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Pfas. Fertilità femminile, scoperto il meccanismo che mette a rischio l’attecchimento dell’embrione

Dopo lo studio sugli effetti dei Pfas per la fertilità maschile, l’Università di Padova al lavoro sulle conseguenze dei Pfas sulla fertilità femminile. L'analisi si è concentrata ora sul momento in cui una gravidanza si mette in moto: su più di 20.000 geni analizzati, il progesterone normalmente ne attiva quasi 300, ma in presenza di Pfas 127 vengono alterati e, tra questi, quelli che preparano l’utero all’attecchimento dell’embrione. Le conseguenza sono difficoltà di concepimento, la poliabortività e la nascita pre-termine.

di Endrius Salvalaggio
02 DIC - C’è una equipe a tutto campo che sta studiando da tre anni gli effetti dei PFAS sul corpo umano. “In questi anni – spiega Carlo Foresta dell’Università di Padova – le scoperte che abbiamo fatto sugli effetti di questi inquinanti hanno riguardato l’alterazione uro-genitale del maschio e quindi l’infertilità maschile, l’osteoporosi e adesso siamo arrivati ad una nova scoperta sull’infertilità femminile ed in corso ci sono altri numerosi studi che riguardano le manifestazioni cliniche dei contagiati dagli inquinanti”.

I PFAS restano un problema sanitario e l’unità di ricerca diretta da Foresta ha aperto un capitolo sperimentale su come si possa intervenire limitando le manifestazioni cliniche negli esposti atteso che allo stato non vi è alcuna chiarezza su come intervenire per una riduzione/eliminazione in quei soggetti che risultano positivi ai Pfas. L’ultima scoperta del team di studio riguarda le patologie riproduttive femminili, come le alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi e aborti, nati pre-termine e sottopeso ecc…, tutti eventi che possono avere una correlazione con l’azione dei Pfas (nella zona rossa) sulla funzione ormonale del progesterone. Il progesterone è un ormone femminile che agisce a livello dell’utero, prodotto durante la seconda metà del ciclo mestruale e che svolge importanti funzioni per la salute femminile, tra cui quella di garantire la regolarità del ciclo mestruale. Il suo ruolo principale è quello di creare un ambiente accogliente all’interno dell’utero, favorendo l’impianto dell’embrione e il mantenimento della gravidanza.

“Il nostro studio – spiega Foresta - dimostra che i PFAS sono in grado di interferire sulla funzione del progesterone a livello dell’endometrio, giustificando l’elevata frequenza di irregolarità mestruali e di aborti precoci riscontrata nelle donne provenienti da aree contaminate.”

A questo risultato si è giunti dopo due anni di lavoro del gruppo di ricerca dell’Università di Padova, che ha valutato l’effetto dei Pfas sull’azione del progesterone analizzando, in cellule endometriali in vitro, come il predetto inquinante interferisca vistosamente sulla regolazione dei geni espressi a livello dell’endometrio. In particolare è stato dimostrato che, su più di 20.000 geni analizzati, il progesterone normalmente ne attiva quasi 300, ma in presenza di Pfas 127 vengono alterati e, tra questi, quelli che preparano l’utero all’attecchimento dell’embrione e quindi alla fertilità.

“La mancata attivazione di questi geni da parte del progesterone altera le importanti funzioni coinvolte nella regolazione del ciclo mestruale e nella capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione – conclude Foresta - e quindi giustificano la difficoltà di concepimento, la poliabortività e la nascita pre-termine”. La svolta dello studio del team di Padova è appunto quella di aver individuato il meccanismo che è alla base dello sviluppo di questi fenomeni. “A questo punto la comprensione di una interferenza importante dei Pfas sul sistema endocrino-riproduttivo sia maschile che femminile e sullo sviluppo dell’embrione, del feto e dei nati, - spiega il professor Foresta - suggerisce l’urgenza di ricerche che intervengano sui meccanismi di eliminazione di queste sostanze dall’organismo soprattutto in soggetti che rientrano nelle categorie a rischio. Allo stato attuale a livello internazionale non ci sono ancora segnalazioni, pertanto è preoccupante pensare che la lunga emivita di queste sostanze possa influenzare negativamente tutti questi processi, anche nelle generazioni future.”

Il problema prioritario da risolvere resta sempre quello di realizzare una linea parallela acquedottistica che porti acqua pulita alle migliaia di famiglie che vivono nelle zone inquinate. Nel 2017 erano stati stanziati 46 milioni di euro per la costruzione di un by pass idrico di approvvigionamento di acqua pulita e salubre. Recentemente, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha comunicato di aver disposto un ulteriore finanziamento integrativo 23 milioni e 530 mila euro, destinato a completare gli interventi necessari alla nuova rete acquedottistica nelle aree inquinate da PFAS. Per quanto riguarda la realizzazione della nuova rete, ad oggi l’ente appaltante Acque Veronesi ha realizzato circa 7,2 km di rete su un totale di 19 e che la conclusione dei lavori emergenziali è prevista nel 2020.

Endrius Salvalaggio

02 dicembre 2019
© Riproduzione riservata

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