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Veneto. Batterio killer in un macchinario per riscaldamento sangue potrebbe aver causato decesso sei pazienti

Più precisamente parrebbe che i contagi si siano verificati a Vicenza, Treviso e, oggi, si parla anche di Padova. L’uso del condizionale è d’obbligo in questa fase perché il riserbo è ancora forte e le indagini, da parte delle Procure, coadiuvate da un pool di medici, sono ancora in corso. Si tratta di pazienti tutti operati al cuore e trattati con lo stesso macchinario.

di Endrius Salvalaggio
20 NOV - Si nasconde in un macchinario per il riscaldamento del sangue, presente nelle sale operatorie per gli interventi chirurgici; se si viene contagiati si assiste ad un deperimento progressivo del fisico che conduce ad una morte lenta e certa per il 50% dei casi perché demolisce gli organi vitali; nel restante 50% dei casi è lo stesso sistema immunitario a bloccarlo. Stiamo parlando del batterio Mycobacterium Chimaera, che pare abbia già fatto 4 o forse 6 morti sospette negli ospedali veneti.
 
Più precisamente parrebbe che i contagi si siano verificati a Vicenza, Treviso e, oggi, si parla anche di Padova. L’uso del condizionale è d’obbligo in questa fase perché il riserbo è ancora forte e le indagini da parte delle Procure di competenza, coadiuvate da un pool di medici, sono ancora in corso. Si tratta di pazienti tutti operati al cuore e trattati con lo stesso macchinario.
 
Questa apparecchiatura con questa tecnologia viene venduta in tutto il mondo tant’è che l’allarme era già scattato in altri Paesi nel 2011; la stessa ditta produttrice e rivenditrice, alla fine del 2015, si era raccomandata di far fare la sanificazione da parte dei detentori del macchinario.
 
La Regione Veneto, in tempi non sospetti, aveva inviato alle proprie Ulss una nota con le raccomandazioni di provvedere nel rispetto delle nuove linee guida e quindi di «verificare presso le Cardiochirurgie il rispetto delle indicazioni fornite dai produttori in merito a pulizia, decontaminazione e monitoraggio dell’acqua utilizzata e dell’aria della sala operatoria, al fine di minimizzare il rischio di contaminazione». Serviranno dei mesi prima di avere la certezza se le morti di cui si tratta sono o meno riconducibili al batterio “chimaera” e se, conseguentemente, le Ulss avevano adottato correttamente tutte le misure di prevenzione in modo da evitare il contagio.
 
Endrius Salvalaggio

20 novembre 2018
© Riproduzione riservata

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