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La riforma dei criteri di riparto del Fsn e i dubbi della Lega

di Ivan Cavicchi

La discussione sulla risoluzione del Movimento 5 Stelle per la modifica dei criteri di riparto del fondo sanitraio nazionale è iniziata e, come era prevedibile, ha fatto emergere esitazioni e dubbi, soprattutto da parte di quei deputati del nord, quindi della Lega, che legittimamente temono, con i nuovi criteri, di far perdere risorse alle loro regioni di appartenenza

03 DIC - Nell’articolo della settimana scorsa ho sostenuto la risoluzione presentata alla commissione Affari sociali della Camera che ha come obiettivo quello di invitare il governo a riformare i criteri di riparto del Fsn (QS 22 novembre 2018).

Senza questa riforma non ci sarà mai l’eguaglianza di diritto alla salute per tutti.

La discussione, su questa importante coraggiosa ma anche difficile risoluzione, è iniziata, e, come era prevedibile, ha fatto emergere esitazioni e dubbi, soprattutto da parte di quei deputati del nord, quindi della Lega, che legittimamente temono, con i nuovi criteri, di far perdere risorse alle loro regioni di appartenenza.

La questione non va banalizzata liquidandola semplicemente come una manifestazione di egoismo o peggio di indisponibilità politica. Non è così. Del resto io stesso, se mi chiedessero di dividere, dalla mattina alla sera, la stessa torta con altri criteri, avrei timore ad essere penalizzato in particolare se fino ad ora ho avuto la fetta più grande. Ben altra cosa sarebbe se, nel dividere la torta, si riuscisse a trovare la maniera di fare gli interessi di tutti, tanto del nord quanto del sud.

Il dubbio cartesiano della Lega
Sono convinto che senza le giuste condizioni di consenso il rischio che corre la risoluzione è quello di abortire. E questo sarebbe davvero un peccato:
- per i gravi problemi redistributivi della sanità che per l’ennesima volta resterebbero irrisolti
- per la politica che dovrebbe ammettere la sua incapacità a mediare con intelligenza e senso di responsabilità gli interessi in gioco quindi a fare il suo mestiere.

I dubbi, che hanno i deputati della lega, sono del tutto legittimi e assomigliano molto a quelli cartesiani cioè a quelli che i razionalisti usano per:
- mettere alla prova le scelte, in questo caso, della risoluzione
- definire scelte indubitabili quindi condivisibili

Solo le scelte politiche che sopravvivono alla verifica dei dubbi possono essere considerate condivisibili ovvero classificabili come scelte comuni.
Un modo per rispondere ai dubbi è prevedere delle garanzie: le garanzie stanno al dubbio come le assicurazioni stanno alle cose controverse e contestabili. Ma su quale terreno? Garanzie ma di quale tipo?

Teoria e pratica
Secondo me la “risoluzione” va vista in modo dinamico cioè bisogna distinguere:
- le sue condizioni iniziali, quindi di avvio
- da quelle che andando a regime, garantiranno un giorno prestabilito la loro attuazione finale

Un conto:
- sono i principi, le scelte, le soluzioni, scritte nella risoluzione cioè la teoria
- un conto è la teoria messa a regime cioè in pratica.

Tra la teoria (disposizione delle soluzioni auspicate) e la pratica (messa a regime nella realtà) c’è uno spazio di tempo, quindi una transizione che è il vero terreno rispetto al quale si devono, per il bene della risoluzione, e quindi del paese, predisporre le garanzie che servono.

In fin dei conti la risoluzione non fa altro che proporre una nuova teoria distributiva, che, tuttavia, non è come potrebbe sembrare “togliere al nord per dare al sud” ma è dare a “regime” a ciascuna regione ciò di cui ha bisogno.

Se i deputati della lega si fermassero solo alla teoria distributiva interpretandola come una “resa dei conti” è inevitabile per loro avere dei dubbi dal momento che la distribuzione oggi è oggettivamente a favore del nord e a sfavore del sud. E legittimamente il sud rivendica i propri diritti.
Ma se la teoria distributiva è interpretata per quello che è, cioè come un nuovo meccanismo di equità, concepito a regime come equo tanto equo da dare a ciascuno esattamente ciò di cui ha bisogno, i dubbi dovrebbero sparire.

Chiarire bene le condizioni di fattibilità
In questo caso nella risoluzione si dovrebbe scrivere un paragrafo sotto il titolo “norme transitorie” nel quale decidere con cura le condizioni per la messa a regime della risoluzione. Cioè cosa fare nel transito teoria/pratica.

Se, di fronte alla teoria, ci si rifiutasse di aderire, si tradirebbero egoismi e pregiudizi nei confronti degli obiettivi di eguaglianza della risoluzione, esponendo il proprio partito al biasimo sociale soprattutto da parte di quelle regioni  del sud  che legittimamente ambiscono, su problemi di capitale importanza  come la vita e la morte delle persone, da decenni, ad avere solo un po più di giustizia.

Al contrario se essi dimostrassero disponibilità verso le ragioni pratiche della giustizia rivendicando nello stesso tempo ragionevoli garanzie di non penalizzazione, nessuno potrebbe accusarli di niente.

Cosa sono le norme transitorie?
Le norme transitorie sono clausole poste in chiusura di specifiche riforme legislative, (nel nostro caso la risoluzione), dirette espressamente a governare due problemi:
- rimuovere gli ostacoli che si potrebbero creare nel passaggio da una situazione ad un’altra
- rendere graduale il passaggio.

Nel nostro caso sono quindi clausole destinate a risolvere questioni relative alla quantità di risorse da redistribuire alle regioni nel tempo.
Si tratta di dare luogo ad un cambiamento importante e nello stesso tempo garantire ragionevolmente gli interessi in gioco.

La prima garanzia: il maggior favore
La clausola di "maggior favore" si basa su quella che si definisce “parzialità di prospettiva” secondo la quale le maggiori risorse garantite sino ad ora a certe Regioni si debbono salvaguardare perché il contrario potrebbe danneggiarle seriamente e compromettere i loro sistemi sanitari. Si tratta di riconoscere che nel caso delle regioni del nord le maggiori risorse che fino ad ora esse hanno avuto rappresentano tuttavia una condizione importante da tramutarsi in un valore meritevole di tutela.

Da qualche parte quindi si devono scrivere due cose:
- che la riforma dei meccanismi di riparto del Fsn non possono andare a discapito di chi sino ad ora ha avuto assegnazioni di maggior favore
- per evitare che il maggior favore sia tramutato in un privilegio, la distribuzione di maggiori risorse tuttavia deve prioritariamente andare a favore di chi sino ad ora ha avuto delle penalizzazioni finanziarie.

In che modo? Stabilendo un sistema di allocazione praticamente a due velocità.

Seconda garanzia: priorità del vantaggio a chi sta peggio
La risoluzione, per aggiungere i propri obiettivi di equità non può essere a costo zero e per evitare che si riduca a distribuzione conflittuale della spesa storica sottostimata rispetto al fabbisogno, dovrà essere finanziata.
 
La messa a regime della risoluzione quindi non può che avvenire parallelamente alla messa in opera degli incrementi finanziari previsti dalla legge di bilancio fino al 2021.

Gli incrementi previsti fino al 2021, almeno in parte, andrebbero usati certo per accrescere le risorse alle regioni ma nello stesso tempo con mirate allocazioni, per fare equità. Cioè in futuro, a regime, gli incrementi finanziari dovranno cambiare di segno e premiare prioritariamente i più deboli senza penalizzare nessuno. Il governo dovrà stabilire i criteri per regolare un genere di allocazione differenziata per velocità. I criteri potranno essere i più diversi essendo essi nulla più che gradienti cioè percentuali di crescita da concordare comprese tra 0/1.

Finanziare gradualmente l’equità
Il problema prima di ogni altra cosa è ridurre le sperequazioni per poi dare corso all’equità vera e propria. Non si riesce a fare equità in un colpo solo. Essa va intesa per forza come un processo graduale. Il 2021 non mi sembra un termine irrealistico. Ma anche il termine è negoziabile.

Non si tratta di redistribuire una quantità storica di risorse invariante ma di redistribuire, in un certo tempo concordato, un plus di risorse da destinare alla costruzione dell’equità e ribadisco:
- mantenendo invariata l’assegnazione di maggior favore
- usando l’incremento finanziario per soccorrere prioritariamente le regioni più deboli.

Vediamo lo schema:
- a seguito della norma di salvaguardia a tutte le regioni del nord sono garantite le assegnazioni storiche fino a quando il nuovo meccanismo distributivo non andrà a regime
- in ragione degli incrementi previsti dalla legge di bilancio a tutte le regioni del sud sono assegnate con certi criteri risorse maggiori di quelle sino a questo momento loro assegnate
- una volta raggiunta una soglia minima di equità tra regioni da quel momento le norme di salvaguardia decadranno e tutte le regioni avranno diritto in ragione dell’indice di occorrenza di accedere agli incrementi dei quali necessitano.

Deprivazione e competizione
Fino a questo momento, vale a dire prima della risoluzione, il sud ha tentato inutilmente di modificare il meccanismo di distribuzione cercando di modificare la ponderazione a suo favore. Partendo dal presupposto che esistono evidenti correlazioni tra le malattie e lo stato socio-economico delle persone e delle comunità, quindi veri e propri “svantaggi”, ha proposto di correggere la ponderazione con l’indice di deprivazione. Uno strumento di natura ovviamente statistica che tenta di sintetizzare l’assegnazione delle risorse calcolando i fabbisogni del territorio, cioè misurando la proporzione tra bisogni sanitari e i contesti di vita della gente.

Rammentando che la deprivazione è per definizione un concetto multidimensionale, impossibile, quindi, da definire in modo univoco, l’errore politico fatto dai suoi propugnatori e che, secondo me ne ha decretato sino ad ora l’inconcludenza, è stato quello di invocare un criterio per modificare a vantaggio del sud la ponderazione ma a invarianza del meccanismo di ponderazione cioè restando dentro la logica della quota capitaria ponderata.

Restare in questa logica significa tentare semplicemente di risolvere il problema delle diseguaglianze togliendo al nord per dare al sud, e quindi scadere in quella che potremmo chiamare “la guerra dei poveri” o se si preferisce un genere di redistribuzione competitiva. Se i meccanismi di riparto non sono ridiscussi si tratta solo di dividere la stessa torta in un altro modo. Fino ad ora ovviamente il nord si è sempre opposto e non si è concluso nulla perché il nord ci avrebbe rimesso.

Indice di occorrenza
La proposta di “indice di occorrenza” che ho avanzato nel mio precedente articolo, al contrario intende ridiscutere la torta e quindi come distribuirla con un duplice scopo:
- uscire dalla logica della quota capitaria ponderata perché essa è un criterio che contrappone le regioni tra loro
- passare da un genere di redistribuzione competitiva ad un genere di redistribuzione cooperativa cioè concordare con le regioni un obiettivo di equità condiviso.

La cosa fondamentale, per l’indice di occorrenza, non è dare di più o di meno ma dare a ogni regione esattamente ciò di cui ha bisogno. Se tutte le regioni del nord e del sud, grazie all’indice di occorrenza, avranno ciò di cui hanno bisogno avremmo superato le diseguaglianze e avremmo affermato concretamente una idea di universalismo equo, cioè discreto.

Mediazioni
Intanto vorrei ricordare che si sta discutendo di una “risoluzione” e non di una legge, cioè si sta discutendo di un indirizzo politico da rivolgere al governo e che poi il governo dovrà tradurre in un provvedimento normativo.

Quindi vorrei fugare tanto le esitazioni che i dubbi dicendo che essi avrebbero senso, se si restasse nella logica della quota capitaria ponderata, in questo caso, si, modificando la ponderazione e restando dentro una logica di redistribuzione competitiva delle risorse, le regioni del nord rispetto a prima ci rimetterebbero.

Cioè se tutta la risoluzione si riducesse a introdurre, nella ponderazione, l’indice di deprivazione non faremo grandi passi in avanti.
La proposta dell’indice di occorrenza, che come ho già spiegato, vale come mettere al centro della allocazione, il rischio sanitario effettivo di un individuo e di una comunità, risponde ad un obiettivo condiviso di costruzione dell’equità e usa l’equità contro le diseguaglianze ma attraverso precise norme transitorie senza penalizzare il maggior favore.

Si tratta quindi di invitare il governo a:
- dare avvio ad un processo di riforma
- governare una transizione
- mettere a regime un genere di universalismo equo.

Conclusioni
Una politica che riuscisse a rendere davvero uguali di fronte al diritto alla salute, tutti i cittadini, tanto del nord che del sud, assegnando loro giuste quantità di risorse calcolate in proporzione a dei fabbisogni effettivi, meriterebbe una menzione da parte della storia.

Il suo merito sarebbe, a parte fare una cosa buona per il nostro paese, quello di cancellare uno dei paradossi più imbarazzanti della sanità pubblica: quello di ritenere possibile finanziare il diritto alla salute con la legge della jungla.

Tutti i discorsi sulla solidarietà, sull’uguaglianza, sull’universalismo, con i quali tutti i benpensanti della sanità, nessuno escluso, si riempiono la bocca, anche su questo giornale, fino a quando non sarà superata la legge della jungla resteranno l’espressione della loro, per me francamente insopportabile, falsa coscienza.

Ivan Cavicchi

03 dicembre 2018
© Riproduzione riservata


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