Il fascino e le difficoltà di fare il medico a Napoli
09 MAG -
Gentile direttore,
nessun chirurgo, nessun radiologo specie di un ospedale pediatrico, in un paese che non è in guerra, ha esperienza di ferite da arma da fuoco o ha mai estratto proiettili dal corpo di una bambina, una piccola bambina. Un chirurgo pediatra è stato formato per curare altro, malattie acute dei polmoni o dell’addome o dell’apparato urinario o malattie croniche oncologiche anche complesse, ma nessuno lo ha mai formato per una emergenza da conflitto a fuoco.
E pure i miei colleghi dell’ospedale Santobono dai chirurghi ai radiologi, nei giorni scorsi sono stati chiamati ad affrontare una patologia assai rara, in quanto è giunta alla loro osservazione una piccola bambina di soli 4 anni colpita da un proiettile, come riferivano gli accompagnatori. L’iter diagnostico doveva essere rapido e preciso, bisognava dire ai chirurghi dove era il proiettile, bisognava individuare il percorso che aveva seguito, gli organi che erano stati colpiti, e intanto bisognava monitorare le condizioni generali, tenere sotto controllo le perdite ematiche e prevenire lo shock.
I radiologi sono riusciti a individuare tempestivamente e precisamente il proiettile che era entrato spappolando la scapola destra, aveva attraversato tutto il polmone di destra, poi tranciando il corpo vertebrale della sesta vertebra dorsale aveva attraversato anche il polmone di sinistra e si era fermato vicino a una costa. L’immagina ecografica del proiettile che si muoveva seguendo i movimenti del respiro della bambina era davvero impressionante.
Avanti a un quadro clinico così complesso e così inusuale i miei colleghi del Santobono dagli anestesisti ai rianimatori, dai chirurghi agli pneumologi hanno fatto qualcosa di straordinario, ma tutto il sistema ha funzionato alla perfezione. Sono stati chiamati al tavolo operatorio i migliori operatori anche i cardiochirurghi dell’ospedale Monaldi, i migliori infermieri di camera operatoria, sono state messe in atto dalla direzione sanitaria e dalla direttrice generale tutte le garanzie affinché il personale medico e infermieristico potesse operare bene e con tranquillità.
E adesso il personale della Rianimazione sta facendo di tutto per far sì che la bimba nella zona di isolamento, attaccata al respiratore e in coma indotto, possa superare indenne il decorso post operatorio, anche se le lesioni polmonari sono serie e preoccupanti.
Ecco tutto questo per raccontare un’esperienza straordinaria realizzata a Napoli in un ospedale pediatrico che se pur tra mille difficoltà ( il PS e poi tutto l’ospedale deve far fronte a oltre 100.000 accessi all’anno, si avete letto bene, non c’è nessuno zero in più, sono proprio centomila) è riuscito ad affrontare un problema raro e complesso, con competenza e abnegazione, perché quella sera sono state messa a dura prova le capacità tecniche e organizzative, le competenze scientifiche ma anche fermezza d’animo, e mentre una parte dell’ospedale stava seguendo un caso tanto particolare, tutte le altre attività nel resto dell’ospedale continuavano alacremente come sempre.
Ecco questa è una piccola storia che va raccontata e che dá la chiara misura di come è difficile ma anche estremamente affascinante fare il medico, a Napoli.
On. Paolo Siani (PD)
Commissione Affari Sociali della Camera
09 maggio 2019
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