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Taranto. La salute dopo l’Ilva. Sviluppare ricerca per proteggere benessere dei cittadini


Il convegno organizzato dalla Fnomceo raccoglie dati inquietanti, che indicano esiti ancor più gravi nei prossimi anni, se non si interviene subito. Ma servono fondi per il risanamento ambientale e per la ricerca.

30 SET - Alla fine della mattinata di lavori, concluse le relazioni scientifiche, il pubblico raccolto nella sala dell’Università si alza per una pausa. Restano seduti, abbracciati e in lacrime, un uomo e una donna. È un’immagine inconsueta in un convegno di medicina, ma assolutamente comprensibile in questo caso.

Perché il convegno Salute, ambiente, lavoro nella città dell’acciaio ha raccolto interventi e dati sulla salute a Taranto, dove gli stabilimenti e i loro fumi sono parte del panorama quotidiano e dove le preoccupazioni non sono astratte, ma concretissime e riguardano la propria vita e quella delle generazioni future.

Non si tratta di fare “allarmismo”, come ha ripetuto più volte Cosimo Nume (leggi intervista), presidente dell’Ordine dei medici di Taranto e organizzatore del convegno insieme a Emanuele Vinci, presidente dell’Ordine di Brindisi. Si tratta piuttosto di raccogliere i dati, perché, come ha detto Vinci: “Ora non si può non sapere”.

Introdotto da Valentina Petrini, giornalista di Piazza Pulita, è Agostino Di Ciaula (della sezione ISDE di Taranto, tra i promotori del convegno) che ricorda come i primi dati siano ormai del 1987, e oggi mostrano un aumento di incidenza per carcinomi e Bpco e un elemento in pericolosa controtendenza: l’aspettativa di vita media in quest’area si è abbassata di due anni, mentre nel resto del Paese continua a crescere. E Raffaella Depalo (Policlinico di Bari) aggiunge dati che mostrano un aumento dell’infertilità, che raggiunge il 20-25%, mentre un numero crescente di donne che arrivano anticipatamente alla menopausa.

A spiegarne le ragioni è Alberto Mantovani (Iss) che illustra come gli agenti inquinanti, e in particolare gli interferenti endocrini, entrino nel ciclo ambientale, arrivando agli alimenti e quindi ad interagire con l’organismo umano.

Un’interazione che, come illustra Ernesto Burgio (presidente del comitato scientifico ISDE) investe gli esseri umani, ma ancor più embrioni, feti e gameti. Secondo questa lettura epigenetica, Burgio ha detto che “quel che si genera adesso lo percepiremo tra 20 anni”, citando in particolare l’aumento di incidenza dell’autismo, per il quale Lancet parla ormai di pandemia nelle zone fortemente inquinate.
Un dato che purtroppo è confermato a Taranto, come hanno ricordato molti interventi del pubblico, numeroso, composto dai medici provenienti da tutta Italia (il convegno ha avuto il sostegno della Fnomceo e sono quindi affluiti rappresentanti da tutti gli Ordini provinciali) e da medici, studenti e cittadini della regione.

E molti interventi hanno sottolineato la necessità di sviluppare maggiori ricerche sulla realtà sanitaria della zona, anche offrendo maggiori servizi alla popolazione locale. Purtroppo, come ha spiegato Depalo, per i suoi studi sono stati utilizzati in un primo tempo fondi privati e solo in un secondo momento si è attivato un progetto ministeriale, mentre non c’è stato alcun intervento da parte della Regione.

Ma perché, pur conoscendo ormai la situazione di rischio, non abbiamo ancora messo in campo misure adeguate? Al di là delle ragioni politiche, giuridiche ed economiche, affrontate nella seduta pomeridiana del convegno guidata da Sandra Amurri (il Fatto quotidiano), potrebbe esserci una ragione antropologica. Il nostro cervello, ha spiegato Paolo Rognini (Università di Pisa) ha un software vecchio, capace di riconoscere solo i pericoli materiali, ma che non si attiva invece davanti a pericoli resi evidenti solo da dati scientifici non percettibili attraverso i sensi.

Eppure, qualcuno si è reso conto del rischio già molti anni fa. Come Alessandro Leccese, ufficiale sanitario a Taranto negli anni in cui si costruiva l’Italsider, o come Alberto Arrò, medico di famiglia e primo presidente della sezione Isde di Taranto. I due medici sono stati ricordati nel corso del convegno attraverso la voce di Michele Riondino, attore noto al pubblico televisivo e tarantino doc.

30 settembre 2013
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