La nuova guerra sulle competenze. È il momento della concertazione, quella vera (seconda parte)
di Ivan Cavicchi
Le ragioni profonde che spingono le professioni ad allargare le loro competenze non possono più essere negate, esse hanno a che fare con un mucchio di cambiamenti innegabili che coincidono con un bisogno di riforma della sanità pubblica e in particolare con una riforma del lavoro. Ma di fronte a tutto questo il "mansionismo" delle competenze avanzate fa ridere
10 DIC -
Beux
Una cosa che mi ha colpito è stata la lettera aperta di Beux ad Anelli. (
QS, 3 dicembre 2019)
Questa lettera ci propone una operazione politica che non mi convince e che si scontra con l’idea che io ho, sia di medicina che di sanità pubblica.
Dico subito a Beux che nel momento in cui si lavora insieme ma si “nega” la professione con cui si lavora, negando la concertazione, il rischio che lui paventa, cioè che a rappresentare il sistema sia solo il medico, non esiste, ma nello stesso tempo, nessuno mi garantisce che, il sistema, in ragione dei rapporti di forza che ci sono, non sia rappresentato arbitrariamente da altre professioni con altri interessi.
Per esempio da tutti coloro che non vogliono la concertazione. Che differenza c’è tra due o più professioni se entrambe rappresentano il sistema sulla base dei loro legittimi interessi e non sulla base delle necessità del “servizio” o come dice addirittura la Fnomceo, assumendo il cittadino e non lo Stato come proprio committente?
Quindi la domanda di fondo è: a parte i medici, cioè i presunti padroni del vapore, su quali basi si dovrebbe rappresentare un sistema sanitario fatto da un sistema di servizi?
Per me, chiunque pensi di rappresentare la sanità dei servizi, solo con i propri interessi anche se legittimi, non ha nessun titolo per rappresentarla, perché l’interesse peculiare non è detto che sia in grado di soddisfare l’interesse generale. Interesse e diritto non è detto che siano coincidenti.
Corporativismo contro riformatore
Per me la lotta strenua per le competenze avanzate, sociologicamente, andrebbe inquadrata nella categoria politica del corporativismo. Per ovvie ragioni, per me, il corporativismo in tutte le forme, in sanità, non ha diritto di rappresentare un bel niente. La logica del “sé medesimo” non è detto che sia una garanzia per “l’altro”, cioè non è detto, da quello che leggo, che l’interesse dell’operatore sia una garanzia per il diritto del malato.
Una gestione corporativa della sanità pubblica è quanto di peggio si possa immaginare. Quante Uos e Uoc sono state fatte con le tessere di partito? Quante procedure di conferimento degli incarichi professionali sono state suggerite dal sindacato?
Se io leggo, da analista, il fenomeno delle competenze avanzate, contro luce, io vedo dietro di esso una forte spinta corporativa che si incontra e si sovrappone, fino a colludere, con un’altra brutta bestia, che è la controriforma rappresentata dal regionalismo differenziato.
Il fatto nuovo con il quale fare i conti è:
• la negazione della concertazione,
• l’imporsi di forti spinte corporative,
• una forte azione contro riformatrice.
Su questo fatto nuovo che definisco “corporativismo contro riformatore” a mio parere, soprattutto il governo, farebbe bene a riflettere perché esso va ben oltre le dispute tra professioni e chiama in causa le garanzie costituzionali del cittadino.
Su una cosa Beux ha ragione quando, nella sua lettera, dice che, a causa dell’incapacità delle politiche centrali, le regioni sono state quasi costrette ad arrangiarsi. Ma se il mugnaio non macina bene il grano non ha senso far saltare il mulino.
Con il diavolo non si scherza quanto ai graffi meglio non esagerare
L’immagine che mi date come professioni che legittimamente vi battete per i vostri interessi è quella che, per avere qualche competenza in, più siete disposti ad allearvi anche con il diavolo (ai tempi del comma 566 con il PD, ora con la Lega cioè con il secessionismo) ma, a parte questo e a parte i problemi di autonomia degli ordini, siete disposti, se necessario, non solo a sacrificare la sinfonia e l’orchestra ma financo il sistema e il servizio.
Questo vi confesso mi spaventa non poco ma soprattutto mi colpisce che voi pensiate che dal patto con il diavolo chi ci guadagna siate solo voi e il diavolo niente.
Guardate, come insegna Faust, che la storia è diversa, del resto se vi leggete bene la normativa “sull’incarico funzionale”, nel contratto che voi avete sottoscritto, da nessuna parte sta scritto che per ragioni di convenienza non si possono togliere competenze ai tecnici di radiologia per darle all’infermiere.
Voi, apparite uguali, certamente senza volerlo, a quelle persone, rispetto alle quali Hume diceva che, pur di non avere un graffio al proprio dito preferiscono il crollo del mondo, e questo non è bello, perché il cinismo in medicina non può avere spazio. I valori della medicina sono esattamente il contrario del cinismo.
Sillogismo categorico di Beux
Nella lettera di Beux , ma non solo, penso anche alle posizioni pubbliche della Fnopi alle sue famose tesi sui ruoli contendibili, questa collusione tra corporativismo e anti-riformismo, è molto accentuata, per esempio quando egli si rammarica, alludendo chiaramente al regionalismo differenziato, che sino ad ora sono mancate le condizione giuste per valorizzare le professioni, cioè le famose “mani libere” da dare alle regioni, o quando, a proposito del “bisogna intendersi sui concetti”, facendo il verso a Venturi e alla teoria di “less is more”, tira fuori la storia “dell’efficienza”, vale a dire arriva a sostenere che quello che costa meno va preferito a quello che costa di più, dal che si arguisce quello che, con Aristotele, potremmo chiamare il “sillogismo categorico di Beux”: siccome i tecnici di radiologia costano meno dei medici radiologi e per essere efficienti bisogna costare poco, è necessario dare ai tecnici alcune delle competenze dei medici radiologi.
A fronte di questo discutibile sillogismo potremmo immaginare quello legittimo di un qualsiasi malato normale: siccome ho diritto di essere curato bene e per essere curato bene ho bisogno non del poco ma del meglio, è necessario che chi si cura di me sia non il meno costoso ma semplicemente il meglio possibile.
Oltre le invarianze
Io penso, come si sa da molto tempo, che le ragioni profonde che spingono le professioni ad allargare le loro competenze non possono più essere negate, esse hanno a che fare con un mucchio di cambiamenti innegabili, gli stessi, a ben vedere, che hanno consigliato i medici a fare gli Stati generali, e sono quelli che coincidono con un bisogno, per me più complessivo, di riforma della sanità pubblica e in particolare come ho detto anche nella “quarta riforma”, con una riforma del lavoro.
Il lavoro in sanità è la più grande invarianza sopravvissuta dopo ben tre riforme sanitarie. E’ cambiato quasi tutto ma non il lavoro. E’ arrivato quindi il momento di metterci le mani se non altro per ricontestualizzarlo con questa società, con questo cittadino e con questa economia. Le competenze avanzate per certi versi sono l’effetto perverso di questa invarianza storica come se l’acqua, trovando sempre degli sbarramenti, si indirizzassi dove possibile.
L’esempio più eloquente è proprio la legge 42 degli infermieri, il fatto che, per gran parte, a livello di categoria essa sia rimasta sulla carta, ha dato luogo alla post ausiliarietà e a pesanti contraddizioni tra titolo di studio e lavoro reale e al tentativo disperato di compensare la situazione di stallo, con delle competenze avanzate nella speranza di uscire dal corto circuito.
Mettiamo al centro della “consulta” il tema della riforma del lavoro in sanità. A che serve una consulta senza un progetto di riforma? Continuare a litigare sulle competenze ormai è una battaglia di retroguardia. Esse sono ormai un rottame del taylorismo. Oggi se davvero volessimo interpretare il nuovo, come dite, il tempo dell’ascription cioè della definizione burocratica della professione, dovrebbe essere superato, oggi nostro malgrado siamo in tutto il mondo della produzione avanzata, nel tempo dell’achievement cioè della definizione operativa e pragmatica del lavoro
Allarghiamo il gioco
Per trovare un accordo che accontenti interessi e diritti è necessario allargare il gioco.
Oggi:
• l’organizzazione del lavoro proprio come certi cognac è stravecchia,
• la forma storica di cooperazione tra le professioni e quindi le loro reciproche relazioni sono ampiamente obsolete,
• le prassi professionali nei confronti delle nuove e vecchie complessità del malato non possono più essere definite solo attraverso la prestazione o la competenza vale a dire con la vecchia cultura mutualistica, (competenze e prestazioni sono un retaggio delle mutue),
• la divisione classica del lavoro non regge più,
• di fronte alla complessità il “mansionismo” delle competenze avanzate fa ridere.
Prime conclusioni (parziali)
• La questione delle competenze avanzate è una questione politica di primaria grandezza che il governo deve governare, per la semplice ragione che la sua non soluzione può compromettere sul serio il nostro sistema sanitario e i diritti fondamentali delle persone.
• La concertazione non può essere abolita unilateralmente per contratto.
• La concertazione che ci serve non può limitarsi a spartirsi una torta troppo piccola per accontentare tutti, ma deve essere usata per inventare un modo nuovo di lavorare nella sanità con il quale interessi e i diritti siano compossibili.
Ivan Cavicchi
(Fine seconda parte, leggi qui la prima)
10 dicembre 2019
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