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Calabria. Un giorno sarà ricordata come l’Hiroshima della salute del Mezzogiorno

In Calabria la sanità non è in grado neppure di rispondere all'appello dei cittadini richiedenti i servizi minimali. Aziende consegnate solo a tre commissari straordinari su otto, con la conseguenza che cinque aziende non posso garantire assistenza ai calabresi, lasciati per lo più in mano a burocrati che, fatta una dovuta eccezione, di management sanitario ne sanno poco o nulla

27 AGO - Un giorno si scriverà, e tanto, della sanità in Calabria come avvenimento catastrofico. Sono finiti i termini per qualificarla: capace di mettere in ginocchio una comunità intera; da incubo, peggio delle cucine dello chef Cannavacciuolo; pericolosa a ricorrervi; produttiva di morti innocenti, compromessa dai voleri, diretti e indotti, della 'ndrangheta. Insomma, sarà ricordata come l'Hiroshima della salute del Mezzogiorno, di per sé la peggiore del Paese.

La soluzione elusa
Un evento che chiunque, dotato di buon senso, avrebbe affrontato, da subito e sino alla sua riparazione, con misure straordinarie legislative da perfezionare in loco e ad hoc. Lo stato comatoso, nel quale essa si trovava già agli inizi del 2000, esigeva un immediato intervento della protezione civile, a mente della legge n. 225/1992 e del d.lgs. 112/1998 nonché del D.L. 343/2001.

Di quella nazionale e, ovviamente, non di quella protezione civile regionale che è tutt'altra cosa, atteso che è limitata all'esercizio di quella funzione posta a tutela di danni derivanti da catastrofi ed eventi calamitosi, nonché diretta a superare l'emergenza e a prevenire i disastri causati dal cambio del meteo.

Insomma, la sanità avrebbe richiesto - e lo sto sollecitando da 10 anni, condiviso unicamente dal buon Tullio Laino - una maggiore cura in tal senso, sin dall'inizio della sua irrefrenabile discesa. In sua vece le è stato, di contro, dedicato un inutile e dannoso scaricabarile, determinatosi con un assurdo andirivieni di commissari ad acta, che hanno rappresentato la medicina peggiore del male.

Nel dicembre 2007, con una presa di coscienza, pur tardiva, delle ben note morti innocenti, il Governo dell'epoca impose, per l'appunto, un commissariamento di protezione civile, nel quale ebbi l'onore di lavorare nella qualità di soggetto attuatore del titolare Vincenzo Spaziante, su indicazione di Agazio Loiero, l'unico a volerci vedere chiaro sul tema.
 
Passata la festa .........

Cessata quella produttiva esperienza - che aveva inventariato il debito pregresso e fuse le vecchie Asl nelle attuali Asp in soli quattro mesi nonché iniziato a curare l'avvio degli allora quattro ospedali (Alto Jonio, Gioia Tauro, Vibo Valentia e Catanzaro), a tutt'oggi nel nulla, e il potenziamento delle tecnologie ospedaliere - si è dato inizio alle "macabre danze". Quelle che rintracciano le vittime sacrificali nella collettività calabrese. Quanto alle nuove strutture ospedaliere, sono preda di lotte intestine intese a favorire un campanile piuttosto che un altro, come se si giocasse al Monopoli.
 
Tanti quattrini buttati al vento per incentivare il dramma
Si sono, infatti, succeduti commissariamenti, ex art. 120, comma 2, della Costituzione, con il risultato di lasciare in mano una regione a chi di sanità non capiva nulla, di risanamento di bilanci meno e di riorganizzazione del sistema, finalizzato a rendere esigibili i Lea nella condizione accettabile, neanche a parlarne.

Dopo questa atroce via crucis imposta sadicamente ai calabresi dai Governi dell'ultimo decennio e delle corrispondenti governance regionali che hanno fatto altrettanto o peggio, si è arrivati al decreto legge ideato dalla Grillo, molto ironicamente chiamato salva Calabria. Un provvedimento che costituirà un esempio di quanto si possa fare di negativo, di cosa si possa imporre ad una Regione per conseguire il peggio, ovverosia la definitiva scomparsa dei diritti costituzionali posti a tutela della salute.
 
Al fin della licenza: ecco il decreto Grillo
Sui suoi limiti, sugli obbrobri che contiene e sui rischi che determina ho scritto troppo, magari annoiando tutti senza tuttavia che alcuno abbia mosso un dito per porvi rimedio.

Nel frattempo si sono verificate cose, che sembravano estratte dai più inguardabili film horror, tanto da avere riguardato la vita delle persone. Un Governatore che per voce sua - meglio per quella molto più modesta del suo delegato - anziché battersi rivendicava cariche piuttosto che pretendere soluzioni. Ciò in contrapposizione a chi immagina e ha deciso di svolgere il proprio ruolo politico caratterizzandolo di isterismo ovvero della solita incuranza verso i diritti diffusi mai resi esigibili alla comunità calabrese.

Sta di fatto che in Calabria la sanità non è in grado neppure di rispondere all'appello dei cittadini richiedenti i servizi minimali. Aziende consegnate solo a tre commissari straordinari su otto, con la conseguenza che cinque aziende non posso garantire assistenza ai calabresi, lasciati per lo più in mano a burocrati che, fatta una dovuta eccezione, di management sanitario ne sanno poco o nulla.
 
Il risultato
Presidi ospedalieri dipendenti dalle Asp spopolati, costretti a mantenere aperti “i cancelli” - a soddisfazione della politica locale che troppo spesso cura l'immagine piuttosto che la ineludibile sostanza - ma senza il personale necessario, tanto da divenire luoghi di morte piuttosto che di vita.
Aziende ospedaliere che vivono grandi contraddizioni: ad una incrementata eccellenza, soprattutto chirurgica, guadagnata attraverso operatori di alto profilo corrisponde il (quasi) deserto nel personale che costituisce il necessario corollario assistenziale.

Aziende sanitarie che: non sanno neppure cosa sia la cura del territorio e dei cittadini che lo vivono; non perfezionano i bilanci; non conseguono il pareggio ma producono disavanzi da paura e sempre in crescita; non fanno emergere l'esistenza di passività, reali e potenziali; non adempiono alle loro funzioni fondamentali; sono privi di management, come una barca abbandonata nel mare burrascoso da marinai e armatore.
 
Il tentativo della ministra di smarcarsi dalla responsabilità e il fine recondito del Corsaro verde
Nonostante ciò, una ministra che tenta di scaricare su Salvini (che di responsabilità politiche e di sproloqui dialettici riempirebbe una carovana di tir in cerca di uno termovalorizzatore capace di incenerire la tossicità delle medesime!) le colpe di una Calabria sanitaria allo spasimo.  Al Corsaro verde, degno della più grande pirateria politica degli ultimi vent'anni, la stessa addebita di aver impedito di portare a compimento il suo «lavoro».

Ebbene, ha ragione. Salvini, infatti, le ha consentito ieri di fare un provvedimento di emergenza che neppure in Uganda e di convertirlo acriticamente in Parlamento. Oggi, con la caduta del Governo, ha fatto di meglio protraendone gli effetti nefasti. Ma si sa Salvini aveva altro a che pensare che alla sanità dei calabresi, peraltro i migliori clienti della sua sanità lombarda.
 
Più che una speranza
Una prece alla nuova maggioranza: che si riveda il provvedimento, ma soprattutto si impedisca la reiterazione di questi metodi e percorsi, altrimenti si rischia di produrre danni che solo ad immaginarli si muore di paura.

Tant'è che nella road map delle macro-questioni che il PD ha elaborato per condividerlo con il M5S ai fini dell'accordo di governo, al punto 5) figura "l'approccio innovativo per commissariamento in sanità ma da articolare in maniera innovativa rispetto a quanto già fatto nel decreto Calabria". Ciò in linea con l'appello prodotto da 16 docenti delle Università calabresi all'attenzione del segretario Zingaretti che, si spera, saprà ridare alla Calabria ciò che merita per non morire di malasanità.

Ettore Jorio
Università della Calabria


27 agosto 2019
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