I Forum di Quotidiano Sanità. La sinistra e la sanità. Bonaccini: “I problemi posti dalla pandemia non si risolvono ignorando le criticità storiche del nostro sistema sanitario”
di Stefano Bonaccini
La sanità deve essere rifinanziata ma sapendo che la questione della sostenibilità, con l’economia in ginocchio, prima o poi si ripresenterà e che quindi ogni futuro rifinanziamento deve garantire delle contropartite di salute, di qualità, di economicità, di rispondenza, di crescita del grado di adeguatezza del sistema nei confronti della domanda sociale
16 MAR - Il diritto alla salute non può rientrare all’interno di un dibattito di appartenenza politica. Viaggia più alto. Appartiene a quella sfera di diritti non negoziabili che danno forza alle fondamenta di uno Stato democratico, solidale, inclusivo.
Mantenere e garantire questa inviolabilità del diritto alla salute è invece una prerogativa che non può mancare a una prospettiva che guardi a sinistra.
Dunque, in questo mi ritrovo con le suggestioni e gli stimoli contenuti nel pamphlet – ricchissimo di spunti – del
professor Ivan Cavicchi: ripensare la sanità alla luce della pandemia è una sfida che la sinistra e il campo riformista non possono evitare di porsi. Anzi, devono ingaggiarla e vincerla, con coraggio ed equità, senza aver paura di percorrere strade nuove.
Arrivo presto a parlare del come. Prima vorrei soffermarmi sul contesto che stiamo vivendo. Scrivo queste righe poche ore dopo aver firmato un’ordinanza regionale che istituisce la zona rossa nei territori di Bologna e Modena, che rappresentano l’area più popolosa della regione che amministro.
Sono giorni drammatici, i contagi crescono in modo esponenziale, le varianti si stanno dimostrando molto più contagiose del virus ‘originale’ e possiamo dire di essere nel pieno della terza ondata. Vivo ogni momento il dramma di questa situazione, tuttavia credo che la luce in fondo al tunnel non sia mai stata così vicina.
Abbiamo un’arma fondamentale che prima non avevamo: i vaccini. I primi dati confermano la loro efficacia e prima ne avremo in numero elevato, prima questo incubo sarà finito. Sarà quello il momento nel quale tradurre in fatti concreti ciò che la pandemia ci ha insegnato.
Prima lezione. Senza sanità pubblica, il nostro sistema non avrebbe retto l’urto di questo tsunami. Su questo ci sono pochi dubbi. Penso ad altri Paesi che hanno sistemi differenti, come gli Stati Uniti o il Brasile. L’impatto, nella prima fase, in termini di contagi e purtroppo di morti è stato devastante.
Eppure sapevano a cosa andavano incontro. L’Italia, prima nazione nel mondo occidentale colpita dal virus, senza alcun modello da imitare e totalmente impreparata a un tornado di queste dimensioni, ha pagato un prezzo altissimo, ma ha mostrato al mondo una strada per uscire dall’emergenza dei primi mesi.
Ecco perché non mi stanco di continuare a dire: aumentiamo gli investimenti in sanità pubblica. Nel passato, forse ce n’eravamo dimenticati o l’avevamo ridotto a uno slogan da sbandierare nell’occasione giusta. Non in Emilia-Romagna, dove, non certo per merito mio, ma di chi ci lavora, la qualità e la professionalità dei sanitari del pubblico è riconosciuta al di sopra di ogni sospetto. Ma anche qui abbiamo bisogno di investimenti massicci.
Anticipo il solito ritornello: ecco l’amministratore di sinistra legato agli schemi ideologici del passato, che ripudia la presenza del privato a prescindere. Chi lo dice ha sbagliato indirizzo. Col privato in Emilia-Romagna lavoriamo benissimo.
La qualità delle strutture accreditate è alta e abbiamo protocolli e accordi trasparenti, che permettono di integrare le prestazioni del pubblico. Però, secondo patti chiari. Ai rappresentanti del privato io ho detto senza giri di parole: dalla Regione massima disponibilità e collaborazione, ma la programmazione e le regole su qualità e livello delle prestazioni le fissa il pubblico, in un sistema che è e resta a forte prevalenza pubblica. Il nostro sistema ha funzionato anche durante la pandemia e ringrazio il privato accreditato, perché ha fornito un contributo fondamentale alla gestione dell’emergenza.
Dunque, come investire in sanità pubblica? E’ evidente che senza risorse si possono fare tutti i discorsi più belli e illustrare i progetti più interessanti, ma si va poco in là. Servono soldi. Sapete tutti come la penso.
C’era uno strumento chiamato Mes che garantiva un prestito di 36 miliardi a tasso di interesse negativo da spendere nella sanità pubblica. Io l’avrei utilizzato. Cosa doveva ancora accadere per ricordarci che abbiamo bisogno di rafforzare la sanità pubblica? E’ stata presa legittimamente un’altra strada.
Ora, però, non sprechiamo l’altra grande opportunità che abbiamo: il Recovery Plan. Le prime bozze, di qualche mese fa, mostravano una quota destinata alla sanità di appena una decina scarsa di miliardi. Troppo pochi. Dal nuovo Governo ci aspettiamo un cambio di passo e un flusso di denaro e di progetti in questa direzione ben più robusto. I primi segnali sono positivi, ma il tempo comincia a stringere. Chiediamo al più presto chiarezza e concretezza. Nel nostro piccolo, l’Emilia-Romagna non è stata con le mani in mano: nel bilancio 2021 le risorse per la sanità regionale hanno superato quota 9 miliardi, 600 milioni in più rispetto all’anno precedente.
Dove investire queste risorse? In Emilia-Romagna abbiamo scelto la strada del potenziamento della medicina di territorio. Questo non significa lasciare in secondo piano le grandi strutture.
Anzi, abbiamo in programma tre nuovi ospedali – Piacenza, Carpi e Cesena - e il potenziamento di macchinari e tecnologie in quelli esistenti.
Però, dal confronto continuo con i professionisti della sanità, con chi ogni giorno opera sul campo, mi sono convinto che sia necessario introdurre un livello intermedio di assistenza tra l’ospedale e il domicilio. Per tante ragioni.
La prima ce l’ha ricordata la pandemia: senza medicina di territorio, senza un controllo capillare, una vicinanza con le persone, nessuna assistenza sanitaria è in grado di fornire risposte tempestive ed efficaci. La lotta al virus in Emilia-Romagna ha cambiato marcia quando abbiamo attrezzato squadre speciali, le cosiddette Usca, che andavano a ‘stanare’ i potenziali positivi casa per casa.
E successivamente erano in grado di monitorare contagiati o persone in quarantena lasciandole al loro domicilio. Oggi, circa il 95% dei contagiati è curato da casa. Per questo, continueremo a realizzare Case della Salute: ne abbiamo già costruite 120 e ne faremo altre. Ce le chiedono tutti i sindaci, di ogni colore politico.
Ne comprendono l’importanza: sono punti di riferimento, anche sociali, per piccole comunità, evitano il sovraffollamento degli ospedali e dei pronto soccorso, permettono cure più specifiche e garantiscono uno standard e una qualità della vita migliore alle persone che devono portarle avanti.
Inoltre, abbiamo un’altra potenzialità da sfruttare: la telemedicina, che ci permette di controllare da remoto le condizioni di un malato come se fosse in un reparto d’ospedale.
Investiremo anche in questo ambito, le nuove tecnologie sono una frontiera che rivoluzionerà tutte le nostre vite. Aspetto sanitario compreso. In pochi anni, esami che oggi vedono trafile burocratiche, attese agli sportelli, pagamenti del ticket fino alla prestazione finale, troveranno una soluzione senza muoversi da casa.
Tornando al libro del prof Cavicchi e ribadendo che, ripensare la sanità alla luce della pandemia è una sfida riformatrice che la sinistra riformatrice prima di ogni altro schieramento politico non può evitare di porsi, quali i punti politici di rilievo che mi hanno colpito e che a mio giudizio meriterebbe attenzione e quindi un supplemento di riflessione da parte nostra:
• i problemi posti dalla pandemia non si risolvono ignorando le criticità storiche del sistema sanitario che si sono accumulate in questi anni, risolvendo queste criticità cioè rimuovendo in senso riformatore le contraddizioni che ancora oggi sussistono a scala nazionale, si rafforza il sistema quindi la sua natura pubblica il suo universalismo a dispetto delle diseguaglianze, la sua affidabilità, la sua efficacia;
• la pandemia ci ha detto con chiarezza che le politiche di sotto finanziamento e di smantellamento dei servizi (penso agli ospedali ma non solo) fatte in questi anni in nome della sostenibilità, sono state un errore pagato a caro prezzo dalla nostra popolazione;
• la sanità deve essere rifinanziata ma sapendo che la questione della sostenibilità, con l’economia in ginocchio, prima o poi si ripresenterà e che quindi ogni futuro rifinanziamento deve garantire delle contropartite di salute, di qualità, di economicità, di rispondenza, di crescita del grado di adeguatezza del sistema nei confronti della domanda sociale;
• certo che bisogna potenziare il sistema ma nello stesso tempo si tratta di qualificarlo con delle riforme. Cioè una strategia riformatrice serve anche a spendere bene i soldi che avremo;
• la sanità va rifinanziata ma rifinanziarie le diseconomie, le disfunzioni, le regressività, gli squilibri non ha senso come non ha senso distribuire i soldi a pioggia o a casaccio;
• la pandemia ci obbliga a ripensare alcune questioni cruciali, per esempio la governance del sistema, il sistema di prevenzione, l’organizzazione del sistema dei servizi, il lavoro e la sua organizzazione, le prassi professionali, il loro inquadramento giuridico;
• il lavoro è la chiave di volta di ogni riforma. Se il lavoro non cambia al di la delle chiacchiere la sanità non cambia. Il cittadino giudica la sanità attraverso le sue prassi e le prassi sono definite da come si organizza e si definisce il lavoro.
Il prof. Cavicchi insiste, e secondo me non a torto, nell’abbinare “sinistra, sanità pandemia riforma”. L’idea di una “4ª riforma” per quanto ancora tutta da approfondire è una idea politica che merita di essere approfondita. Essa, da come ho capito, non è come si potrebbe pensare
una riforma della riforma della riforma, ma più semplicemente è il completamento della riforma del 1978 cioè un riformare ciò che fino ad ora non siamo riusciti a riformare e che per questo ci ha creato dei problemi.
Tra gli esempi che il prof. Cavicchi cita vi è l’ospedale ancora fermo alla riforma del ‘68 e il lavoro tutto sommato ancora ingessato nel 761. Mi sembrano esempi calzanti. Per cui io dico approfondiamo e torniamo a discutere di sanità senza tabù e senza pregiudizi. Usiamo la pandemia come occasione per migliorare come esperienza dalla quale imparare. L’Emilia Romagna seguendo la sua antica tradizione riformista è disponibile al confronto e se il caso ad ospitare il confronto.
Insomma, non dobbiamo avere paura del futuro. Ma cavalcarlo, anticiparlo, coglierne le potenzialità.
Non arrocchiamoci, non confondiamo i tabù con i principi della nostra azione di governo. Teniamo come stella polare la convinzione, inviolabile, che un povero abbia il diritto di essere curato come un ricco.
Un diritto della persona in quanto tale: di chiunque, senza alcuna distinzione. E attorno costruiamo un nuovo modello sanitario, più a misura di persona, economicamente sostenibile, nel quale non si abbia paura di toccare potentati e tagliare sprechi.
Questo è il perimetro che io immagino, pochi spunti da un ‘non-esperto’ in materia che offro con piacere al confronto che con merito avete aperto.
Stefano Bonaccini
Presidente Regione Emilia Romagna
Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome
16 marzo 2021
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