I Forum di QS. Quale Ospedale per l’Italia? Mirone: “La lezione, ancora non del tutto assimilata, della pandemia”
di Vincenzo Mirone
Arriva la pandemia e si scopre “l’acqua calda” e cioè che senza ospedale si muore, che nel nostro paese mancano le tecnologie e i posti letto, che si è sbagliato a tagliare in modo scriteriato i posti letto e che i servizi che avrebbero dovuto competere con l’ospedale quelli a monte non hanno funzionato ecc. E finalmente si comincia a capire cosa è un ospedale a che serve e come è fatto
01 LUG - Per anni abbiamo sentito parlare di ospedali come se fossero grossi servizi costosi ma privi di identità. Per anni si è discusso di quanti posti letto avessimo bisogno come se questi letti fossero vuoti cioè senza malati. Per anni abbiamo sentito la politica lamentarsi degli ospedali accusati di essere e fare gli ospedali e quindi abbiamo udito usare espressioni come “ospedalocentrico”, “de-ospedalizzazione”. E per anni abbiamo visto altri servizi concepiti come concorrenti dell’ospedale come quelli del distretto.
Poi arriva la pandemia e si scopre che tutto quello che abbiamo sentito è come se fosse spazzato via o annientato come quando a causa di un terremoto una città viene rasa al suolo.
Cioè si scopre “l’acqua calda” cioè che senza ospedale si muore, che nel nostro paese mancano le tecnologie e i posti letto, che si è sbagliato a tagliare in modo scriteriato i posti letto e che i servizi che avrebbero dovuto competere con l’ospedale quelli a monte non hanno funzionato ecc.
E finalmente si comincia a capire cosa è un ospedale a che serve e come è fatto.
Il merito principale che riconosco a questo forum di
Quotidiano Sanità, introdotto in modo magistrale dall’articolo del prof.
Cavicchi e da quello del prof.
Cognetti, è il tentativo di ricostruire un valore politico, morale e scientifico, quello dell’ospedale irresponsabilmente compromesso da svalutazione che per anni si sono basate sul preconcetto che l’ospedale fosse solo un problema e mai una soluzione.
Sgomenta scoprire, come ci spiegano i nostri autori, e gli altri articoli che fino a qui ho letto, che la lezione della pandemia non sia stata per nulla appresa. Cioè che il PNRR stanzi per gli ospedali risorse risibili e che i suoi grandi problemi funzionali siano in partica ignorati. Ma se neanche con centinaia di migliaia di morti non si riesce a comprendere l’importanza degli ospedali, ma cosa si deve fare?
Il ritmo dei cambiamenti sanitari diventa, con il passare del tempo, sempre più veloce. La sfida principale per gli ospedali è quella di avere il massimo grado di flessibilità, per adattarsi ai cambiamenti nei bisogni e nelle aspettative della popolazione. La sanità è uno dei più importanti settori di rilevanti investimenti e costituisce pertanto una delle maggiori “industrie” con interessamento consistente del PIL. Tutti questi investimenti rappresentano un’importante opportunità per migliorare la salute e assicurando servizi che rispondano alle esigenze dei pazienti, ma troppo spesso, gli investimenti devono fare i conti con un elevato grado d’incertezza su quella che è la realtà effettiva. Questo purtroppo conduce in alcuni casi ad investimenti inappropriati.
La pandemia ci ha insegnato semplicemente che l’intero SSN deve crescere come tale e crescere di concerto. Come ci ha spiegato il prof. Cavicchi mettere in competizione il territorio contro l’ospedale o peggio, come lui dice, organizzare “dicotomie” cioè inutili divisioni tra i servizi, crea squilibri e disparità pericolose, favorendo investimenti che privilegino solamente una componente, perché si rischia di aumentare il divario già presente in diverse realtà, peggiorando la disparità.
La necessità di una visione coerente fra sviluppo delle infrastrutture sanitarie e sviluppo della comunità e del territorio di riferimento è la base per poter offrire il meglio ad una utenza sempre più esigente ed informata. Gli ospedali europei devono affrontare nuove sfide e adattarsi al crescente invecchiamento della popolazione, alla diffusione di nuove malattie, allo sviluppo delle tecnologie mediche e farmaceutiche, all’aumento delle aspettative da parte dell’opinione pubblica e ai nuovi meccanismi di finanziamento. Una lezione fondamentale da non sottovalutare.
Ma c’è un altro merito che desidero riconoscere a questo forum è cioè il tornare a parlare, a partire da una pandemia, di specialità mediche considerandole giustamente come le basi portanti di un ospedale. L’ospedale è un sistema di discipline mediche che mettono insieme economia scienza ed etica. Se si deve investire nell’ospedale come sottolinea tanto Cavicchi che Cognetti si deve investire nello sviluppo delle discipline mediche.
Tra queste discipline in particolare tre le branche chirurgiche, c’è l’Urologia, la disciplina di cui mi occupo all’avanguardia in materia di tecnologie che spazia dai laser ai robot, ormai parte integrante della pratica clinica quotidiana, con risultati eccellenti e prestazioni sempre più performanti.
Le neoplasie uro-genitali rappresentano un quinto di tutte le diagnosi di cancro registrate nel nostro Paese. I tumori alla prostata, rene, vescica e testicolo causano ancora ogni anno oltre 16mila decessi. Ogni anno a 38.000 italiani, con più di 70 anni, viene diagnosticato un tumore urologico. Il più frequente è quello alla prostata che tuttavia ha un minor impatto clinico di altri tumori perché in una percentuale non trascurabile dei casi risulta in forma latente asintomatica, soprattutto negli over 80. Il cancro della prostata è in aumento, con circa 450 mila uomini affetti ogni anno. È anche la seconda causa di morte per cancro negli uomini, dopo aver superato quello del colon retto: parliamo di 107 mila decessi nel 2018.
La sua prevalenza supera ormai i 2,5 milioni di casi. Si stima che, sempre in Europa, un uomo su sette svilupperà un cancro prima degli 85 anni. Seguono il carcinoma del rene che costituisce il 3% di tutti i tumori e che è aumentato del 7% nell’ultimo quinquennio e quello della vescica che rappresenta il secondo tumore più frequente in ambito urologico e per il quale nel 2020 sono previste oltre 30.300 nuove diagnosi l’anno contro le attuali 27.000. Secondo le ultime previsioni demografiche già nel 2025 un quarto della popolazione italiana avrà più 65 anni.
Vanno quindi presi provvedimenti a livello politico e sanitario per evitare un vero e proprio boom di patologie oncologiche nei prossimi anni. Questi i numeri della sola patologia maligna, ma dall’altro lato esiste tutto un ventaglio di patologie benigne.
Oltre 6 milioni di italiani over 50 sono colpiti da ipertrofia prostatica benigna: il 50% degli uomini di età compresa fra 51 e 60 anni, il 70% dei 61-70enni, per arrivare al picco del 90% negli ottantenni. La calcolosi urinaria è una patologia molto diffusa nel mondo occidentale. Si calcola che colpisca circa il 10% della popolazione maschile e il 5% della popolazione femminile. Le recidive sono molto frequenti, tanto da verificarsi in una percentuale che varia, a seconda degli studi, dal 25 al 50% dei casi dopo 5 anni. L’incidenza stimata in Italia è di circa 100.000 nuovi casi all’anno.
Sebbene patologie benigne, ma con caratteristiche di urgenza per il rischio di danno alle funzioni di organi importanti, come nel caso ad esempio delle calcolosi renali ostruenti complicate da febbre o da dolore colico persistente nonostante le terapie mediche.
Questi sono solo i numeri dell’Urologia, ma ogni branca specialistica ha i suoi numeri, le sue tecnologie, le proprie necessità. La riduzione dei posti letto e di conseguenza delle strutture ospedaliere crea non pochi disagi soprattutto in alcune regioni italiane, aumentando ancora di più i disagi. La riduzione del numero degli ospedali è in atto da almeno 25 anni, ma nonostante ciò, la spesa sanitaria non è diminuita. La riduzione è una scelta che prescinde dalle politiche di riduzione della spesa pubblica per la sanità, affondando le sue radici nella scelta della deospedalizzazione da un lato e della maggiore assistenza domiciliare per i malati.
La pandemia da Covid-19 ha insegnato tanto e messo in luce tutte le criticità di un sistema che ha faticato e non poco ad ogni livello nell’affrontare l’emergenza. In ambito urologico si è visto un crollo dal 75 al 90% per l’attività sia di elezione che di Pronto Soccorso, azzerata la prevenzione, a rischio l’aderenza delle terapie, prezzo altissimo per la gestione tardiva di patologie il cui decorso è fortemente condizionato da una diagnosi precoce.
Sebbene l’attività chirurgica per le patologie oncologiche non si sia fermata, numerose sono state le carenze di personale e di luoghi adatti a continuare nella maniera più tranquilla ed adeguata la normale pratica quotidiana. Interi reparti sono stati destinati ai pazienti Covid-19, con grande impiego di risorse non solo umane, sottratte all’attività ordinaria. Quattro malati su dieci hanno evitato di andare in ospedale già durante il primo lockdown, rinviando così cure e visite. L’attività chirurgica è stata ridotta in modo importante per la necessità di utilizzare il personale dell'anestesia agli infermieri nella cura dei pazienti Covid e per gli spazi occupati per creare gli ambienti necessari alle cure.
Ribadisco, se si parla di ospedale si deve parlare di un sistema di discipline mediche dotate di tecnologie adatte e di personale qualificato.
Rispetto a questo sistema di discipline sarebbe auspicabile investire più seriamente in progetti di trasformazione e sostenibilità della rete sanitaria a partire dagli ospedali.
Non si possono destinare fondi in maniera indiscriminata ad ognuna delle componenti del SSN, ma bisogna intervenire per garantire la migliore eccellenza a tutti i pazienti. La realtà della pandemia ci ha fatto vedere come gli ospedali più attrezzati hanno saputo gestire in modo migliore l’emergenza a differenza di altre strutture che hanno sofferto e non poco. Le “famose toppe” che di volta in volta vengono messe per riparare le falle, non possono continuare ad oltranza, soprattutto quando si parla di contenere le spese e mirare gli investimenti.
La rete sanitaria va potenziata dalla base all’apice e viceversa, perché ad ogni livello si possa sempre e comunque dare il meglio. Basta giganti con i piedi d’argilla, basta disparità di cura, basta ai viaggi della speranza, alla migrazione sanitaria. Ogni cittadino deve avere il meglio nel proprio territorio e non si può pensare di risolvere tutto potenziando servizi esterni agli Ospedali senza intervenire sugli Ospedali stessi.
E’ inconcepibile come al giorno d’oggi interi reparti soffrano di carenze di personale, strutture e tecnologie che dovrebbero essere il minimo sindacale per una struttura sanitaria. Non si può pensare di affrontare il tutto potenziando servizi al di fuori dell’ospedale senza pensare alle necessità di questi centri, chiamati a gestire la complessità e l’acuzie che una struttura territoriale non può assolutamente gestire. Ospedali che tra l’altro sono il terreno di formazione della futura classe medica.
Come si può pensare di produrre eccellenze senza le infrastrutture idonee? Come si può pretendere di avere specialisti all’avanguardia senza che venga data loro la possibilità di confrontarsi con gli ultimi ritrovati tecnologici? Da un lato si chiedono performance all’avanguardia, riduzione dei costi, migliore gestione del follow-up e della cronicità, ma poi non si è in grado di mettere a disposizione i servizi minimi.
Un network che lavori a pieno regime non può avere disparità nelle sue componenti, ma deve avere strutture performanti ad ogni livello e dotate delle più moderne tecnologie e gli Ospedali sono i luoghi dove queste tecnologie già presenti vanno migliorate ed aggiornate costantemente. Investimenti mirati alle reali esigenze, senza seguire “mode” o “momenti”, pianificare le strategie pensando al futuro e non solo al presente.
Da ultimo vorrei richiamare i concetti usati dal prof. Cavicchi per definire l’ospedale dopo la pandemia e cioè “adeguato”, “compossibile”, “interconnesso”, “ad alta complessità”, “hi tech”, “ospitale”.
Si tratta di concetti importanti che implicano cambiamenti importanti a più livelli della problematica ospedaliera a partire da quello culturale e ai quali mi permetto di aggiungere “partecipato” per richiamare la necessità, peraltro sottolineata nel punto 8 proprio dal prof. Cavicchi, di ripensare la gestione e il modo di gestire l’ospedale.
Tra i tanti concetti proposti per rinnovare l’ospedale confesso che quello che mi ha incuriosito di più è quello di “compossibilità”, termine del quale sono andato a controllare il significato che è il seguente: la relazione tra due realtà simultaneamente possibili.
Per anni ci hanno parlato di compatibilità cioè per anni ci hanno detto, per esempio che l’ospedale avrebbe dovuto adattarsi ai limiti economici .
Per la prima volta qualcuno ci dice che a certe condizioni l’ospedale è compossibile con i limiti economici, è compossible con il territorio, è compossibile con lo sviluppo scientifico, quindi con l’evoluzione della domanda di salute. Quindi la compossibilità può essere una nuova chiave di lettura.
Desidero ricordare ciò che dicevo all’inizio e cioè che la sanità costituisce una delle maggiori “industrie” con interessamento consistente del PIL. La sanità è “compossibile” con il pil se gli investimenti per essa sono considerati come finalizzati alla crescita della ricchezza del paese sapendo che la ricchezza del paese non è solo quella economica misurata dal pil ma anche il grado di salute della popolazione, il grado di integrità del suo ambiente, il grado di cultura della sua popolazione.
La pandemia ha dimostrato che la salute è un capitale fondamentale senza il quale anche l’economia finisce per avere gravi problemi.
Prof. Vincenzo Mirone
Professore Ordinario di Urologia presso l'Università di Napoli e
Past President della Società Italiana di Urologia
Vedi gli altri articoli del Forum Ospedali: Fassari, Cavicchi, Cognetti, Palermo e Troise, Palumbo, Muriana, Quici, Fnopi, Pizza, Maceroni, Marini, Maffei, Monaco, Bibbolino, Petrini e Vergallo, Cavalli, Gerli, Zeneli.
01 luglio 2021
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