Ludopatia. Indagine SIMPe-Paidòss: un under 18 su cinque gioca d’azzardo. Ma il 30% dei genitori non lo sa
E il 25% dei piccoli fra 7 e 9 anni si sono già avvicinati a lotterie e gratta e vinci. Questi i risultati di un’indagine nazionale sul gioco d’azzardo presentata in anteprima durante l’International pediatric congress on environment, nutrition and skin diseases, organizzato a Marrakech dal 24 al 26 aprile.
26 APR - Sono circa 800mila gli adolescenti italiani fra i 10 e i 17 anni che giocano d’azzardo e 400mila i bimbi fra i 7 e i 9 anni che si sono già avvicinati al mondo di lotterie, scommesse sportive e bingo, magari utilizzando la paghetta settimanale. Giovanissimi “malati di scommesse”, sui quali pesano l’ignoranza e la latitanza degli adulti. Il 90% dei genitori non ha idea di che cosa significhi esattamente il termine ludopatia. E nonostante oltre la metà dei genitori non nasconda il timore che i propri figli possano essere contagiati dal virus delle scommesse, un adulto su tre ignora che le “sirene” di videopoker, slot-machine, gratta e vinci e superenalotto li abbiano catturati. E così in più della metà delle famiglie, i computer di casa non hanno filtri per impedire di accedere ai siti per il gioco online vietati ai minori.
Sono questi i risultati allarmanti emersi da un’indagine sul gioco d’azzardo nei minori, condotta da Datanalysis e promossa da SIMPe e l’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza (Paidòss) e presentata all’International Pediatric Congress on Environment, Nutrition and Skin Diseases, organizzato a Marrakech dal 24 al 26 Aprile.Uno studio che tratteggia scenari preoccupanti, per questo parte dai pediatri dalla SIMPe, la società italiana medici pediatri, una campagna di sensibilizzazione “Ragazzi in gioco” rivolta ai professionisti e agli studenti delle scuole.
Un quadro a tinte fosche. Dall’indagine condotta da Datanalysis tra 1000 genitori di bambini e adolescenti, emerge con chiarezza come la malattia delle scommesse si stia insinuando fra i giovanissimi, i quali spesso iniziano proprio chiedendo ai genitori di poter giocare (il 48%). E il dato ancora più allarmate è che il 35% degli adulti conosce ragazzini che frequentano sale giochi e in un caso su tre vi ha incontrato minori, dai quali peraltro ha ricevuto la richiesta di giocare al loro posto per eludere i divieti che impediscono alcune tipologie di scommesse a chi non è maggiorenne.
“L’aspetto sconcertante – osserva
Giuseppe Mele, presidente SIMPe e Paidòss – è la sostanziale elusione del problema da parte degli adulti: una quota molto elevata, dal 20 al 30%, risponde di non ricordare, non sapere, non aver visto. In sostanza tanti girano la testa dall’altra parte, non vogliono affrontare il problema, non pensano che il gioco d’azzardo possa costituire un problema, una dipendenza e che questi aspetti negativi possano presentarsi anche nei giovanissimi. Il primo passo, perciò, è parlare di ludopatia in modo che tutti capiscano che cosa sia”.
Il gioco entra, infatti, nelle vite dei ragazzini in maniera strisciante, ha sottolineato Mele, perché è un’attività “normale”, tollerata e praticata abitualmente in famiglia. “Pensiamo che il 90% dei genitori non sa che cosa significhi il termine ludopatia – ha aggiunto – eppure a uno su due è capitato che il figlio volesse giocare, magari contribuendo a scegliere i numeri per la schedina del superenalotto o provando un gratta e vinci. Il 50% dei genitori frequenta sale scommesse più o meno frequentemente: in questa situazione, non stupisce che il 55% dei ragazzi partecipi ai giochi d’azzardo dei grandi o chieda di farlo”.
Insomma, la “normalità del male” circonda i giovani e li corrompe senza che gli adulti se ne accorgano anche perché nonostante molti genitori si dichiarino preoccupati che il proprio figlio giochi d’azzardo (55%) e pur essendo consapevoli che il gioco possa diventare patologico anche nei minori (75%), la maggioranza non fa nulla per proteggere i figli: una famiglia su due non ha limitazioni di accesso ai siti vietati ai minori sul computer di casa. “L’atteggiamento ambivalente dei genitori è inquietante: da un lato preoccupati, dall’altro inerti – ha detto Mele – percepiscono più o meno chiaramente che il gioco d’azzardo potrebbe essere un problema, alcuni sanno che i propri figli giocano, ma non sanno con chi e sembra quasi che sia qualcosa che non li riguardi. Tant’è che il 51,3% delle famiglie non adotta filtri sui computer di casa per limitare gli accessi ai siti vietati ai minori”.
I giovanissimi non giocano per fare soldi, ma soprattutto per divertimento, per emozione. Eppure, tra il 25% dei bambini con meno di 10 anni che ha giocato al gratta e vinci, alle lotterie, al bingo, il 5% lo fa spesso e in genere per il brivido della scommessa, perché a questa età è ancora labile il concetto del valore dei soldi. Videopoker e slot-machine, con i loro colori sgargianti, attraggono anche i più piccoli tanto che ci gioca il 7-8% degli under 10 e vorrebbe farlo il 13%.
Come arginare questi inquietante fenomeno? I pediatri dellaSocietà Italiana Medici Pediatri (SIMPe) si stanno attrezzando: hanno lanciato da Marrakech la prima campagna di sensibilizzazione nazionale contro le ludopatie nei minorenni “Ragazzi in gioco”. Attraverso corsi di formazione dedicati ai pediatri accenderanno i riflettori su dipendenza dal gioco, sintomi e tutte le conseguenze. Professionisti formati che, a caduta, sensibilizzeranno le famiglie e gli studenti nelle scuole. “Paradossalmente – ha spiegato il presidente della SIMPe – la fascia di età che va dai 12 ai 30 anni sta diventando terra di nessuno: pensano di stare bene e non si rivolgono al medico. Noi pediatri abbiamo quindi un compito: cambiare pelle e iniziare a porre attenzione su di loro. Dobbiamo guardare non solo ai bambini e ai giovanissimi ma alla famiglia nella sua interezza. Perché i problemi dei giovani sono legati all’ambito familiare in cui vivono. Come professionisti dobbiamo quindi concentrarci sulla famiglia nella sua interezza”.
E nel caso delle ludopatie dobbiamo intervenire. “È fondamentale fare prevenzione spiegando che le scommesse possono diventare una malattia – ha aggiunto il presidente SIMPe – una dipendenza con sintomi precisi che può avere conseguenze nefaste per se stessi e per la propria famiglia. Dobbiamo riuscire a togliere fascino di passatempi pericolosi, perché un bimbo che si gioca la paghetta alla sala giochi diventerà molto probabilmente un adulto che butterà lo stipendio in qualche sala scommesse”.
C’è una grande attenzione da parte del ministero della Salute, che ha voluto accendere un faro sulle problematiche sulle problematiche legate ai bambini e agli adolescenti, ha infine concluso Mele: “Per questo abbiamo stretto con la Salute un protocollo di intesa sulle problematiche legate all’acquaticità, ossia alle criticità legate all’annegamento e alle corrette tecniche di salvataggio in acqua e ora proseguiamo con le ludopatie con corsi di formazione ai pediatri per poi sensibilizzare giovani e le famiglie”.
26 aprile 2014
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