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Manovra. Farmacie nuovo simbolo della "casta". E nessuno le difende

di Cesare Fassari

Le farmacie sono tra i soggetti più colpiti dal decreto Monti. Ma in loro difesa non sembra schierarsi nessuno. Il perché va ricercato soprattutto nella lotta interna ai farmacisti. Ma anche nella logica del capro espiatorio da dare in pasto al movimento anti-casta

06 DIC - Tra le misure del “pacchetto” Monti ce n’è una sulla quale il consenso appare unanime. Ci riferiamo ai provvedimenti che riguardano le farmacie italiane e in particolare la possibilità che anche i farmaci con obbligo di ricetta della fascia C (quelli a carico del cittadino) possano essere venduti nelle parafarmacie e negli altri esercizi commerciali, già abilitati da una delle famose lenzuolate Bersani del 2006 a vendere quelli di automedicazione senza ricetta. Una misura apprezzata anche dai cittadini che, secondo un’indagine dell’istituto demoscopico Ipr Marketing, commissionata dal quotidiano Repubblica, si sono detti favorevoli nel 78% dei casi.

Ad osteggiare questa ulteriore apertura della vendita di farmaci al di fuori della farmacia tradizionale sembrano essere rimasti solo i farmacisti titolari delle oltre 16 mila farmacie private convenzionate con il Ssn che hanno minacciato la serrata.  Ma anche i rappresentanti delle farmacie comunali, anche loro molto preoccupati per la sostenibilità del servizio farmaceutico pubblico. A questi si aggiunge, pur se con toni e ragionamenti più pacati, il presidente dell’Ordine dei farmacisti, che rileva come la norma sia estranea alla legislazione europea e che in nessun Paese viene contemplata questa possibilità. E si dice anche molto preoccupato per la tenuta del comparto che, a causa dei ritardi pazzeschi nei pagamenti da parte delle Asl, in alcune realtà riesce a sopravvivere solo grazie alla vendita dei farmaci non rimborsati che adesso verrebbe completamente liberalizzata. Il possibile collasso di molte farmacie, sostiene poi Mandelli, metterebbe sulla strada migliaia di farmacisti collaboratori che lavorano nelle farmacie pubbliche e private, per la maggior parte donne.

E tutti gli altri attori della filiera sanità? Silenzio. Come in silenzio, su questo aspetto della manovra, sembrano essere i commentatori di destra e sinistra che certamente non hanno fatto mancare le loro critiche, anche pesanti, al “pacchetto” Monti.
Ma difendere i farmacisti no. Eppure, a leggere sondaggi anche recentissimi, si tratta di professionisti molto amati dal pubblico. Anche più dei medici di famiglia. E questo soprattutto perché il farmacista “c’è sempre”. Giorno, notte, festivo. Nel piccolo come nel grande centro abitato.
E però, e però… andando a scavare nel sentimento più popolare (e in questa categoria facciamo rientrare pure i censori anti casta e affini), scopriamo che a tanto apprezzamento professionale non corrisponde un’altrettanto forte complicità. Il farmacista è sì bravo, è sì disponibile, è sì sempre cortese e professionale nei suoi consigli. Ma il farmacista è anche "ricco", perché ha la macchina grande e la barca, e la casa più bella del quartiere, eccetera, eccetera. Status simbol di un'epoca forse scomparsa per sempre, visto il calo progressivo dei fatturati delle farmacie sotto l'onda inarrestabile e inevitabile dei generici. Ma questa è comunque la percezione ancora ampiamente diffusa.
 
Sentimenti molto vicini all’invidia che, quando si guarda al cittadino possono ascriversi tranquillamente alla categoria soft del “beato lui” ma che, quando si spostano nel circuito interno alla professione, si trasformano in vera acrimonia e voglia di rivalsa contro chi ha “i privilegi”. Il privilegio in questo caso è costituito da due elementi fondamentali: il numero programmato per aprire le farmacie e, per l’appunto, il monopolio (già oggi intaccato) della vendita dei medicinali. Con il decreto Monti si va a incidere ulteriormente sulle prerogative del monopolio delle farmacie (un monopolio, va detto, che lo stesso Consiglio di Stato ha recentemente giustificato a fronte dei limiti alla libertà di commercio che le farmacie hanno rispetto agli altri esercizi commerciali).
Il combinato disposto dei due atteggiamenti (il “beato lui” e la rabbia interna alla professione tra chi ha la farmacia e chi no), unito, va detto, ad un'antistorica reticenza della maggior parte delle farmacie a qualsiasi innovazione, ha creato l’humus ideale per una stagione di norme anti-farmacia, facendo assurgere le "croci verdi" a uno dei simboli del "privilegio" di casta.
 
La lenzuolata di Bersani del 2006 è stata la prima risposta a quella protesta crescente che individuava nelle parafarmacie l’avanguardia di un movimento di liberalizzazione del settore. Per abbassare i prezzi dei farmaci e ampliare le possibilità di fare impresa nel canale della distribuzione finale del farmaco.
In realtà da quella lenzuolata ci si aspettava molto di più di quanto si è nei fatti verificato. Nonostante l’ampliamento dei canali di vendita, il mercato di questi prodotti è rimasto di fatto sempre lo stesso. Inchiodato a una quota attorno al 10% del totale dei farmaci venduti in Italia, per un totale di 2,2 miliardi di euro. Una fetta invariata dal 2005, quando di liberalizzazioni non se ne parlava neanche. L’altro elemento da considerare è che, nonostante la crescita delle parafarmacie, che contano attualmente circa 2.500 esercizi e la nascita di oltre 270 corner nei supermercati, la farmacia tradizionale, con la sua rete onnipresente di 18 mila punti vendita, resta di fatto monopolista del settore, continuando a vendere più del 90% del totale dei farmaci sul territorio. Una percentuale ormai stabile che non sembra destinata a scendere più di tanto nei prossimi anni.
Questo vuol dire che, a conti fatti, a godere degli sconti praticati soprattutto dai corner della grande distribuzione (mediamente del 23% secondo l’Anifa ma solo del 10% secondo Federconsumatori) e dalle parafarmacie (con prezzi più bassi del 6% secondo Anifa ma di meno del 3% secondo i consumatori), sono una minima parte di cittadini.
 
Poca informazione? Poca pubblicità? O la forza dell’abitudine? Secondo un’indagine recente della Nielsen, in realtà, gli italiani preferiscono spendere magari qualche euro in più ma andare nella farmacia sotto casa, che in ogni caso qualche sconto lo fa.Ora, con l’ampliamento anche alla fascia C con ricetta si spera evidentemente che le cose cambino. Le associazioni delle parafarmacie parlano dell’apertura di almeno altri 3.500 punti vendita e la grande distribuzione, che al momento è restata in silenzio, sta certamente sviluppando nuovi piani di marketing per valorizzare questa nuova fetta di prodotti da vendere nei suoi corner.
 
Non c’è dubbio che il fatturato di questa categoria di farmaci (circa 2/2,5 miliardi di euro nel 2010 escludendo dal conto gli stupefacenti e i mono ricetta esclusi dalla liberalizzazione) sia potenzialmente interessante anche alla luce dell’ultima novità inserita nel decreto che ne ha previsto la liberalizzazione del prezzo. Una misura, ovviamente apprezzata dai consumatori ma che, per quanto riguarda gli operatori, non è azzardato ipotizzare che premierà soprattutto la grande distribuzione e le farmacie con maggiori possibilità di acquisto che riusciranno a “strappare” prezzi più convenienti ai grossisti. Per la maggior parte delle parafarmacie “private” (alle quali tutti sembrano “dedicare” questa misura) la liberalizzazione del prezzo di questi prodotti gioverà verosimilmente molto poco in considerazione dei volumi ridotti di acquisto che potranno essere in grado di sostenere.
Senza contare poi i limiti, giusti, imposti dal decreto per la verifica di nuovi requisiti strutturali che parafarmacie e corner dovranno garantire per poter vendere i farmaci di fascia C con obbligo di ricetta. Limiti severi e costosi che solo la grande distribuzione e le parafarmacie di proprietà di catene commerciali potranno verosimilmente permettersi.
 
E allora, alla fine, quali vantaggi effettivi ci saranno? Forse qualche risparmio per i cittadini e questo è indubbiamente un bene. Che sarà però pagato in termini di possibile crisi del settore della distribuzione farmaceutica primaria (vale a dire le farmacie convenzionate con il Ssn e per questo a tutti gli effetti pubblici servizi) che in ogni caso hanno l’obbligo di essere comunque aperte e funzionali in ogni realtà economica e territoriale. In proposito è un bene che il Governo abbia inserito la soglia dei 15 mila abitanti per le liberalizzazioni. Ma non siamo certi che questo limite sarà sufficiente a scongiurare la crisi di molte farmacie.
 
Qualcuno dirà: è il mercato bellezza! Forse, ma siamo sicuri che quando si parla di farmaci, anche seri e importanti come quelli oggi liberalizzati, che sono comunque indotti da una prescrizione del medico, sia giusto che a dettare le regole siano le logiche di mercato? E siamo sicuri che possa essere il mercato a dettare le regole di un servizio pubblico come quello garantito dalle quasi 20 mila farmacie territoriali? Noi abbiamo molti dubbi. Perché oggi, del mercato, apprezziamo il miraggio dello sconto. Ma mercato vuol dire anche selezione dell’offerta in base al prezzo e alla convenienza e quindi un domani potrebbe dire anche selezione del prontuario e della disponibilità di farmaci in magazzino a secondo della convenienza del momento. Vogliamo questo?

Cesare Fassari
 
 
 
 

06 dicembre 2011
© Riproduzione riservata

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