Il ritorno, non richiesto, degli aziendalisti in sanità
di Ivan Cavicchi
Ora che, con il Recovery plan, il profumo del business si è fatto forte, la razionalità aziendale si rifà sotto, e uscendo dall’ombra della pandemia, ci ripropone la sua brava ideologia, la sua immancabile retorica le sue ricette ma soprattutto il suo indiscutibile amore per la gestione del potere
31 MAG -
Premessa
E’ noto che tra me e alcuni economisti che si occupano di sanità non è mai corso buon sangue. Nei confronti dei discepoli di Arrow (Nobel per l’economia nel 1972 considerato il padre dell’economia sanitaria) ho sempre avuto, un debito culturale quindi ovviamente ottimi rapporti (ricordo per tutti il mio amico e maestro Antonio Brenna) non posso dire altrettanto per i teorici dell’aziendalismo in sanità. Quelli che dagli anni ‘90 in poi diventarono di fatto i padroni della sanità.
Se per Brenna il problema dell’economia sanitaria era soprattutto la “gestione razionale delle risorse” per gli aziendalisti era la “gestione della gestione”. Uno smisurato quanto spregiudicato business a danno della sanità. Nulla di più.
Ideologia, retorica e razionalità senza morale
Quando nel 2005 scrissi “Sanità un libro bianco per discutere” dedicai un intero capitolo alla comprensione della “razionalità aziendale” di Borgonovi pagg. 72/122). Setacciai tutti suoi editoriali pubblicati su Mecosan (Management e economia sanitaria) e attraverso una accurata meta analisi dimostrai che il suo “pensiero sull’azienda ” in realtà era una ideologia, una retorica e alla fine una razionalità molto opinabile.
Dopo tanti anni, siccome il tempo è galantuomo, i fatti mi hanno dato ragione, quella razionalità aziendale ha mostrato tutti i suoi limiti ideologici creando più contraddizioni che soluzioni e oggi a parte la Fiaso e il ministro Speranza e ovviamente il Cergas della Bocconi, non c’è una sola persona assennata che in sanità è disposta a tenersi le aziende.
Dopo le elezioni politiche del 2018, che segnarono la sconfitta del PD, il primo partito degli aziendalisti, gli aziendalisti di fatto in sanità si eclissarono. Coloro che per anni avevano teorizzato il compatibilismo sanitario massacrando la sanità in ogni senso davanti al partito prima del definanziamento poi del rifinanziamento non avevano più nulla da dire.
Dopo quella sconfitta politica la ben nota “razionalità aziendale” sposò le tesi della spesa che quasi per magia aveva perso la sua natura incrementale. Poi la pandemia ha fatto il resto.
Scent of money
Ora però che, con il recovery plan, il profumo del business si è fatto forte, la razionalità aziendale si rifà sotto, e uscendo dall’ombra della pandemia, ci ripropone la sua brava ideologia, la sua immancabile retorica le sue ricette ma soprattutto il suo indiscutibile amore per la gestione del potere.
“Proposte per l’attuazione del PNRR in sanità: governance, riparto, fattori abilitanti e linee realizzative delle missioni”è il titolo di un documento elaborato da 16 ricercatori appartenenti a sei atenei diversi (quasi tutti economisti con ovviamente una significativa presenza della Bocconi).
Questo documento (
QS, 28 maggio 2021), non merita una disamina analitica perché il suo valore aggiunto risulta molto scarso.
In esso non ci sono particolari nuove idee da segnalare. Non dico che siamo alla minestra riscaldata ma gli argomenti sono quelli di sempre:health technololgy assessment, riequilibrare e riqualificare la rete delle cure intermedie, rafforzare la medicina generale, razionalizzare la rete ambulatoriale territoriale, potenziare la presa in carico della cronicità, dm 70, ricerca e innovazione, ecc.
Devo dire che mi aspettavo da sei atenei e da tanti illustri esperti ricercatori qualcosa di più, cioè di più nuovo e originale. Ma le proposte avanzate sono sostanzialmente quelle del senso comune pre pandemico.
L’impressione è che il documento serva come bandierina quindi a segnalare al governo una presenza politica più che un pensiero da esprimere.
Non so da chi è partita l’iniziativa ma so di sicuro che in altri tempi per la Bocconi non ci sarebbe stato bisogno di chiamare a raccolta gli economisti per marcare il territorio con i propri interessi.
Le 10 proposte per prima cosa sostengono gli indirizzi del PNRR, cioè le scelte politiche di Speranza, quindi sono molto in linea con il basso profilo riformatore soprattutto della missione 6 verso la quale nessuna riserva è stata avanzata anche laddove esiste il pericolo reale di un indebolimento del servizio sanitario pubblico, e di una delega eccessiva al privato e al privato sociale di competenze pubbliche.
Quelle degli esperti sono tutte proposte di attuazione di quello che il governo propone. Questa volta gestione vale come attuazione.
Deludente (mi dispiace per il mio amico Geppo Costa) la proposta sulla prevenzione. Da una pandemia con così ’ tanti morti mi sarei aspettato il famoso “cambio di passo”. La pandemia ha disconfermato un’idea vecchia di prevenzione primaria che con qualche lustrino alla fine viene comunque riproposta.
Nel documento prevale ovviamente in modo prepotente il tema della governance, della formazione, dell’ottimizzazione di questo e di quello, ma a parte i malcelati interessi che dietro si intravedono, ripeto, di valore aggiunto anche in questo caso ne vedo poco.
Skill mix e task shifting
Invece e con mia grande sorpresa il documento a testa bassa e all’unanimità, propone senza alcuna remora una vera e propria controriforma delle geografie professionali.
Dico con sorpresa perché a questi rispettabili colleghi non riconosco né la titolarità per occuparsi di questioni tanto complesse e meno che mai le conoscenze multidisciplinari adeguate per farlo.
Sarebbe come affidare al palafreniere l’organizzazione di un torneo.
Non si tratta solo di giocare con le competenze delle professioni come pensa la Bocconi ma di ridefinire prassi e relazioni quindi metodi, modi di essere, questioni epistemiche, questioni contrattuali, titolarità giuridiche, responsabilità operazionali, autonomie decisionali di prima grandezza, ecc.
Non credo che gli economisti con tutto il rispetto che essi meritano siano in grado di occuparsi di tanta complessità.
Oltre le competenze ci sono le prassi che come primo vero referente hanno il malato i suoi bisogni le sue singolarità e le sue complessità roba sulla quale agli economisti quale consiglio caldamente di non impicciarsi. I malati non sono bilanci.
La mia, voglio chiarire non è una obiezione pregiudiziale nei confronti di una professione ma è una obiezione epistemica nei confronti di un certo tipo di razionalità riduzionista, quindi di un certo modo banale di ragionare sulla sanità.
Le problematiche delle prassi professionali non sono riducibili alla razionalità aziendale della Bocconi.
Ma a parte questo siccome nessuno di noi viene giù dalla montagna con la piena è evidente che la proposta 10 del documento (cambiare lo skill-mix tra medici e professioni sanitarie)è null’altro che la riproposizione delle note strategie della Bocconi che da anni sta spalleggiando il corporativismo di certe professioni contro altre professioni, fomentando così un conflitto al letto del malato e a suo totale danno sempre più insanabile.
Leggetevi le tesi della Bocconi alla 10ª Conferenza nazionale della Fnopi (
QS, 1 agosto 2018)
Trovo deludente che valenti docenti appartenenti ad atenei di tanto prestigio si conformino in modo tanto superficiale assecondando precisi interessi corporativi.
Chi teorizza il task shifting in modo così superficiale come fanno alcuni professori della Bocconi è un irresponsabile che non si rende conto dei rischi che si corrono a destabilizzare gli equilibri tra professioni.
Detto ciò sia chiaro non sono io che nego la necessità di ridefinire i percorsi di formazione e di valutare le competenze professionali alla luce delle novità introdotte dal PNRR e perfino di aprire una riflessione sulla divisione del lavoro in medicina e in sanità e sulle forme storiche di cooperazione tra professioni complementari, ma trovo fortemente regressivo, come ho detto tante volte, che la discussione della Bocconi riguardi non le prassi nella loro complessa realtà operazionale giuridica sociale e culturale ma solo la definizione burocratica di compiti mansioni e ruoli cioè la riproposizione della vecchia logica del mansionario.
Il lavoro di ridefinire le geografie professionali è molto delicato e complesso e alla fine non può che essere fatto se non attraverso un accordo interprofessionale che per sua natura ha bisogno di esperti di medicina, di operatori vari, giuristi, epistemologi, società scientifiche, ma non degli ideologi del corporativismo cioè di coloro che parlano di fungibilità dei ruoli e indicano il mercato come il terreno su cui gli infermieri possono avere successo contro altre professioni, o chi teorizza che gli infermieri devono “saturare un nuovo perimetro”, o chi parla di professioni come se fossero pannocchie di granoturco da “sgranare”, ecc. (
QS, 1 agosto 2018)
Conclusione
Con il documento dei 16 esperti, gli economisti della sanità chiamati a raccolta, si sono messi di fatto al servizio del governo proponendosi come nel 1992 , quando nacquero le aziende, come coloro che unici possono gestire al meglio i 20 mld del recovery plan.
In questo documento essi avanzano su un tema cruciale come quello della divisione del lavoro in sanità proposte molto poco meditate e quindi pericolose che se applicate potrebbero recare danno prima di ogni altra cosa ai cittadini, ai malati ai loro diritti.
Queste proposte, muovono da un assunto ideologico inaccettabile quello che secondo una certa razionalità aziendale in sanità si dovrebbe preferire la competitività tra professioni alla loro cooperazione.
Von Hayek (premio Nobel per l’economia), diceva che un “economista che è solo un economista non è un economista” per cui ne deduco che solo un economista che non è un economista , può pensare una follia simile.
Ivan Cavicchi
31 maggio 2021
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