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Tagliare i costi in sanità? I “cinque errori” da evitare. Uno studio della Harvard Business University

di Mauro Quattrone

Tagliare in sanità può produrre spesso risultati opposti. Facendo aumentare altri costi e peggiorando contestualmente la qualità delle prestazioni. Due ricercatori americani hanno stilato un vero e proprio vademecum degli errori da evitare per amministratori, manager e medici

28 FEB - Gli operatori sanitari negli Stati Uniti e in gran parte del resto del mondo, pressati da necessità stringente di far quadrare i bilanci nazionali o territoriali della sanità, stanno cercando, in diversi modi, di ridurre i costi. Molti sono i tentativi di contenimento o diminuzione della spesa però, talvolta, i risultati sono controproducenti ed in ultima analisi portano ad una lievitazione dei costi e, a volte, le cure dei pazienti ne risentono in termini di qualità inferiore e scadente se confrontate ai livelli e protocolli di cura condivisi dalla comunità medica nazionale o internazionale.
Questo è quanto affermano due valenti e conosciuti studiosi della Harvard Business University, Bob Kaplan e Robert Haas, in un loro articolo pubblicato sulla rivista Harvard Business Review con il titolo provocatorio “How not to cut health costs”.
 
Secondo gli autori della ricerca, le tipologie dei provvedimenti che maggiormente vengono attuati in sanità finalizzati alla riduzione dei costi, riguardano: costo del personale, diminuzione degli spazi operativi, minori attrezzature ed investimenti e riduzione delle forniture per beni. Queste invece le tecniche consolidate ed i  bersagli preferiti. Ridurre la spesa in questi termini, per i politici o gli amministratori, sembra la scorciatoia migliore per  produrre risultati immediati. Ma le riduzioni sono di solito fatte senza considerare i migliori mix di risorse necessarie per fornire risultati eccellenti ai pazienti.
 
Gli autori sembrano insistere in modo imperativo su questo punto, poiché, senza parametri ottimali dei mix produttivi, non è possibile determinare i flussi finanziari destinati ad una sanità efficiente.
Altro punto importante, nella trattazione, è che i risparmi possibili che possano essere attuati in sanità debbono essere condivisi dal personale che si trova a contatto con il paziente, mentre solo raramente l’equipe viene coinvolta nelle decisioni su come ottenere risparmi.
Questo significa perdere l’opportunità per un benchmarking e la standardizzazione delle best-pratices mediche, un modo che potrebbe sia ridurre i costi sia migliorare la cura clinica.
 
Gli autori dell’articolo passano poi ad esaminare i cinque errori che maggiormente vengono effettuati nella pratica aziendale di contenimento della spesa sanitaria:
 
Primo errore: i tagli al personale di supporto
In tutte le organizzazioni ospedaliere il costo del personale rappresenta circa i due terzi delle risorse disponibili, pertanto la maggioranza delle amministrazioni tende a congelare gli stipendi e a bloccare le assunzioni o il turn-over. Talune amministrazioni si spingono oltre riducendo drasticamente il personale di supporto back-office e front-desk. Questo tipo di politica gestionale porta sicuramente a dequalificare il personale dell’equipe sanitaria altamente specializzato, che deve supportare pratiche non specifiche di queste figure professionali con sovrapposizioni mansioni non inerenti alle proprie qualifiche, impoverendo il tempo dedicato alle cure mediche e creando frustrazioni ed elementi di disagio nel personale sanitario stesso, in ordine alla dequalificazione professionale.
 
Secondo errore: disinvestire nello spazio e nelle attrezzature
Per gli autori del testo è particolarmente importante determinare il tempo e il costo di “inattività” dovuta alla prassi ricorrente di restringere spazi operativi e diminuire alcuni investimenti tecnologici. I loro esempi si basano sul funzionamento unico e plurimo di camere operatorie e all’utilizzo di una macchina aggiuntiva a raggi X in un pronto soccorso.
Valutando i costi benefici tra tempo e costo di attesa dell’equipe per “inattività” e il risparmio dovuto alla chiusura di una camera operatoria o al mancato acquisto dell’apparecchiatura a raggi X, gli autori concludono che il risparmio non si può realizzare con queste politiche di indirizzo restrittivo, poiché il costo di “inattività” è talvolta superiore alla pratica dei risparmi per diminuzione degli investimenti o limitazioni di spazi per attività.
 
Terzo errore: stretta sugli appalti e i prezzi
La somministrazione dei beni e servizi può rappresentare un valore che va dal 25 al 35% sul costo totale della prestazione clinica. Anche se gli autori pongono in risalto che un centro unico d’acquisto può rappresentare una buona soluzione per poter ottenere maggiori sconti da parte del fornitore, essi mettono in guardia gli amministratori sul fatto che talvolta il prezzo minore può non rappresentale la soluzione migliore in termini di qualità e di soddisfazione del cliente sia interno che esterno. Essi documentano anche la possibilità che alcuni medici ordinino i beni non analizzandone i costi d’acquisto ma motivando principalmente la scelta con differenti procedure operative nel trattamento e la cura del paziente.
Per questo diventa importante individuare i differenti mix produttivi nell’esercizio sanitario e tener presenti tra i parametri nella valutazione dei prezzi anche le quantità dei beni e dei servizi richiesti e le modalità e i tempi di pagamento.
 
Quarto errore: massimizzare il numero dei pazienti
Gli autori sono estremamente critici con gli amministratori ospedalieri poiché individuano nei target quantitativi delle prestazioni un elemento di produttività industriale che non può essere applicato nel campo sanitario.
Ribadiscono che la produttività di un medico non può essere valutata in base agli ingressi dei pazienti e alle persone sottoposte a visita, ma in base alla qualità delle cure prestate ed in base ai risultati ottenuti.
Altro elemento, per gli autori, è quello di prevedere un diverso percorso curativo essenzialmente per alcune patologie, quali diabete ed insufficienza cardiaca. In questi casi si potrebbero spendere più tempo e denaro per educare e monitorare i loro pazienti e la spesa totale si ridurrebbe drasticamente.
 
Quinto errore non riuscire a effettuare benchmark e a standardizzare
L’impossibilità di standardizzare i processi clinici relazionati alla spesa rappresenta un elemento negativo in termini di comparazione del benchmark operativo. Talvolta nelle stesse strutture ospedaliere e nella stessa equipe di reparto sono stati individuati, tra singoli operatori, degli scostamenti in termini di costi comparativi e le differenze possono arrivare sino al 30%.
 
Unico modo sostenibile per ridurre i costi è quello di iniziare un’analisi approfondita dei processi, attualmente utilizzati per il trattamento di ogni condizione medica. I medici e gli amministratori devono comprendere appieno tutti i costi sostenuti nel corso di un ciclo completo di cure, per ogni trattamento che la loro struttura fornisce. Con questa comprensione si può lavorare insieme per fornire migliori risultati con un mix complessivo di costo inferiore sia di  personale che di  materiali acquistati e di attrezzature.
 
L’indagine dei due ricercatori di Harvard è stata condotta con la collaborazione di cinquanta strutture ospedaliere tra le più qualificate degli Stati Uniti oltre la collaborazione e la supervisione  di validi professionisti sanitari  europei.
 
Ora volendo fare una sintesi concettuale dello studio effettuato presso l’Harvard Business University, possiamo sintetizzare che nell’immediato periodo certe scelte di politica gestionale sanitaria possono raggiungere obiettivi sicuri di riduzione della spesa, ma se i dati vengono comparati con periodi successivi di spesa, i vantaggi ottenuti tendono a decrescere o annullarsi nel tempo. Oltretutto dobbiamo evidenziare alcune diseconomie di scala, ossia le difficoltà crescenti di organizzazione e di amministrazione collegate ai provvedimenti intrapresi per la riduzione dei costi.
Nella trattazione manca però un sesto errore quello relativo all’aumento del contributo dei cittadini alla spesa ospedaliera. Forse non è stata una dimenticanza perché lo studio è stato effettuato in un paese dove è preminente la copertura assicurativa privata come prassi di rimborso alle spese di cura.
 
Ma se osserviamo i dati europei, compresa l’Italia, questo dato in percentuale tende all’aumento. Tutto ciò crea una diminuzione di cura e di prevenzione per molte fasce di popolazione, specialmente in età avanzata, creando maggiori costi di ospedalizzazione e cura per patologie croniche ricorrenti.
 
Il Prof essor Bob Kaplan evidenziando il concetto, che già precedentemente mi aveva espresso in diversi colloqui, della standardizzazione delle procedure mediche per un eventuale benchmark comparativo ha riproposto le tecniche da seguire per lo studio e l’analisi dei costi sanitari: metrica di valutazione e modellizzazione o standard nei processi d’intervento.
 
Solamente individuando i mix produttivi migliori di risorse umane e di beni si può raggiungere un livello di ottimizzazione del sistema che possa coniugare il duplice obiettivo di riduzione della spesa sanitaria e soddisfazione del cliente interno ed esterno.
 
Mauro Quattrone
Consulente direzionale forecast & planning management 

28 febbraio 2016
© Riproduzione riservata


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