Una svolta reale nell'organizzazione delle cure pediatriche sul territorio, che vada oltre i proclami, investe risorse, doti gli ambulatori di strumentazione adatta e preveda un coordinamento continuo ed efficace. Ma anche l'estensione della fascia di competenza dei pediatri fino a 18 anni, con un passaggio strutturato e coordinato poi al medico di medicina generale, in modo che ragazzi sani diventino adulti sani e facciano anche risparmiare alle casse dello Stato. Infine, maggiore attenzione alla cura dei bambini all'interno di ospedali, pronto soccorso, terapie intensive. Sono, in breve, le richieste della pediatria italiana, interpellata da Quotidiano Pediatria in uno speciale sul futuro dell'assistenza sanitaria ai più piccoli, con le voci di Sip, Fimp e Sipps.
“Le carenze nel settore dell’emergenza-urgenza rappresentano una vera e propria emergenza - fa notare ad esempio Annamaria Staiano, presidente della Società Italiana di Pediatria (Sip) - è allarmante infatti, anche in Pediatria, la crescente fuga degli specialisti dai Pronto Soccorsi, con la conseguente presa in carico del bambino da parte dei medici dell’adulto. Un fenomeno che riguarda in particolar modo le Terapie Intensive Pediatriche, poche e mal distribuite nel nostro Paese, con quasi un bambino su due che finisce nelle terapie intensive per adulti (dati Fondazione Abio). Per ovviare a questa situazione da tempo chiediamo di costruire la Rete Hub & Spoke per le TIP su base regionale o interregionale, comprensiva anche di modalità e criteri operativi per il trasporto pediatrico. Presupposto essenziale per la costituzione della rete è la definizione del codice ministeriale di disciplina specifico per Terapia Intensiva Pediatrica che permette di identificarle”.
Per quanto riguarda le liste di attesa, problema sentito anche per i bambini, “il problema principale è rappresentato dalla carenza di sub-specialisti, che essendo pochi, non riescono a garantire l'elevata richiesta soprattutto nei pazienti con patologie croniche e complesse (oggi rappresentano ben il 18% della popolazione pediatrica). Il maggiore ricorso al privato non è auspicabile, vanno invece riconosciute sul piano normativo e amministrativo le sub-specialità pediatriche (esempio pediatra neonatologo, pediatra allergologo, pediatra gastroenterologo, pediatra endocrinologo, pediatra pneumologo ecc.), come accade in altri Paesi europei, per far fronte meglio all’aumento di bambini e adolescenti con patologie croniche complesse. Sono infatti sempre più numerosi i soggetti con patologie congenite e disabilità neuromotorie, malattie metaboliche, reumatiche, cardiopatie ecc. che passano dall’età infantile a quella adulta e che necessitano di un’assistenza specialistica. A tal fine la SIP ha presentato un documento ancora al vaglio del Ministero della Salute”.
Sempre parlando di supporto da parte del settore sanitario privato, “noi siamo per un servizio sanitario pubblico - evidenzia Antonio D’Avino, presidente della Federazione italiana Medici pediatri (Fimp) - che si basi sui pilastri di equità e universalità, sui quali per 45 anni abbiamo creduto e che secondo noi sono fondamentali per andare avanti. Ben venga l’apporto delle strutture private accreditate, ma la governance deve sempre rimanere pubblica. Fatta questa premessa la chiave per il futuro è il potenziamento del territorio. Come cure primarie facciamo parte del sistema con i medici di medicina generale e il percorso avviato con il DM77 deve essere proseguito nell’ottica di potenziare realmente il territorio, non con dei semplici proclami ma destinando risorse per migliorare l’organizzazione strutturale attraverso la dotazione di collaboratori di studio, infermieri, costituendo quelle equipe multiprofessionali che possano dare una risposta ancora più veloce rispetto all’attuale. I pediatri di famiglia vogliono entrare a pieno titolo al SSN di domani, che deve assolutamente rimanere pubblico e avvalersi di una sana concorrenza con i privati, che entrano in gioco quando le liste di attesa sono davvero lunghe. Se riusciamo a fare davvero quello che c’è scritto nel PNRR con la telemedicina e mettiamo negli studi mettiamo le tecnologie digitali che ci consentono di migliorare il contatto con i pazienti soprattutto nelle aree a popolazione sparsa, dove bambini sono in 8-10 comuni distanti fra loro magari 10-20 chilometri, soprattutto per le patologie croniche questo potrebbe davvero fare la differenza”.
La Fimp, inoltre, “anche nelle interlocuzioni già in corso, chiede una maggior attenzione alla fascia adolescenziale: vorremmo, insieme alla medicina generale, concordare protocolli e attività che permettano un passaggio di testimone ottimale dal pediatra al medico di famiglia all’età di 18 anni, cosa che è altro prevista dall’OMS. In questi anni dopo la pandemia i ragazzi sono quelli che hanno subito i maggiori problemi e criticità a causa degli effetti dell’isolamento sociale: DCA, tabagismo, dipendenze da alcol e ludopatia sono tutte condizioni che devono essere attenzionate in questa fascia d’età. Per questo chiediamo di estendere la fascia di nostra competenza a 18 anni con un passaggio alla medicina generale che sia poi strutturato per la sua migliore attuazione. In questo modo i pazienti, sui quali abbiamo lavorato soprattutto in direzione della prevenzione, l’educazione sanitaria e la promozione di corretti stili di vita, arriveranno sani dal MMG e contribuiranno anche a ridurre in futuro l’impatto economico dell’assistenza sanitaria”.
Secondo Giuseppe Di Mauro, presidente della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps), “un’organizzazione puntuale e soprattutto un coordinamento efficace della sanità territoriale, con una continuità delle cure 7 giorni su 7, per 12 ore al giorno, con più figure professionali oltre al pediatra convenzionato, produrrebbe risultati positivi per l’assistenza sanitaria in generale, per la gestione degli ospedali, dei pronto soccorso e delle liste di attesa, dando ai cittadini risposte di cura adeguate”.
Per fare questo “ci vogliono risorse economiche che consentano di dotare gli ambulatori pediatrici degli strumenti per poter eseguire, almeno, la diagnosi differenziale di infezioni respiratorie o urinarie, un emocromo, una PCR, una conta dei globuli. In questo modo noi potremmo fare da vero filtro per gli accessi impropri negli ospedali. Un territorio ben organizzato e presidiato con più di una figura professionale è la chiave per garantire la tenuta di un sistema che, peraltro, vedrà fra 2-3 anni una pletora di giovani pediatri: ne sono previsti 4.000, quando il fabbisogno è di 1.000, complice anche la denatalità che non accenna a fermarsi. Occorrerà gestire questi professionisti nel modo migliore, riorganizzarli e fortificare il territorio anche grazie alle aggregazioni funzionali territoriali (AFT) che siano coordinate da un responsabile. Ma ci devono essere le risorse e bisogna attrezzare i nostri ambulatori. Mi viene da pensare che se delle case di comunità costruiamo solo le mura, non andiamo lontano: servono organizzazione e coordinamento”.
Barbara Di Chiara