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Alcol. In Italia 435mila morti in 10 anni. Ecco l’identik dei bevitori, delle motivazioni e degli effetti in una ricerca Eurispes-Enpam


Attraverso l’analisi e l’incrocio di diverse fonti statistiche, Eurispes ed Enpam hanno calcolato i decessi causati dall’alcol in Italia negli ultimi 10 anni: 435mila morti dal 2008 al 2017 per patologie alcol-correlate, incidenti stradali, incidenti sul lavoro, incidenti domestici e omicidi o suicidi legati allo stato di alterazione psicofisica. Di questi, 296mila e cinquecento sono uomini, 139mila donne.

17 OTT - La maggiore delle dipendenze è quella da alcol che rappresenta il primo fattore di rischio per la salute in Europa, dopo il fumo e l’ipertensione. Ed è stata la causa in dieci anni (2008-2017) di 435mila morti.

La frequenza dei pazienti che presentano problemi legati all’alcol è preoccupante: poco meno della metà dei medici intervistati (48,5%) ha detto di incontrare persone con questo profilo “qualche volta”, più di tre su dieci (31,6%) ha rivelato di incontrarli “spesso”. A visitare pazienti che non sono in grado di gestire un uso responsabile di sostanze alcoliche sono, in quantità leggermente superiore, i medici delle strutture pubbliche rispetto quelli delle strutture private.

I problemi che i medici riscontrano con maggiore frequenza sono: patologie legate ad un’abitudine al consumo eccessivo (53,8%), problemi psicologici legati alla dipendenza da alcol (22,3%), incidenti dovuti alla guida in stato d’ebbrezza (13,4%), problemi legati al bere compulsivo, come coma etilico e intossicazione da alcol (9,9%), infine, in misura minore, incidenti sul lavoro dovuti allo stato di ebbrezza (0,6%).
 
Nei paesi dell’Unione, il consumo annuo pro capite è stimato a 9 litri.

L’Italia supera nettamente la media mondiale di un consumatore di alcol su tre: il 60% degli italiani, infatti, consuma una o più dosi di alcol al giorno. Nel nostro Paese si contano 8,6 milioni di consumatori a rischio, 2,5 milioni dei quali anziani e 1,5 milioni adolescenti.

Secondo l’Osservatorio Nazionale Alcol-Cneps dell’Istituto Superiore di Sanità i consumatori “dannosi”, che presentano problemi di salute conseguenti al consumo di alcol, sarebbero circa 700mila.
 
Attraverso l’analisi e l’incrocio di diverse fonti statistiche, Eurispes ed Enpam hanno calcolato i decessi causati dall’alcol in Italia negli ultimi 10 anni: 435mila morti dal 2008 al 2017 per patologie alcol-correlate, incidenti stradali, incidenti sul lavoro, incidenti domestici e omicidi o suicidi legati allo stato di alterazione psicofisica. Di questi, 296mila e cinquecento sono uomini, 139mila donne.
   
Si beve ovunque a qualunque ora, anche con pochi soldi, sempre più lontano dai pasti, e soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione.

Secondo l’indagine Enpam-Eurispes “Il consumo di alcol tra i cittadini”, un quarto degli italiani associa l’alcol a situazioni di convivialità (23,8%), il 17,1% lo accomuna ad una sensazione di piacere, l’11,9% ad un concetto di spensieratezza, un cittadino su dieci al relax (10,6%). Più contenute le percentuali di chi lo associa ad un’immagine non positiva: fuga dai problemi (9,3%), perdita del controllo (9%), pericolo (7,3%).
 
Il dato relativo alla risposta “convivialità” passa dall’ 16,5% nella fascia tra i 18-24 anni ad un valore massimo di 26,8% nella fascia dei più anziani. Sono i più giovani, invece, ad associare all’alcol il concetto di “piacere” più spesso delle persone mature (21,6% contro il 14,3% delle persone mature).
 
Gli uomini più delle donne ritengono che bere sia un piacere (19,4 contro 14,8%); al contrario, le donne più spesso degli uomini associano l’alcol alla perdita del controllo (11,5% contro 6,4%).
 
Entrando nel merito del consumo di alcol, le risposte raccontano un consumo “normale”, quasi moderato. Oltre la metà dichiara di consumare alcol “qualche volta” (55,7%), il 17,1% lo fa “spesso”, solo il 7,9% “tutti i giorni” e quasi due su dieci non beve “mai”.
A bere più “spesso” sono i giovani: tre su dieci nella fascia 18-24enni, il 23% tra i 25-34enni. Le differenze tra i due sessi sono sempre più sottili, anche se rimane più alto il numero delle donne astemie (28,1% contro il 10,5%).
 
Tuttavia, è la precocità del debutto alcolico, l’aspetto più preoccupante che emerge dalla ricerca. Il 15,8% ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 13 anni, e tra i maschi la percentuale sale al 20,5%; un terzo della popolazione lo ha fatto tra i 14 e i 17 anni (33,5%), per due su dieci il “debutto” è avvenuto tra i 18 e i 20 anni (20,1%), il 12,4% ha iniziato a bere dopo i vent’anni. Ha assunto alcol prima dei 10 anni il 3,8% degli intervistati: in particolare al Nord-Ovest, dove si registra un numero di bevitori precoci superiore alla media che si attesta al 7,6%.
 
Negli ultimi anni, è cambiato profondamente il modo di bere: lo si fa sempre di più fuori dai pasti, in dosi massicce e in un tempo circoscritto. 

I dati dell’Osservatorio Enpam-Eurispes rivelano che oltre tre italiani su dieci bevono alcol quando si trovano “in compagnia” (32,1%), il 23,6% quando “ne ha voglia”, una percentuale quasi analoga lo fa “durante i pasti” (23,2%), il 21,2% “in occasione di ricorrenze”. La tendenza a bere in compagnia è più accentuata tra i giovani 18-24 anni (45%), mentre tra i 25-34enni l’abitudine a bere quando se ne ha voglia raggiunge il 32,7%. Dati spia di abitudini potenzialmente a rischio che caratterizzano più i giovani rispetto agli adulti e agli anziani.
 
Quasi la metà del campione ammette di bere eccessivamente “ogni tanto” (47,7%), l’11,1% lo fa “spesso”, solo lo 0,7% “tutti i giorni”; mentre quattro intervistati su dieci dichiarano di non bere mai eccessivamente. 

Se confrontiamo questo risultato con i dati del 22esimo Rapporto Italia dell’Eurispes del 2010, emerge un preoccupante aumento del consumo eccessivo: allora, la quota di chi beveva “spesso” era dell’1,6%, la quota di chi eccedeva “qualche volta” si fermava al 33,7%. Ed è tra i giovani che la percentuale dei consumatori occasionali cresce ancora rispetto alla media, arrivando al 60% tra i 18-24enni e al 59,2% tra i 25-34enni.
Al Nord-Ovest il triste primato del numero più alto di bevitori eccessivi.
 
Se si analizzano i motivi di chi oltrepassa il limite, si scopre che gli eccessi oggi si sposano, più frequentemente che in passato, con gli stati d’animo delle persone e con le loro difficoltà, anche relazionali. 
 
Il 28% di chi si trova a bere in modo eccessivo riconosce che lo fa per “piacere” (nel 2010 la quota era del 49,4%); oltre un quarto degli intervistati fa uso eccessivo di sostanze alcoliche per “stare meglio con gli altri”, il 12,1% in più rispetto a otto anni fa; il 23,7% dichiara di eccedere per “rilassarsi”, ovvero l’8,8% in più rispetto al 2010. Aumenta anche chi ritiene che bere sia un modo per “affrontare una situazione complicata” (9,2% contro il 2,6%) e chi lo fa per “reagire a un insuccesso” (2,2% contro l’1,2%).

In particolare, sono soprattutto i giovani a ricorrere alle cure dell’alcol per affrontare una situazione complicata (l’11,1% tra i 25-34enni, il 9,2% tra i 18-24enni, il 9,1% tra i 35-44enni).

Suddividendo la nazione in macro-aree geografiche, scopriamo che ad apprezzare maggiormente gli effetti di un uso smodato di bevande alcoliche per puro piacere sono gli abitanti del Meridione (31,3% Sud, 31,1% Centro), seguiti dal 28% del Nord-Est, dal 26,6% del Nord-Ovest, per finire con il 20% delle Isole.

Alla domanda “quante persone conosce che possono essere definite bevitori eccessivi?”, il 31,6% risponde “alcune”, il 29,3% “poche”, il 15,8% “nessuna”, il 14,8% “parecchie”, l’8,5% “molte”. 

Eppure, in una classifica delle sostanze psicotrope capaci di alterare la regolare attività mentale, l’alcol è considerato all’ultimo posto dopo droghe sintetiche (38,5%), cocaina (25,1%), fumo (22,1%): solo il 14,3% ritiene, infatti, che l’alcol sia la sostanza più nociva per la salute.
 
In Italia, l’uso di sostanze alcoliche è tra le prime cause di morte tra i giovanissimi, spesso in seguito ad incidenti stradali.  

La netta maggioranza dei ragazzi beve alcolici (61,7%): oltre la metà lo fa “qualche volta” (51,6%), l’8,2% “spesso”, solo l’1,9% tutti i giorni. Se analizziamo le fasce d’età, scopriamo che tra gli 11-14enni prevalgono coloro che non bevono mai (64,8%) e che tre su dieci lo fanno “qualche volta”; la situazione si capovolge tra i 15-18enni: il 65,1% beve “qualche volta” e solo due su dieci sono astemi. La quota di ragazzi che non bevono mai risulta più elevata tra chi è nato all’estero (44,1% contro il 37,9%).

Si inizia a consumare alcolici sempre più presto: più della metà dei ragazzi che ha confessato di fare uso di alcol, ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 14 anni (52,8%), più di un quarto dai 15 anni in su (26,9%), e quasi due su dieci addirittura prima degli 11 anni (18,4%).
I maschi dimostrano un approccio più precoce rispetto alle femmine: per oltre un quinto l’iniziazione è avvenuta prima degli 11 anni (21,9%). Tra i nati all’estero la percentuale di chi ha iniziato prima degli 11 anni sale al 28,4%.

In tutte le aree geografiche la fascia d’età d’esordio più citata è quella tra gli 11 e i 14 anni.

La birra è in cima alla classifica del consumo di alcolici tra i giovanissimi: solo il 12,2% dice di non berla “mai” e il 21,2% lo fa “spesso”. Seguono cocktail e aperitivi e in terza posizione il vino, poi shottini e superalcolici. L’area del Paese che registra la quota più alta di ragazzi che, sia pure con frequenza diversa, consumano tutti i tipi di alcolici considerati è il Nord-Est; medesima tendenza nelle Isole, ad eccezione del vino.

La ricerca rivela che, per i più giovani, il consumo di alcolici è quasi sempre disgiunto dai pasti e dalla tavola: si tratta, quindi di un consumo non abituale ma sempre più legato a momenti di convivialità e divertimento. 

A sentire l’opinione degli stessi giovanissimi, il “limite” si oltrepassa per diversi motivi: ci si ubriaca per “sentirsi più grandi” (42%), o perché “lo fanno tutti” (18,4%), perché è “una cosa piacevole” (14,3%), per “fare qualcosa di proibito” (10,2%), per “rilassarsi” e socializzare (8,3%), il 6,8% per “fare una nuova esperienza” (6,8%).

La maggior parte dei cittadini è consapevole dell’esistenza di un problema sociale legato all’alcol in Italia: secondo un terzo si tratta di un problema “rilevante” (35,4%), un altro 31,1% lo considera “moderato”. Una minoranza sottostima il fenomeno (14,3%), circoscrivendolo a casi isolati, mentre quasi un quinto non è in grado di valutare (19,2%).

In occasione del Primo Rapporto sull’Alcolismo in Italia, realizzato dall’Eurispes nel 1984, la percezione dell’alcol emergeva come problema sociale in modo nettamente più forte: in quell’occasione il 66% degli interpellati lo riteneva un problema, quasi il doppio rispetto ad oggi. 

Analizzando le aree geografiche del Paese, salta agli occhi come il Nord-Ovest sia la macroarea che, molto meno del resto d’Italia, percepisce l’alcolismo come un problema (18,2% contro il 33% del Nord-Est, il 47,2% del Centro, il 39,2% del Sud, il 51,2% delle Isole).
 
Secondo il 60% degli italiani, il consumo di alcolici deve essere regolato dalla legge, il 40% la pensa diversamente. La fascia dei 18-24enni è l’unica nella quale prevale il numero di contrari ad una regolamentazione dei consumi.

Quasi un terzo di chi è contrario ritiene che consumare alcolici sia una “scelta individuale” (30,3%), per il 26,2% i problemi “non si risolvono con la legge”, per il 22,9% “informare è meglio che vietare”. Il 12,9% invece ritiene che l’alcol “non sia una piaga sociale”; infine, un 7,7% si dice “contrario per non incrementare la speculazione”. 

Nel complesso, quindi, prevalgono le risposte che evidenziano l’inefficacia di eventuali provvedimenti legislativi per contrastare il problema. 
A chi, invece, si è pronunciato a favore di una regolamentazione del consumo di alcol, è stato chiesto quale regola, a suo avviso, dovrebbe essere adottata. Secondo il 43,7% si dovrebbe consentire di bere sopra i 18 anni; il 28,1% suggerisce una regolamentazione solo per la vendita; il 12,8% opterebbe per l’aumento del prezzo degli alcolici; il 10,7% vorrebbe che la proibizione fosse addirittura estesa a tutti; il 4,7% sarebbe d’accordo con la concessione a bere sopra i 14 anni.

E poi ci sono le nuove tendenze che tracciano un panorama inedito del consumo: si inizia a bere più precocemente (93,7%), le donne bevono più che in passato (93,3%), si beve di più lontano dai pasti (90,5%), si bevono più superalcolici (78,5%), si associa più spesso il consumo di alcol a quello della droga (73,2%), sono più frequenti gli episodi di ubriacatura (71,4%). 

Il fenomeno della dipendenza da alcol ha molteplici origini, sulle quali i medici italiani hanno diverse opinioni: ma ce n’è una che li accomuna quasi tutti, la scarsissima correlazione tra emarginazione sociale e alcolismo. Infatti, solo il 5,3% dei medici ritiene che la mancata inclusione sociale sia all’origine della dipendenza. Gli altri professionisti si dividono tra un 26,2% che ricerca la causa nell’abitudine ad un consumo sregolato, un altro 23,1% che considera depressione e ansia tra le principali cause, un 23,5% secondo il quale l’alcol viene usato come “stimolante”, e un 21,9% che vi legge un forma di imitazione verso modelli scorretti.

In sostanza, per oltre sette medici su dieci, le motivazioni al bere non sono legate a problemi, disagi o stati d’animo negativi, ma piuttosto alla ricerca di divertimento e di sballo. 

Per oltre la metà dei medici intervistati, i reparti ospedalieri e le strutture mediche dedicate alla cura e al sostegno dei pazienti con problemi legati all’alcol sono “scarsi” (53,8%), per il 29% sono “insufficienti”, per il 16,2% sono invece “sufficienti” e solo l’1% ritiene siano “ampiamente sufficienti”. Coloro che danno un giudizio nettamente negativo sono concentrati in Sicilia, Sardegna e nelle isole minori.

Per la maggioranza degli intervistati non sono sufficienti nemmeno le campagne di sensibilizzazione e informazione promesse dallo Stato; uno strumento apprezzato dai medici e che dovrebbe essere più diffuso. Nel dettaglio, quasi nove su dieci ritengono le campagne “insufficienti” (88,2%), uno su dieci le crede “sufficienti” (11,4%), solo lo 0,4% le definisce “eccessive”.

Oltre la metà dei medici crede debba essere la scuola a dover educare (51,3%). L’altra metà si divide tra chi ritiene le campagne di sensibilizzazione un ottimo strumento (16,6%), chi chiede di modificare l’immagine che pubblicità e media diffondono (9,9%), chi ritiene sia necessario promuovere servizi di consulenza dedicati (8,7%), chi vorrebbe una regolamentazione più restrittiva per la vendita (7,5%), chi vede la soluzione nell’incremento di centri di assistenza e recupero (6%).
 
Attraverso i dati della rilevazione – ha commentato Alberto Oliveti, presidente Enpam -  ci si rende conto della pericolosità di alcuni fenomeni sociali legati a una cultura dello sballo in via di costante diffusione. Tra questi, il fenomeno dell’ “abbuffata alcolica” (binge drinking), tipico della popolazione giovanile tra gli 11 e i 17 anni. Così come la tendenza legata al primo contatto, sempre più precoce, dei giovani verso l'alcol. L'incidenza di certi comportamenti è sensibilmente influenzata dall'uso massivo delle nuove tecnologie e dai social network. Il medico di Medicina generale, che presidia società e territorio capillarmente, può e deve assumere il ruolo di playmaker”.
 
Con questa indagine – ha detto Gian Maria Fara, presidente Eurispes - ampia ed articolata abbiamo, a distanza di quasi trent’anni, fatto il punto sulla evoluzione del fenomeno e sulle sue derive. I dati che emergono testimoniano una cresciuta consapevolezza, ma anche la necessità di un impegno costante sul piano della prevenzione e del sostegno alle famiglie interessate, così come su quello culturale, della comunicazione e dell’informazione”.
 

17 ottobre 2018
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