Superare il modello delle Case di riposo e delle Rsa. Non più posti letto, ma intensità di cura applicata alla domiciliarità
di Marinella D'Innocenzo
Partendo da una radicale riforma partecipata del welfare italiano, si potrebbero strutturare le linee di sviluppo strategico di un sistema basato su piattaforme abitative adatte o adattabili alla vecchiaia, ben localizzate e ben integrate nel tessuto urbano. Soluzioni abitative ad intensità assistenziale modulabile, invece di posti letto
24 APR - “Se le case dove abitiamo sono adatte, è più efficace spostare i servizi - soprattutto quelli sociosanitari - che costringere le persone a ripetuti cambiamenti nelle fasi più delicate della loro esistenza”. (
The DanishMinistry of Housing, Urban and Rural Affairs. Factsheet on housing for the elderly)
La pandemia da coronavirus ha aggravato lo stato del Sistema Sanitario Nazionale, già condizionato da pesanti interventi di risanamento tecnico ed economico di molte regioni in Piano di Rientro, ma ha acuito la crisi ancor più pressante, del welfare locale. Questo tipo di sollecitazioni costanti, stanno drammaticamente modificando il processo d’invecchiamento in atto nel nostro Paese, con enormi ricadute sulle condizioni abitative, reddituali, di salute e benessere che dovranno inesorabilmente accompagnare l’allungamento della vita dei prossimi anni.
Sono tanti gli studi che posizionano il SSN tra i primi al mondo (Bloomberg, ad esempio). Indicatori di valutazione a parte, già alcuni anni fa, nell’11° Rapporto di CreaSanità “L’universalismo diseguale”, si analizzava che nonostante il vantaggio che l’Italia registrava sugli altri paesi europei rispetto alle migliori condizioni di salute dei propri cittadini, anche a fronte di una spesa sanitaria molto più bassa, se non si fosse intervenuti sull’equità e l’accessibilità dei servizi specie quelli per gli anziani fragili e per i più vulnerabili, il vantaggio, acquisito, che si stava già riducendo, si sarebbe azzerato se non addirittura invertito.
Il SSN, anche alla luce di scelte fatte da alcune Regioni, sta convergendo progressivamente e inesorabilmente verso modelli di sistemi meno tutelanti ed universalistici. Si è assistito in alcune realtà e nel vissuto quotidiano delle persone, soprattutto quelle più vulnerabili e fragili, ad una riduzione dell’area di copertura e di tutela della sanità pubblica: e insieme alle fasce deboli anche la classe media ha subito, e subirà, i maggiori contraccolpi di questo processo.
Questa riduzione della copertura sanitaria e di accesso alle prestazioni, così come si è caratterizzata in alcuni settori e aree geografiche del Paese, sarà ancora più evidente con la crisi economica che ci troveremo ad affrontare nell’era post Covid.
Una delle numerose criticità che il coronavirus ha evidenziato, sull’intero territorio nazionale, è quella legata alla residenzialità per gli anziani e per i pazienti fragili.
Nonostante alcune esperienze e modelli di residenzialità all’avanguardia e con livelli di sorveglianza sociosanitaria importanti, il modello delle Case di Riposo per anziani e il modello delle RSA non ha tenuto ,o lo ha fatto solo in parte. Ma non si vuole entrare su come l’epidemia da Covid-19 sia stata gestita, né come sia stata possibile un’espansione dei contagi in queste strutture. Quello su cui si vuole riflettere è se questo modello di residenzialità per anziani sia ancora oggi proponibile, anche e soprattutto nel post Covid, consapevoli che l’epidemia modificherà per sempre le nostre abitudini, comportamenti e scelte anche in campo sanitario.
Prevenire le patologie dell’invecchiamento e assicurare adeguati livelli assistenziali costituiscono due obiettivi imprescindibili delle moderne politiche di welfare che richiedono, anche alla luce della pandemia Covid-19, un’attenzione ancor più specifica. Basti pensare a quanto la tecnologia (telemedicina, teleassistenza, teleriabilitazione, domotica per gli ambienti di vita, solo per citarne alcuni) possano oggi essere leve strategiche in grado di riqualificare la rete di cura, assicurando nuovi metodi di gestione ed erogazione dei servizi socio-sanitari.
La pandemia ha accelerato la ricerca di soluzioni di cura e assistenza da remoto che, sia per ragioni di spesa che d’innovazione tecnologica, le organizzazioni stanno sperimentando. Tecnologie biomedicali, più potenti reti ICT, monitoraggio dei sintomi delle pluripatologie croniche - tipiche dell’invecchiamento - tramite device indossabili,tecnologie smart e semplici app, efficaci ed adeguate strategie di prevenzione (screening sierologici predittivi di infezioni o patologie croniche), stanno contrastando la forte spinta all’utilizzo dell’ospedale, o a strutture centrate su quel modello, snodo di possibili diffusioni di contagio del virus.
Alcuni rapporti stanno dimostrando quanto i modelli organizzativi regionali costruiti sulla medicina territoriale e sull’assistenza a domicilio stiano favorendo la gestione della pandemia contrastandone efficacemente la diffusione. È evidente, inoltre, che accanto allo sviluppo dell’assistenza a domicilio, bisogna sviluppare altre forme di prevenzione e cura utili ad aiutare i futuri anziani a migliorare le condizioni di vita e di salute. Si dovrà lavorare per garantire a chi invecchia una situazione abitativa adeguata, accessibile e sicura con servizi sociosanitari di prossimità e che garantisca un legame costante con il proprio vissuto e gli affetti.
Del resto, i cambiamenti epidemiologici e demografici in atto costringono le organizzazioni a modificarsi verso un modello di salute d’iniziativa, proattivo e di prossimità, tale da garantire al paziente, soprattutto se anziano e fragile, interventi adeguati e differenziati in rapporto al livello di rischio. Modelli dove gli operatori sanitari e sociosanitari, volontariato e istituzioni rappresentano il collegamento fra residenti e servizi.
Il welfare europeo va sempre più orientandosi verso l’abitare, e soprattutto va fuori dall’Ospedale e strutture concettualmente simili. Un “abitare” le cui forme aggiornate appaiono in grado di rispondere efficacemente alle necessità legate all’invecchiamento, anche quando questo si accompagna a patologie croniche e/o invalidanti.
È certo però che si devono superare i tanti problemi che caratterizzano il patrimonio abitativo degli anziani nel nostro paese: case vecchie, piene di barriere architettoniche, scarsamente fruibili, di dimensioni troppo grandi, difficili da gestire e organizzare, soprattutto se rapportate agli attuali livelli reddituali di molti anziani.
Politiche mirate a migliorare la qualità dell’abitare e i luoghi di prossimità verso gli anziani, che provvedano per tempo ad occuparsi delle proprie esigenze ed aspettative per la fase più avanzata della vita, prima che insorgano le fragilità e le debolezze della vecchiaia.
In questo processo, alcuni servizi territoriali ed équipe multidisciplinari si occupano di sostenere la permanenza a casa di persone anziane e con disabilità (assistenza domiciliare integrata). Il modello delle USCA, le unità speciali di continuità assistenziale per il contrasto alla diffusione del coronavirus, possono essere integrate a questi servizi e, una volta alle spalle la pandemia, si potrebbero abbinare a soluzioni flessibili e innovative per la “residenzialità leggera” e a servizi on demand per le cronicità, in risposta alla complessità dei bisogni assistenziali della terza età.
Nuovi modelli basati sulla dimora naturale, come quelli danesi, che non impongano separazioni, facilitino i percorsi di vita, e che non costringano le persone a cambiare necessariamente abitazione in caso di disabilità. Strutture di housing sociale che non confinano, ma che abbinano gli aspetti della vita indipendente a quelli della vita assistita, rendendoli più fluidi e più tollerabili anche rispetto alle abitudini di vita. Le parole chiave che definiscono questo modello sono insite in concetti come ambiente, flessibilità e adattabilità, neutralità o compartecipazione nei costi tra gli aspetti sanitari e sociali.
Un modello che superi il concetto di Casa di Riposo o Residenza Sanitaria Assistita come approdo naturale della senescenza, ma dove l’abitare ed i servizi siano strettamente collegati, dove le persone possano ricevere prestazioni dall’alto value sociosanitario, indipendentemente dal luogo in cui esse dovranno essere garantite ed erogate: dimora naturale, housing sociale pubblico o privato, residenzialità leggera, strutture specializzate. L’unica variabile dev’essere quella rappresentata dalle necessità delle persone, non dal luogo di erogazione!
L’obiettivo è un modello integrato di nuove forme di residenzialità, condivise con le Amministrazioni locali e con tutti gli stakeholder, che ricomprenda un’offerta quanto più ampia possibile di sevizi socio-sanitari (dalle consegne a domicilio, trasporti, sostegno domestico, servizi alla persona e servizi socio-sanitari).
Partendo quindi da una radicale riforma partecipata del welfare italiano, si potrebbero strutturare le linee di sviluppo strategico di un sistema basato su piattaforme abitative adatte o adattabili alla vecchiaia, ben localizzate e ben integrate nel tessuto urbano.
Soluzioni abitative ad intensità assistenziale modulabile, invece di posti letto.
L’intensità di cura applicata alla domiciliarità, un ripensamento profondo di piattaforme d’inclusione che parte da una precisa visione identitaria e culturale italiana, che costruisce network tra il ruolo sociale degli anziani e la centralità dell’abitare, potenzialmente di grande portata progettuale e traino anche per la ripresa economica oltre che d’innovazione sociosanitaria.
Marinella D’Innocenzo
Direttore Generale dell’ASL di Rieti
24 aprile 2020
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