Quale sanità/2. De Vincenti (La Sapienza): “Il Ssn non è un lusso però c’è molto da migliorare”
Il Servizio sanitario nazionale non è un lusso però lo Stato può migliorare, e di molto, il modo in cui utilizza le risorse. Ne è convinto Claudio De Vincenti, professore di economia politica alla Sapienza di Roma che sottolinea l’importanza di un ri-disegno del sistema da una parte e un problema di efficienza degli erogatori dall’altra.
19 SET - Nell’editoriale “
Se la sanità per tutti diventa un lusso” ci siamo interrogati sulla possibilità (rischio?) che anche in Italia, sull'onda della crisi e in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione, si avvii una discussione su un nuovo assetto del welfare, compresa la sanità. Una possibilità per noi realistica, alla luce di diversi segnali provenienti dalla politica e dall'economia. In proposito abbiamo sentito alcuni osservatori per saperne cosa ne pensano.
Dopo Alberto Mingardi (direttore generale dell'Istituto Burno Leoni), ecco l'opinione di
Claudio De Vincenti Professore di economia politica Università “La Sapienza” di Roma, che è stato consigliere economico dell'ex ministro della Salute Livia Turco.
Professor De Vincenti, stiamo ragionando su un’ipotesi di “stato leggero” ovvero per far fronte ad una crisi economica finanziaria grave, in cui le manovre di aggiustamento si dimostrano insufficineti, il Governo pare si stia pensando alla dismissione di beni e funzioni pubbliche, tra queste anche la sanità. Qual è la sua opinione?
In generale credo che lo Stato possa migliorare e di molto il modo in cui utilizza le risorse. Su questo non ci sono dubbi e sarebbe molto importante per le politiche di crescita avere uno Stato che sappia spendere nel modo migliore nell’allocazione delle risorse, in modo efficiente ed efficace rispetto agli obiettivi, che sappia prelevare in maniera equa anche riducendo il più possibile la pressione fiscale sui cittadini. Detto questo ritengo che ci siano spazi per ipotizzare delle riduzioni di spesa insieme con un potenziamento delle funzioni pubbliche che lo Stato svolge.
Poi per quanto riguarda il Ssn va detto che è sicuramente uno dei sistemi che è in grado di fornire una ampia copertura pubblica alla popolazione con una spesa abbastanza limitata. Sappiamo che in Italia l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è più bassa che in Paesi comparabili con il nostro come Francia e Germania o anche rispetto a Paesi che hanno adottato un sistema di assicurazioni private, penso agli Stati Uniti, che spendono praticamente il doppio di noi come spesa complessiva. Quindi difendo il sistema italiano, tra i più efficienti secondo le statistiche internazionali, anche da un punto di vista macroeconomico poiché impegna meno risorse di quanto non succeda in Paesi che adottano una copertura pubblica limitata alle fasce povere della popolazione lasciando il resto al mercato delle assicurazioni private.
Detto questo penso però che abbiamo dei margini per potenziare i nostri servizi sanitari a parità di spesa o anche per risparmiare a parità di servizi.
In che modo potrebbe essere attuato il potenziamento del nostro Ssn a parità di spesa?
Attraverso l’organizzazione del sistema sanitario, in particolare agendo sulla capacità delle regioni di organizzare il sistema e di basarlo su rapporti contrattuali con erogatori sia pubblici che privati che incentivino l’efficienza di costo, riducano i costi e che spingano verso una competizione nei risultati. Credo che di spazi di manovra ce ne siano e che noi saremmo in grado di contenere la spesa sanitaria rispetto alle dinamiche spontanee senza peggiorare i servizi anzi forse migliorando i servizi. Abbiamo un problema di ridisegno del sistema da una parte e un problema di efficienza degli erogatori dall’altra. Per quanto riguarda il ridisegno del sistema noi dovremmo, lo si è detto varie volte, potenziare la medicina territoriale e contenere il ricorso ai ricoveri ospedalieri. Questo è un tema di lungo periodo su cui da tempo si ragiona ma di fatto non siamo riusciti a farlo. Sopravvivono soprattutto in alcune regioni italiane, quelle che hanno i conti in rosso, strutture ospedaliere piccole inadeguate sia dal punto di vista della qualità delle prestazioni che forniscono sia dai costi elevati. Qui bisognerebbe pensare, come hanno fatto Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Veneto, ad aggregare le strutture in dimensioni più ampie, a riconvertire una parte delle strutture piccole in strutture di lungo degenza-riabilitazione e a disegnare la rete ospedaliera in modo da avere alcuni ospedali di eccellenza (dove fare ricerca e ad alto livello tecnologico) e alcuni intermedi che gestiscono le prestazioni più di routine. Questo è un problema di disegno del sistema. Poi c’è un problema che riguarda gli erogatori: il rapporto tra le regioni e le strutture di erogazione di servizi. Credo che qui noi dobbiamo cominciare ad abbandonare la logica del ripiano a piè di lista nelle strutture anche di fronte a deficit di bilancio significativo. Quindi riorganizzare le relazioni contrattuali tra governo regionale e strutture ospedaliere e puntare alla competizione per la qualità tra le strutture ospedaliere. Per fare questo abbiamo bisogno anche di un soggetto nazionale di valutazione che orienti questa valutazione delle performance delle strutture sanitarie in base all’Health technology assestement. La competizione tra strutture non significa che un ospedale che non riesce a far quadrare i conti viene chiusa. No, il problema è un altro: bisogna che ci sia la possibilità di cambiare il management, di mettere a confronto le performance delle gestioni delle varie strutture. Questo vale per i privati e per i pubblici. Uno strumento importante sarebbe la diffusione e re-attuazione rigorosa del pagamento a Drg nei confronti degli ospedali sia pubblici sia privati.
Insomma pagare le strutture in funzione delle performance che realmente realizzano comporterebbe il contenimento dei costi e il miglioramento delle prestazioni?
Sia l’Emilia Romagna che la Lombardia hanno cominciato ad attuarla. Sono esperienze diverse ma c’è un interessante convergenza tra le due realtà. La Lombardia ha imparato a governare meglio e a limitare il semplice pagamento ex post di qualsiasi conto le venisse presentato dagli ospedali accreditati. L’Emilia ha imparato a sottoporre a contrattazione il rapporto tra regione e struttura ospedaliera. Restano due modelli diversi ma tutti e due cercano di fare leva su quella che chiamiamo “concorrenza amministrata” che non significa libero mercato ma concorrenza tra le strutture fortemente guidata e controllata dall’autorità pubblica.
Secondo lei, dopo 35 anni il Servizio sanitario nazionale pagato con la fiscalità generale è diventato un lusso?
No assolutamente no. Credo che sia una delle cose che qualificano un Paese avanzato. Una sanità efficiente e di qualità è una sorta di cartina di tornasole del livello di civiltà e ripeto è molto più efficiente un Ssn che possa basarsi sulla copertura universale pubblica che non un sistema affidato alle assicurazioni private. Non è un lusso però c’è molto da migliorare anche perchè abbiamo un debito pubblico elevato grazie a risorse usate male. La sostenibilità riguardando tutti riguarda anche il Ssn La sanità non può stare fuori da un discorso di rigore nell’assegnazione delle risorse. La sanità è un punto qualificante ma c’è anche la scuola, i servizi alle famiglie, le infrastrutture, una serie di cose per cui la spesa pubblica deve dare un contributo alla crescita. Purtroppo siamo un Paese molto in ritardo da un punto di vista infrastrutturale e l’intervento pubblico deve migliorare in modo radicale rispetto al passato.
Stefano Simoni
19 settembre 2011
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