Le ombre e i dubbi sul nuovo piano ospedaliero abruzzese
12 SET -
Gentile Direttore,
finalmente il
piano definitivo di riordino della rete ospedaliera abruzzese targato d'Alfonso-Paolucci-Mascitelli è stato presentato e approvato. Coniugare gli effetti restrittivi, in termini di posti letto e unità operative complesse imposte dal decreto Lorenzin, con la geografia politica sanitaria della nostra regione non era un passaggio facilissimo. Forse, se non ci si fosse "intestarditi" su alcune “idee” di partenza, il risultato che avremo ottenuto sarebbe stato migliore e più adeguato a quelle che sono, e saranno, le esigenze del cittadino-paziente abruzzese.
Innanzitutto il principio che “fare il compitino” per primi in Italia fra le regioni in piano di rientro, ci avrebbe fornito il lasciapassare all’uscita dal commissariamento, tanto agognato da alcuni, ma forse carico di problemi secondo molti, lascia qualche perplessità. Se effettivamente questa operazione porterà finanziamenti, ben vengano, ma non vediamo nulla all’orizzonte. Nel frattempo siamo fermi.
Un esempio fra tutti: si è' realizzato un ottimo progetto per l'abbattimento delle liste d'attesa, sia per esami strumentali che per interventi chirurgici, ma il risultato, a 12 mesi dall'applicazione, è che non decolla perché occorrono investimenti in strumentazioni e personale. Se persiste il turn-over al 50%, con concorsi la cui durata è almeno di due anni, e rimane il blocco delle assunzioni di personale a tempo determinato, non penso ci sia progetto che tenga. Per non parlare delle apparecchiature, che nella Sanità pubblica Abruzzese hanno spesso più di vent’anni e per il cui acquisto e messa in funzione occorrono tempi biblici.
Ancora, l'aver voluto pensare sempre che il modello istituzionale di una unica ASL potesse adattarsi facilmente alla nostra regione è probabilmente l'errore maggiore: l'abbiamo detto moltissime volte, noi, Abruzzo, non siamo come le Marche, per storia territorio e viabilità, e alla fine si è dovuto, come è successo anche in quella regione, lasciare, almeno per ora, tutto com'era, da un punto di vista organizzativo, ma mescolando principi di accentramento con la situazione esistente.
Questo ha portato ad avere, sulla carta, un’area con grosse concentrazioni di attività, (vedi area Chieti-Pescara), ma con molti doppioni su le due strutture “vicine”, che nulla ha a che vedere con il modello di ospedale di II livello descritto nel decreto Lorenzin, dove sono previste alte specialità in una unica struttura. Questa metodica ha lasciato però più sguarnite alcune aree, come quella del vastese, per esempio per la rete dell'IMA, dove tutto è affidato ad una rete dell’emergenza in gran parte da costruire e con grossi limiti attuali, come le cronache riportate sui giornali in questi giorni dimostrano, e dove solo l’abnegazione di molti medici ed operatori sanitari dell’emergenza ha spesso evitato catastrofi.
Certamente miglior risultato, più vicino alla storia dei territori e ai dati esistenti, si sarebbe ottenuto realizzando due aree vaste sanitarie comprendenti i territori della provincia di Chieti e Pescara da un lato e L'Aquila e Teramo dall'altro, nei cui rispettivi ambiti si sarebbero meglio omogeneizzate le vocazioni degli ospedali principali, producendo un offerta sanitaria completa di alta specialità per ciascun bacino d’utenza, e rivitalizzando, in ciascuna area, le due "sofferenti" facoltà di Medicina abruzzesi. Noi l’abbiamo detto da tempo. Alcuni lo capiscono ora. Forse ci si può ancora pensare.
Altro capitolo, quello della riabilitazione neuro-motoria e psichiatrica. Questa infatti è stata un’altra occasione mancata: se la programmazione politico-sanitaria, così attenta a declassare unità operative complesse con una lunga storia di attività alle loro spalle e con dati esiti attuali ancora estremamente validi, non riesce a togliere neanche un posto di riabilitazione al sistema privato e contemporaneamente decide di lasciare aperti ospedali completamente svuotati al loro interno (vi sono ospedali con ca 100 posti letto e 2-4 UOC solamente, in diversi casi) che invece potrebbero essere ottimi centri di riabilitazione senza grossi costi in termini di materiali e operatori, siamo ancora più critici su questa operazione e ci fa riflettere su quanto avremo potuto cambiare e non è stata fatto. Rende ancora più dura la riflessione la recente notizia, da confermare, di circa 50 -70 milioni di euro che le AASSLL Abruzzesi devono alle strutture private, per prestazioni sanitarie erogate, perché non fornite dalle strutture pubbliche
Altro punto dolente. Si è parlato sempre che questo piano realizza una rete ospedaliera migliore e più vicina ai bisogni dei cittadini, ma come possiamo avere una rete ospedaliera efficiente se non si comincia anche a parlare, o meglio non si attiva contemporaneamente, l'assistenza sul territorio. Una rete ospedaliera efficiente lo è anche perché trova punti di riferimento fuori dei propri spazi in un progetto di integrazione ospedale-territorio: occorre aumentare le cure domiciliari o attivare strutture pubbliche riabilitative per ridurre la durata dell’ospedalizzazione, aumentare le prestazioni ambulatoriali in strutture extraospedaliere, per ridurre le liste d’attesa, prevenire la ospedalizzazione con percorsi e luoghi di confronto fra MMG e Medici ospedalieri.
Questi sono punti fondamentali e quindi occorre che i due percorsi di riforma siano fra di loro estremamente vicini e discussi su tavoli comuni. Di questo oggi vediamo poco o nulla, anzi si avviano programmi in cui sono sempre più separati l’ospedale con il territorio
Riteniamo quindi che questo del piano di riordino della rete ospedaliera sia solamente un punto di partenza e che l'uscita dal commissariamento, se una cosa può fare, è permettere di correggere errori e avviare una nuova programmazione che sia in grado di rispondere a quelle che sono le esigenze del cittadino abruzzese. Noi come tecnici siamo pronti a condividere i progetti, sempre che vadano in questa direzione.
Filippo Gianfelice
Segretario Regionale Anaao Assomed Abruzzo
12 settembre 2016
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