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Giornata internazionale della copertura sanitaria universale: 1,3 mld di persone al mondo rischiano la povertà per curarsi


Focus sul ruolo della protezione finanziaria nel raggiungimento della copertura sanitaria universale. Ma l’obiettivo appare sempre più lontano perché “negli ultimi 20 anni la protezione finanziaria si è progressivamente ridotta”, si legge sul sito dell'Universal Health Coverage Day. In Italia, ricorda l’Iss, il 18% degli ultra 65enni ha rinunciato ad almeno una visita medica o a un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno. Lo svantaggio economico tra i fattori che più incidono.

11 DIC - Un sistema che estenda la copertura sanitaria a tutta la popolazione, garantisca i servizi e le prestazioni necessarie quando e dove ne hanno bisogno e lo faccia senza caricare le persone di costi diretti. Questo si intende per copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage o UHC), un tema da tempo al centro dell’agenda internazionale e uno dei target degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile per il 2030. In occasione dell'Universal Health Coverage Day – che si celebra il12 dicembre istituito dalle Nazioni Unite nel 2012 – con un focus sul ruolo della protezione finanziaria nel raggiungimento della UHC, l’Istituto Superiore della Sanità (Iss) fa il punto su un obiettivo che appare sempre più lontano. Lo fa citando anzitutto il sito dell'Universal Health Coverage Day, che spiega come “negli ultimi 20 anni la protezione finanziaria si è progressivamente ridotta con 2 miliardi di persone in difficoltà economiche e 1,3 miliardi di individui spinti verso la povertà a causa dei costi per la salute che sono costretti a sostenere”.

In Italia, l’Iss ricorda come, per i dati della sorveglianza Passi d’Argento pubblicati a ottobre 2024, nel biennio 2022-2023, il 18% degli ultra 65enni (2,6 milioni di persone) ha dichiarato di aver rinunciato ad almeno una visita medica o a un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno nei 12 mesi precedenti l’intervista. Fra le ragioni principali della rinuncia: le lunghe liste di attesa (nel 55% delle rinunce), le difficoltà logistiche nel raggiungere le strutture sanitarie o la scomodità degli orari (13%) e i costi eccessivi delle prestazioni (10%).

La rinuncia è risultata più frequente fra le persone più svantaggiate, economicamente (39% tra coloro che hanno dichiarato di arrivare a fine mese con molte difficoltà vs il 20% tra chi non ne ha) o per bassa istruzione (24% tra chi ha al più la licenza elementare vs il 19% tra i laureati) e tra gli over65 che risiedono al Centro e al Sud (27% vs 16% tra i residenti nelle regioni settentrionali). Oltre la metà degli intervistati che non ha rinunciato a ciò di cui aveva bisogno ha fatto ricorso a prestazioni a pagamento: il 10% ricorrendo esclusivamente a strutture private e il 49% ricorrendovi alcune volte. Solo il 41% ha utilizzato esclusivamente il servizio pubblico.

L’Iss evidenzia anche come nelle regioni del Sud si perdano più anni di vita per i tumori della mammella e del colon e i tassi di mortalità, storicamente più bassi nel Mezzogiorno, ora sono paragonabili a quelli del settentrione. “Lo afferma il Rapporto Istisan Tumori della mammella e del colon-retto: differenze regionali per mortalità, screening oncologici e mobilità sanitaria” elaborato dallo stesso Istituto Superiore di Sanità. Secondo il documento ISS tra le cause di questo fenomeno c’è anche il minore ricorso agli screening: nelle aree dove si partecipa meno a questa forma di prevenzione la mortalità è maggiore e si rileva anche un più alto l’indice di fuga (il numero di pazienti costretti a spostarsi per potersi operare).

La copertura totale dello screening mammografico disegna un chiaro gradiente Nord-Sud, a sfavore delle regioni meridionali con la percentuale di adesione che va dal 90% raggiunto in molte regioni settentrionali ad appena il 60% in alcune regioni meridionali. Nelle regioni del Nord dove la copertura degli screening è elevata la riduzione di mortalità per tumore della mammella tra il 2001 ed il 2021 è più forte (supera il 35%) rispetto alle regioni del Sud.

Un andamento simile si ha anche per i tumori del colon: la copertura dello screening per il tumore del colon-retto raggiunge valori più alti fra i residenti al Nord (67%), ma è significativamente più basso fra i residenti del Centro (51%) e del Sud (26%). Nelle regioni del Centro e del Nord dove lo screening è partito prima e con livelli di copertura più elevati (intorno al 70%) la mortalità si è ridotta di circa il 30%, molto più che al Sud (-14% nelle donne e -8 negli uomini).

Per entrambi i tumori il rapporto ISS mostra livelli contenuti di mobilità dei pazienti nel Centro e nel Nord del Paese. Nel Sud comprese le isole sono presenti livelli di mobilità nettamente più alti (circa 3 volte) rispetto al Centro-Nord. Per quanto riguarda il tumore della mammella le Regioni con le coperture di screening più alte presentano indici di fuga più bassi. “Questo dato – sottolineano gli autori - evidenzia come in Regioni in cui lo screening mammografico raggiunge una buona parte della popolazione femminile target il sistema è anche in grado si prendersi carico dei casi di tumore della mammella che necessitano di un ricovero ospedaliero per intervento chirurgico, mentre questo non è sempre garantito nelle Regioni dove lo screening è ancora lontano dai livelli ottimali. In questo panorama Regioni come Calabria e Molise si distinguono fra quelle con i più bassi livelli di copertura dello screening mammografico e il più alto indice di fuga”.

Anche per il tumore del colon-retto, così come per la mammella, le regioni con alti livelli di copertura dello screening tendono a presentare livelli bassi dell’indice di fuga, seppure esistano alcune regioni in controtendenza (Puglia e Campania, bassa copertura e bassa fuga). Si conferma invece per regioni come Calabria e Molise la compresenza di elevati indici di fuga e bassi livelli di copertura dello screening.

11 dicembre 2024
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