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Covid. Siamo sicuri che la campagna vaccinale abbia ingranato la marcia giusta?

di Nello Martini

Sono molte le questioni aperte, non solo quella della mancanza di dosi. Dai criteri di priorità adottati ai differenti approcci da parte delle Regioni. E poi la questione sull'efficacia dei vaccini che sta creando dubbi sull'esistenza di vaccini di serie A e di serie B. E inoltre l'altalena di Aifa nei confronti del vaccino AstraZeneca, fino ai ritardi nel coinvolgimento di medici di famiglia e farmacie nella campagna

02 MAR - Priorità ed equità nelle vaccinazioni
Nel Piano Nazionale vaccinale anti Covid-19 del Ministero della Salute è prevista una fase iniziale con la vaccinazione di operatori Sanitari e Socio Sanitari, ospiti dei Presidi Residenziali (RSA) e over 80 anni.
 
Nelle fasi successive si è previsto di vaccinare le persone estremamente vulnerabili che comportano un rischio particolarmente elevato di forme gravi o letali di COVID-19, a seguire le persone dai 70 ai 79 anni e la popolazione con almeno una comorbidità cronica.
 
Mentre la fase iniziale e le relative priorità risultano ben definite e chiare, le fasi successive si basano su alcuni criteri, scientificamente corretti ma molto discrezionali nella applicazione: chi stabilisce gli algoritmi di estrazione delle popolazioni vulnerabili con comorbilità, chi fa gli elenchi per Regione e per ASL, per residenza o per presenza?
 
Quello che si sta verificando è che ogni Regione fa da sé sui criteri, con diverse modalità di prenotazione, con differenti calendari e con velocità e modalità logistiche estremamente differenziate a cui si aggiungono le pratiche burocratiche legate alla compilazione dei moduli.
 
Ma poiché la vaccinazione comporta di poter evitare il ricovero ospedaliero e ridurre mortalità, le diseguaglianze tra Regioni, pongono rilevanti problemi di equità e di appropriatezza di accesso.
 
L’età e la vaccinazione per fasce di età rimane il criterio più semplice, trasparente ed equo.
 
Vaccini di serie A e di serie B?
La percezione crescente tra la gente e le affermazioni apparse sulla stampa scientifica e laica, che esistano vaccini di serie A (efficaci e costosi) e vaccini di serie B (meno efficaci e meno costosi), risultano pericolose e sbagliate.
 
Tali affermazioni, infatti, si basano esclusivamente sulla percentuale di efficacia di prevenzione dall’infezione dimostrata negli studi registrativi dei singoli vaccini rispetto al placebo.
Ma tali dati non si basano su studi comparativi tra i diversi vaccini che, peraltro, sono stati testati su popolazioni diverse dal punto di vista epidemiologico.
 
Inoltre non si tiene conto che i risultati delle sperimentazioni cliniche non possono essere direttamente trasferiti come tali, ma devono essere verificati nel tempo nella reale pratica clinica.
 
Infine, non si è sottolineato a sufficienza che tutti i vaccini disponibili sono parimenti ed egualmente efficaci nella riduzione dei ricoveri e della mortalità per il covid-19, che rimane l’obiettivo fondamentale per uscire da questa fase della pandemia.
 
La percezione e le affermazioni sulla diversità dei vaccini disorientano i cittadini e gli operatori sanitari, creano situazioni di rifiuto di alcuni vaccini e alimentano le posizioni negazioniste dei no-vax.
 
Aifa e il vaccino AstraZeneca
La decisione di AIFA di combinare l’autorizzazione all’uso in Italia del vaccino AstraZeneca (approvato da EMA per tutte le età) con la “raccomandazione” della somministrazione ai soggetti fino ai 55 anni (limite poi portato a 65) ha creato evidenti e rilevanti ripercussioni.
Infatti, la raccomandazione è stata letta e interpretata come un divieto alla somministrazione nella popolazione anziana (con età superiore a 65 anni) e ha finito per contribuire ad alimentare la percezione dell’esistenza di differenze di efficacia tra i vaccini disponibili.
 
Infine, ha escluso la medicina generale dalla vaccinazione degli over 80 e della popolazione tra 65 e 80 anni con l’unico vaccino non sottoposto alla catena del freddo, condizionando l’intero piano vaccinale.
 
Medici di medicina generale  e farmacie per una svolta nella campagna
In una fase iniziale, a causa della disponibilità di vaccini collegati con la catena del freddo per la vaccinazione degli operatori sanitari, degli ospiti delle RSA e degli over 80, si è fatto riferimento al personale ospedaliero, oberando ulteriormente strutture al limite del collasso, contrariamente al concetto di Sanità e prevenzione territoriale e di prossimità.
In un quadro di dosi di richiamo, delle varianti, di nuove vaccinazioni negli anni, di nuovi eventi pandemici, è necessario strutturare e mantenere una grande velocitò e capacità di vaccinazione basata sulla Medicina Generale derivante da una scelta forte istituzionale e politica.
 
In Italia i MMG (inclusa la guardia medica) sono circa 46.000 soggetti: utilizzando al meglio il contratto firmato con la Medicina Generale, si concretizza la possibilità che ogni MMG possa vaccinare ogni giorno da 10 a 20 persone, che significa la possibilità di arrivare a somministrare circa mezzo milione di dosi al giorno, aumentando di 5 volte l’attuale velocità di vaccinazione.
Oggi viaggiamo ad una velocità molto ridotta di circa 100.000 dosi al giorno del tutto incompatibili con gli obiettivi di vaccinare entro luglio il 70% della popolazione europea.
 
A breve, con la disponibilità dei vaccini “monodose” e del potenziamento della produzione, il vero problema sarà costituito dalla logistica e dalla velocità ed efficienza di vaccinare.
La Medicina Generale è la vera e unica struttura che può garantire tale velocità e ampiezza di vaccinazione nell’ambito di un progetto Paese, senza gravare sul personale dell’Ospedale, come dimostrato ampiamente negli anni con la vaccinazione anti-influenzale.
 
Inoltre in Italia vi sono 19.000 farmacie distribuite capillarmente su tutto il territorio nazionale e anche nelle zone rurali che non hanno neppure un presidio fisso della medicina generale. Anche in questo caso prevedendo 10 dosi di vaccino/die per ogni farmacia si avrebbero 190.000 dosi somministrate ogni giorno.
 
Ha senso pensare ad una autarchia vaccinale?
Come per le mascherine anche per i vaccini, cioè per presidi o medicinali essenziali, di utilità primaria e salvavita, l’Italia non può dipendere esclusivamente dalle forniture di altri paesi e dai contratti europei.
 
In questo senso è stata sostenuta da più parti, e dallo stesso Ministro della Salute che, in caso di emergenza sanitaria di questa natura, non regge l’istituto della proprietà esclusiva dei brevetti, e risulterebbe necessaria il ricorso alle licenze obbligatorie.
 
Si tratta in ogni caso di un processo lungo nei tempi, oggetto di contenzioso e che creerebbe contrapposizioni non utili; peraltro i vaccini non sono come i farmaci chimici che in presenza di una licenza obbligatoria possono essere rapidamente immessi sul mercato, perché i vaccini presentano una intrinseca complessità del processo biotecnologico.
In questo senso dovrebbero essere concertate dal Governo delle soluzioni concrete e rapide per cui le aziende detentrici dei vaccini potrebbero cedere alle strutture industriali biotech presenti in Italia il bulk vaccinale per una attivazione dei bioreattori, ai fini della produzione dei vaccini in ogni caso in tempi non brevi.
 
Contestualmente andrebbero finanziate e supportate le aziende e gli spin-off nazionali che investono in ricerca e sviluppo dei vaccini e contestualmente potenziare la capacità di confezionamento nei siti di produzione in Italia, inclusa l’attività di infialaggio.
Tenendo presente di tutto il problema delle dosi di richiamo, delle varianti, dei nuovi vaccini attivi sulle varianti, delle immunità definita nel tempo e di possibili nuove infezioni e pandemie è necessario oltre alle iniziative di emergenza avere un progetto paese di medio e lungo periodo.
 
Faremmo bene a fare come gli inglesi?
La strategia utilizzata in Inghilterra con la somministrazione di una dose al maggior numero di persone ha due principali debolezze:
- il livello di efficacia dimostrato ad oggi è stato ottenuto con due somministrazioni di vaccino; non è del tutto chiaro quanto e per quanto tempo una sola somministrazione può essere efficace;
 
- i vaccini proteggono dalle manifestazioni più severe della malattia, non dalla infezione in quanto tale. In caso di una sola dose ci potrebbe essere il rischio di una più elevata circolazione del virus in soggetti pauci o asintomatici, , soprattutto se la popolazione nel suo complesso non è stata ancora vaccinata in percentuali adeguate.
Ma nonostante queste limitazioni, in una condizione in cui il virus e le sue varianti continuano ad accelerare e la vaccinazione risulta lenta e frammentata, il ricorso ad una sola dose diventa una soluzione percorribile, per rallentare il ritmo delle infezioni, anche perché eviterebbe di accumulare scorte di vaccini per la seconda somministrazione.
 
Perché Ema arriva sempre dopo le altre agenzie regolatorie?
L’EMA ha procedure di autorizzazione dei medicinali molto complesse e spesso caricate di aspetti burocratici, con numerosi passaggi, non sempre necessari, tra diverse commissioni e procedure standard.
La mancanza di flessibilità (senza rinunciare ad elevati standard di qualità) unitamente alla frammentazione secondo step e sotto-commissioni fa sì che l’iter autorizzativo dell’EMA sia più lungo e meno efficiente rispetto a UK, USA e Israele.
 
Nello Martini
Fondazione Ricerca e Salute
L’autore è stato Direttore Generale dei Farmaci e dei dispositivi medici del Ministero della Salute e successivamente Direttore generale di Aifa fino al 2008.

02 marzo 2021
© Riproduzione riservata


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