Fertilità e inquinamento. La proteina p53 degli spermatozoi nuovo biomarcatore di danno al Dna
Se ne è parlato al Congresso europeo di Riproduzione umana grazie al lavoro presentato dal gruppo di ricerca EcoFoodFertility coordinato da Luigi Montano, UroAndrologo dell’Asl di Salerno e presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana. Lo studio ha evidenziato danni al Dna spermatico più alti di oltre il 40% in quei soggetti (128) residenti in Terra dei Fuochi rispetto a quelli residenti (109) nell’area della Valle del Sele.
27 GIU - La proteina p 53 nuovo biomarcatore di danno da inquinamento ambientale. E’ quanto emerso al congresso europeo di Riproduzione umana (Eshre) tenutosi a Vienna dal 23 al 26 giugno in un lavoro presentato dal gruppo di ricerca EcoFoodFertility coordinato da
Luigi Montano, UroAndrologo dell’Asl di Salerno, presidente nazionale della Società Italiana di Riproduzione Umana (Siru).
“Questo lavoro - avverte Montano - che già era stato premiato al Congresso nazionale di Andrologia di Bari appena un mese fa, come migliore comunicazione scientifica, è stato condotto in collaborazione con il centro di ricerche Gentile coordinato da
Raimondo Salvatore, presentato da
Tiziana Notari dirigente medico della Asl di Salerno ed ha confrontato 237 campioni seminali di soggetti omogenei per età e stili di vita, non fumatori, dell’area della Terra dei Fuochi con quella dell’area del Cilento e Sele nel Salernitano”.
“Sono stati riscontrati – spiega - danni al Dna spermatico più alti di oltre il 40% in quei soggetti (128) residenti in Terra dei Fuochi rispetto a quelli residenti (109) nell’area della Valle del Sele. Il danno è stato misurato attraverso un nuovo metodo appena pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Human Reproduction dal gruppo di lavoro del progetto che è riuscito a identificare e misurare i livelli della p53 intraspermatica, proteina che regola il destino delle cellule, definita appunto “guardiano del genoma”, risultata in confronto con altre metodiche di valutazione molto affidabile e soprattutto ripetibile”.
Un lavoro che rafforza precedenti i lavori del progetto EcoFoodFertility che si sta conducendo in diverse aree inquinate d'Italia e che considera lo sperma quale mezzo precocissimo ed ideale di valutazione di impatto ambientale sulla salute umana. Nello studio del Dna spermatico sembrano riscontrarsi i primi e più profondi segni del danno ambientale, così come emerso in un lavoro di confronto fra i valori di danno al Dna spermatico con i livelli di PM10, PM2.5 e benzene di ben 5 aree del Sud Italia, pubblicato su Environmental Toxicology and Pharmacology nel marzo 2018.
“Questi dati sui nuovi biomarcatori– dichiara Montano - indicano quanto il danno da inquinamento non sia solo confinabile alla capacità riproduttiva dell’individuo, ma che lo stesso determini alterazioni genetiche ed epigenetiche potenzialmente trasmissibili alle future generazioni con maggiore suscettibilità di queste a patologie cronico-degenerative. Ecco perché - continua Montano - lo studio dei biomarcatori riproduttivi, in particolare quelli seminali, estremamente sensibili agli stress ambientali, precoci ed anche predittivi di patologie cronico-degenerative per le nuove e future generazioni, può rappresentare una chiave di volta nella valutazione del rischio salute per una rivoluzione in campo epidemiologico che, invece di seguire e registrare solo gli esiti del danno finale come fanno i registri tumori, in ottica di prevenzione attiva, punti sulle patologie di fondo, sui primi segnali di danno a carico di sistemi Organo-Sentinella come per esempio l’apparato riproduttivo, che può dare informazioni precoci di modificazione funzionale o strutturale prima che si manifesti il danno clinico”.
Ettore Mautone
27 giugno 2019
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