Riforma Pa. #Pubblico6Tu, oggi nelle piazze italiane i lavoratori della sanità incontrano i cittadini
Al via il secondo sabato di mobilitazione per i lavoratori dei servizi pubblici. Dopo i lavoratori degli enti locali questa volta tocca alla sanità. Oggi, nelle piazze delle città italiane gli operatori di Fp-Cgil Cisl-Fp Uil-Fpl incontreranno i cittadini per cambiare insieme il sistema sanitario.
11 OTT - In vista della manifestazione nazionale dei lavoratori dei servizi pubblici contro il blocco dei contratti, i tagli e la riforma della pubblica amministrazione, che si terrà il prossimo 8 novembre, oggi gli operatori di Fp-Cgil Cisl-Fp e Uil-Fpl uniti sotto l’hashtag “Pubblico6Tu” incontreranno nelle citta italiane i cittadini per cambiare insieme il sistema sanitario.
Negli ultimi 5 anni – affermano le tre sigle –, il Ssn ha subito tagli pesantissimi. I servizi sono stati progressivamente erosi. Le liste di attesa si sono allungate, i posti letto sono diminuiti, non si è costituita in parallelo una rete territoriale in grado di attivarsi 7 giorni su 7, 24 ore su 24. Il diritto alla salute è messo in discussione. Serve una riforma complessiva. I lavoratori del Servizio Sanitario Nazionale sono i primi a volerla e si battono per riorganizzare il sistema e migliorare i servizi.
Per questo i sindacati hanno deciso di aprire uno spaccato non solo sui punti critici del Ssn, ma anche sulle potenzialità di miglioramento dei percorsi di cura. Un incontro con le comunità locali per un nuovo sistema di salute che metta davvero al centro le persone. I punti critici all’attenzione sono, tra gli altri: più tutela della salute, diminuzione del Fsn, aumento dei ticket e dei tempi delle liste d’attesa, lo stop alla contrattazione che ha bloccato gli investimenti nell’organizzazione del lavoro, nelle competenze, nello sviluppo professionale.
I cittadini chiedono più tutela della salute. “Negli ultimi 5 anni – spiegano Fp-Cgil Cisl-Fp e Uil-Fpl – il sistema ha subito tagli pesantissimi. I servizi forniti dalle strutture sanitarie sono stati progressivamente erosi. Le liste di attesa si sono allungate, i posti letto sono diminuiti, molti reparti accorpati o soppressi, ma non si è costituita in parallelo una rete territoriale in grado di attivarsi 7 giorni su 7, 24 ore su 24. Il diritto alla salute è messo in discussione. Serve una riforma complessiva. I lavoratori del Servizio Sanitario Nazionale sono i primi a volerla e si battono per riorganizzare, migliorare i servizi ed evitare ulteriori insostenibili tagli al sistema”.
La spesa sanitaria in picchiata. “Il fondo nazionale a disposizione delle Regioni per l’assistenza sanitaria si è ridotto di oltre 31 miliardi dal 2011 al 2015, fatti salvi eventuali ulteriori tagli. La spesa sanitaria totale (pubblica e privata) nel nostro paese vale il 9.3% del Pil mentre Francia, Olanda e Germania investono nella salute dei propri cittadini più dell’11%. Gli Stati uniti addirittura il 17,7%. La sanità italiana non spende troppo, ma spende male: sono anni che aspettiamo riorganizzazione, revisione di spesa, costi standard, per individuare gli sprechi e reindirizzare le risorse”.
I ticket e la spesa privata crescono. “In soli tre anni (2010-2013), gli italiani hanno speso in ticket il 25% in più. Tra il 2007 e il 2012 la spesa sanitaria privata è cresciuta del 9,2% a causa di liste d’attesa interminabili per prestazioni anche urgenti, oltre che dei costi non più concorrenziali della sanità pubblica. E se questo dato è sceso nel 2013, il motivo lo ha spiegato l’Istat: la crisi economica ha indotto molte persone a rinunciare alle cure, anche se necessarie”.
Si allungano le liste di attesa. “Le denunce dei pazienti al Tribunale del malato tracciano un quadro in costante deterioramento. L’attesa media per un elettrocardiogramma è passata in un anno da 6 mesi a 9, quella per una colonscopia da 9 a 11, da 6 a 12 per una TAC, da 12 a 14 per una mammografia. Il 7,9% dei malati di tumore lamenta lunghe attese per poter iniziare la chemioterapia: sono il 3% in più dell’anno scorso”.
I bisogni di salute restano senza risposte. “L'Italia si colloca sotto la media Ocse per numero di posti letto per malati acuti: 3.4 per mille abitanti contro i 4.8 della media Ocse. Solo 12 anni fa erano 4.7 ogni mille abitanti. I malati cronici sono 18 milioni, di cui 2,3 non autosufficienti. Si dovrebbe investire nell’assistenza domiciliare, ma una vera rete integrata di servizi tra ospedale e territorio non si è mai realizzata. E si dovrebbe investire in prevenzione, ma l’Italia le dedica appena lo 0,5% della spesa sanitaria contro il 2,9% della media europea”.
Qualità del lavoro = qualità nella cura. “Dal 2007 al 2012 la sanità pubblica ha perso l’1,3% del suo personale. Nel 2012 l’Italia aveva 6.4 infermieri per 1000 abitanti, contro gli 8.8 degli altri paesi OCSE. Stesso trend negativo per le altre professioni e per le figure tecniche e ausiliarie dell’assistenza. Su 706mila lavoratori della sanità pubblica, più di 33mila hanno contratti precari: sono necessari per mantenere i servizi, ma continuamente esposti al rischio di essere espulsi dal sistema. La Ue ha deferito l'Italia alla Corte europea di giustizia perché i medici del ssn non hanno diritto a un limite orario settimanale e a periodi minimi di riposo giornaliero, mentre la normativa comunitaria prevede un massimo settimanale di 48 ore e un riposo giornaliero di almeno 11. La medicina difensiva – concludono le tre sigle – è esplosa, perché manca una normativa adeguata sulla responsabilità professionale in sanità che tuteli sia il medico che il cittadino. Le spese inappropriate che ne derivano per la collettività ammontano a più di 10 miliardi. Lo stop alla contrattazione ha bloccato gli investimenti nell’organizzazione del lavoro, nelle competenze, nello sviluppo professionale. E ha fatto perdere in media a ciascun lavoratore della sanità 3.300 euro in 5 anni”.
11 ottobre 2014
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