nuova riguarda il lavoro la cui crescente svalutazione sta scivolando sempre più dal piano economico (decapitalizzazione) al piano morale e quindi a quello sociale (delegittimazione).
Oggi in sostanza gli operatori a causa di molti impedimenti, restrizioni, e in funzione di una sempre più esagerata flessibilità del lavoro, non sono più in condizione di adempiere ai propri doveri come professioni. Questo vuol dire che sta saltando il postulato chiave della deontologia , vale a dire l’alleanza etica tra doveri e diritti
. i doveri professionali devono essere garantiti con i codici deontologici per garantire tutti i diritti delle persone. Se le professioni non sono più in grado di adempiere ai loro doveri allora il sistema non è più in grado di assicurare alle persone i loro diritti perché sino ad oggi solo il lavoro è stato il vero garante dei diritti. Oggi le diverse misure adottate contro il lavoro in sanità non si limitano a svalutarlo dal punto di vista salariale quindi contrattuale, o dal punto di vista organizzativo quindi degli organici, o dal punto di vista del mercato del lavoro riducendo i livelli occupazionali, ma ormai puntano a mettere in discussione la base della sua legittimazione sociale, vale a dire ,i doveri professionali quali garanzie dei diritti di cittadinanza. Per queste ragioni io farei una manifestazione nazionale di tutte le professioni per “
il dovere di curare”.
Per il sindacato è più facile rivendicare diritti che doveri, stessa cosa seppur paradossalmente anche per gli ordini e i collegi. Da una parte costoro nei loro codici deontologici nel tempo hanno snaturato la loro ragione di essere mettendo i doveri al servizio dell’economicismo, dall’altra sono sempre più inclini a proporsi come degli strani sindacati pubblici che rivendicano diritti professionali inseguendo compiti, competenze e mansioni a costo zero (comma 566). Nella storia tanto dei sindacati che degli ordini e dei collegi i doveri quindi sono sempre stati considerati molto impliciti nei diritti e visti soprattutto come obbligazioni in antitesi alle libertà delle professioni.
Io propongo di organizzare una manifestazione nazionale per proporre i doveri professionali quale prima garanzia dei diritti di salute delle persone. Per chi lavora il dovere consiste sempre in qualcosa da fare o non fare, permesso o vietato. Oggi sempre più cose vietano agli operatori di fare il loro mestiere. Ho detto più volte su questo giornale che oggi il lavoro è un costo e non più un valore, questo vuol dire che i nostri doveri sono solo dei costi che per ragioni di compatibilità finanziaria vanno contenuti. Il costo zero o il blocco dei contratti ci dice solo che per il governo lo scambio diritti/doveri alle condizioni date, non è più conveniente. Il punto allora è come riuscire a far diventare i nostri doveri più convenienti per cambiare le condizioni dello scambio contrattuale. Ma prima dovremmo preliminarmente ridiscutere un punto ed è quello che ritiene che basti descrivere il lavoro in una norma per attivare dei doveri (atto medico, L. 42, comma 566 ecc). Per Hume questa sarebbe una pretesa normativa priva di credibilità:
dire ciò che è il lavoro non significa garantire ciò che esso deve essere.
Tra la descrizione e la messa in pratica vi è per intero tutto il travaglio professionale degli infermieri e tutta la questione medica, per limitarci alle due figure più importanti del sistema di cura. Se ha ragione Hume, propongo di partire non dalle descrizioni formali del lavoro, dai compiti, dalle competenze o dagli atti ma dal “
dovere professionale” cioè dal “
dover essere” degli operatori ...quali agenti...con lo scopo di negoziare il loro “
poter essere”...cioè delle nuove possibilità di lavoro. Questa tesi che fa della deontologia la premessa di ogni prassi lavorativa implica che
il dovere comporti un potere . Per Kant il “
dover essere”, riguarda certo gli atti da compiere ma più precisamente gli “
atti possibili” cioè il lavoro che è possibile fare e che inevitabilmente implica la possibilità da parte di chi lavora di “
poter essere”.
Detto in modo schematico:
· se devo adempiere al mio dovere allora vuol dire che posso fare tutto quello che lo mette in pratica
· per fare quello che devo fare...devo per forza diventare in un certo modo
· dover essere e poter essere è la stessa cosa
Quello che propongo quindi è partire dai doveri quindi dalle deontologie per definire un diverso modo di essere operatori. La mia idea di “autore” non è altro che un operatore che considera i propri doveri come il proprio capitale prima ancora dei diritti.
Per capire la portata politica di una strategia fondata sui doveri e non sui diritti vorrei proporvi il seguente esercizio: adottando la formula “
se solo potessimo ripensare i “doveri”......” si tratta di capire cosa potrebbe cambiare .
Se solo potessimo ripensare i doveri....:
· saremmo in grado di sconfiggere il cinismo di quelle politiche che usando in modo neoliberistico la crisi vogliono liquidare la sanità pubblica
· potremmo educare le popolazione di un Comune a rispettare il “
dovere della salute” cioè a diventare comunità di salute avremmo più salute e i tagli lineari sarebbero inutili
· avremmo la possibilità di combattere la corruzione, il mala affare, le diseconomie, le incompatibilità, e quindi avremmo altre risorse di cui disporre...
Se solo potessimo ripensare i doveri...riferendoci:
· al lavoro nel senso di legare le autonomie di chi lavora alle loro responsabilità e ai risultati prodotti avremmo risorse sufficienti per fare i contratti e pagare come si deve chi lavora
· alla svalutazione del lavoro avremmo stabilito solide barriere contro l’economicismo
· al rapporto tra medico e malato potremmo azzerare il contenzioso legale in sanità i cui costi sono relativamente incalcolabili
· ai rischi professionali potremmo ridefinire i modi e le forme della consensualità, della codecisione, della corresponsabilizzazione del cittadino e cancellare la medicina difensiva
In conclusione oggi a forza di rivendicare il rispetto dei diritti di chi lavora... chi lavora non ha più diritti...per avere i diritti ai quali abbiamo diritto...non resta che prendere la strada della rivendicazione dei doveri. Rivendicare doveri politicamente significa disobbedienza deontologica. l neoliberisti sostengono che i diritti sono insostenibili e che vanno rinegoziati, potrebbero dire la stessa cosa dei doveri? L’idea politica che propongo con l’aiuto di Hume e di Kant è semplice: da “
ciò che siamo” (essere) e “
dovremmo essere” (dover essere) a “
ciò che possiamo essere” (poter essere)... cioè
: dal dovere quale obbligazione al dovere quale possibilità. Ha ragione Kant i doveri sono potere. Noi dobbiamo imparare a servircene. Cominciamo con una bella manifestazione nazionale, che ne dite?
Ivan Cavicchi
18 marzo 2015
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