Medici e infermieri a rischio ‘sovraccarico’ e il 75% ha una malattia lavoro correlata. Il decalogo per prevenirle
di Tommaso Bellandi
Limitare i turni notturni, poche notti di seguito, meglio turni ruotanti che turno fisso, meglio rotazione veloce, rotazione in senso orario M-P-N, evitare l’inizio anticipato del turno mattutino, turni prolungati (9-12h) solo quando il carico è basso, cicli di turno il più possibile regolari, giorni di riposo dopo il turno notturno, consentire flessibilità negli orari. Una ricerca INAIL Toscana e Centro GRC
08 MAR - Un buon coinvolgimento lavorativo permette agli operatori sanitari di resistere a fronte di un carico di lavoro crescente. In sintesi, nello studio condotto da INAIL Toscana e dal Centro GRC e presentato l’8 marzo a Firenze, i medici e gli infermieri delle 6 chirurgie toscane coinvolte percepiscono una buona capacità lavorativa ed un buon coinvolgimento, che però tende a diminuire con l’aumento dell’anzianità lavorativa nel contesto preso in esame, mentre pare indipendente dall’età anagrafica e dal genere.
Tra le tre categorie professionali considerate, gli infermieri manifestano un vigore inferiore sia rispetto agli OSS che ai medici, mentre la dedizione è generalmente molto alta per tutti. Gli infermieri e gli OSS hanno il triplo della possibilità di avere un indice di work abiliti scadente o mediocre rispetto ai medici. Mentre l’anzianità lavorativa in equipe aumenta del 44% la probabilità di un buon coinvolgimento lavorativo. Il 75% degli operatori intervistati riferisce di soffrire di almeno una patologia lavoro-correlata, con al primo posto i disturbi muscolo-scheletrici, seguiti da malattie della pelle e problemi gastro-intestinali.
Il team di ricerca ha condotto ben 111 sessioni di osservazione del lavoro della durata media di 1h e 20min, seguendo 61 operatori sanitari in sala operatoria e nel reparto di degenza con la tecnica dello shadowing. L’osservazione mediante lo strumento WOMBAT ha consentito di classificare le attività secondo la prospettiva sistemica, mettendo in luce le interazioni ed i tempi delle attività principali e delle interruzioni. E’ emerso ad esempio che oltre il 60% della attività cliniche e assistenziali è svolto in multitasking, che sono oggetto di interruzione nel 15% dei casi per gli infermieri e nel 24% dei casi per i medici.
In altre parole gli operatori sanitari svolgono più attività contemporaneamente e quindi sono esposti ad un impegno cognitivo che supera le ore effettivamente svolte, anche per le frequenti interruzioni in una organizzazione ad alta intensità di relazione (6 interruzioni ogni ora per un medico). La comunicazione rimane un aspetto fondamentale del lavoro in sanità e rappresenta uno strumento fondamentale per migliorare la sicurezza, ma può anche essere un problema se non viene strutturata e se non avviene secondo precise modalità. Circa un quarto delle attività mediche ed infermieristiche è infatti dedicato alla documentazione, per un 15% di tipo meramente burocratico. Queste analisi preliminari offrono molti spunti di riflessione, che il gruppo di ricerca approfondirà insieme al management delle 6 unità di chirurgia.
Per questo
Giovanni Asaro, Direttore Generale di INAIL Toscana e Monica Piovi DG dell’assessorato alla sanità toscano, hanno ribadito il valore della collaborazione tra INAIL e Regione, nonché sul valore della prevenzione per salvaguardare la salute dei lavoratori, che è ancor più necessaria per fronteggiare la crisi ponendo al centro il fattore umano.
I dati di INAIL presentati da
Mario Papani mettono in luce come in ambito sanitario, la maggior parte degli infortuni degli operatori è correlata a incidente in itinere, al secondo posto si trovano le contusioni e le lesioni, provocate da urti e cadute, seguite dalle ferite da taglienti. Le malattie professionali sono invece in larga maggioranza dovute a disturbi muscolo-scheletrici, seguite da neuropatie e malattie della pelle. Gli infortuni colpiscono maggiormente i giovani, mentre le malattie gli operatori anziani. In Toscana si è osservata una lieve riduzioni degli infortuni, a fronte di un aumento delle malattie professionali denunciate.
Alberto Baldasseroni di CERIMP ha illustrato il drastico aumento del personale sanitario con età superiore a 60 anni che rimane al lavoro a seguito della “riforma Fornero” delle pensioni, le evidenze su correlazione tra età e malattie professionali, nonché le difficoltà a condurre analisi approfondite a causa della difformità dei flussi informativi su assenze (gestita da INPS), su infortuni e malattie professionali (gestita da INAIL), su volumi di attività (gestiti dalle aziende sanitarie).
Operatori resilienti quindi, ma con segnali di sofferenza che vanno presi in considerazione per un monitoraggio in senso longitudinale, soprattutto per prevenire gli effetti congiunti del lavoro a turni, orario di lavoro prolungato, con attività in multitasking ed invecchiamento della popolazione lavorativa. Questo è il consiglio del Prof
Marco Depolo, autore della versione italiana del questionario sul coinvolgimento lavorativo che è stato impiegato nello studio.
Fattori che favoriscono il coinvolgimento lavorativo sono: opportunità di apprendimento, supporto dei superiori, comunicazione, autonomia, leadership adeguata. Quando c’è un buon coinvolgimento, i lavoratori tendono ad avere un atteggiamento proattivo ed a rimanere a lungo periodo all’interno dello stesso servizio. Negli operatori sanitari migliora l’identificazione con l’ospedale, si riduce l’assenteismo, migliora la performance organizzativa. Il coinvolgimento è fortemente connesso con il disegno delle organizzazioni. In Inghilterra l’indagine annuale condotta dalla Care Quality Commission, mostra che il coinvolgimento è correlato con buona qualità, performance economiche, pazienti più soddisfatti, meno assenteismo e minori tassi di mortalità intraospedaliera, che si riducono fino all’8%.
In considerazione dell’esposizione al lavoro a turni, che nel campione studiato riguarda una proporzione superiore al 60% degli operatori, il Prof
Giovanni Costa dell’Università Statale di Milano, ha illustrato lo stato dell’arte delle conoscenze relative agli effetti sulla salute e sulla performance del lavoro a turni: aumento fino al 15% dei rischi nei turni pomeridiani e fino al 30% nei turni notturni. Sulle donne il lavoro a turni ha un effetto anche sulla capacità riproduttiva, con un ritardo di 1,5 anni del primo parto rispetto alle giornaliere ed un aumento più marcato del rischio d insorgenza di tumori al seno. Inoltre il numero di figli riduce il numero di ore di sonno in modo crescente, in particolare in chi fa il turno di notte e di mattina. Lavoro notturno definito da IARC come probabilmente cancerogeno. Turnazione quindi da bilanciare, ridurre, organizzare in modo tale da limitare tutti gli altri fattori che contribuiscono al rischio di deprivazione di sonno.
Oltre all’orario di lavoro, infatti, le condizioni dell’ambiente e le caratteristiche del compito incidono sulla performance: ad esempio nell’ambiente la carenza di stimoli, la cattiva illuminazione o il rumore hanno effetti negativi, così come la monotonia dei compiti o la scarsa autonomia professionale dal punto di vista organizzativo. Ci sono poi fattori personali, come l’alimentazione, l’esercizio fisico, la motivazione a cui aggiungere le condizioni familiari e sociali.
Il prolungamento del turno lavorativo produce accumulo di fatica e rischi per gli operatori sanitari e per i pazienti. La maggior parte dei medici tendono a negare l’effetto della fatica sulla performance, nonostante le evidenze della ricerca sulle correlazioni tra durata dei turni, orario di lavoro prolungato, lavoro notturno ed effetti sulla salute degli operatori e sulla sicurezza dei pazienti.
Il Prof Costa propone quindi un decalogo per prevenire i rischi correlati al lavoro a turni: limitare i turni notturni, poche notti di seguito, meglio turni ruotanti che turno fisso, meglio rotazione veloce, rotazione in senso orario M-P-N, evitare l’inizio anticipato del turno mattutino, turni prolungati (9-12h) solo quando il carico è basso, cicli di turno il più possibile regolari, giorni di riposo dopo il turno notturno, consentire flessibilità negli orari.
Secondo Costa, il settore sanitario è molto in ritardo nel recepire i principi della buona organizzazione del lavoro volti a ridurre gli effetti negativi dei turni notturni o prolungati, anche rispetto ad altri settori industriali del nostro Paese, ad esempio sulla questione delle 11 ore di riposo tra due turni consecutivi ci si è mossi in forte ritardo e senza una revisione della pianificazione del lavoro, che è in parte possibile anche a parità di risorse. I settori industriali in cui c’è un po’ di competizione hanno investito di più sulla buona gestione delle risorse umane, che ha evidenti ricadute positive sulla qualità del lavoro oltre che sulla salute.
Riccardo Tartaglia, direttore del Centro GRC e
Laura Belloni, direttrice del Centro Regionale Criticità Relazionali, hanno infine insistito affinché i risultati di questo studio vengano impiegati per affrontare la complessità delle nostre organizzazioni sanitarie, in particolare per sostenere gli operatori ed i gruppi di lavoro nell’affrontare la sfida del ridisegno dei servizi, necessaria per superare la crisi cercando di coniugare il benessere delle organizzazioni, con la salute degli operatori e la sicurezza dei pazienti.
Tommaso Bellandi
Centro GRC Regione Toscana
08 marzo 2016
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