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Rapporto Crea 2015. Spesa sanitaria a -28,7% rispetto a UE. Spandonaro: “Universalismo in crisi. E a pagare il conto è la classe media”


"Universalismo diseguale", questo il titolo dell'XIª edizione del rapporto curato dal team dell'economista di Tor Vergata. Ma questa volta non si parla di diseguaglianze regionali, quanto piuttosto sociali. E il focus è su un  fenomeno relativamente nuovo: quello della crisi sanitaria delle classi medie. Verso le quali il Ssn sembra aver allentato la presa a causa della riduzione delle risorse a disposizione dirottate quasi obbligatoriamente verso le categorie meno abbienti della popolazione. LA SINTESI DEL RAPPORTO

29 OTT - “La spesa sanitaria italiana è del 28,7% più bassa rispetto ai Paesi EU14, con una forbice, anche in percentuale del PIL, che si allarga anno dopo anno. Ed è inutile farsi aspettative su ulteriori risparmi: il sistema attuale non riesce ad annullare le disuguaglianze. Per questo serve una ‘moratoria’ a medio termine per impedire ulteriori tagli al comparto”. Ma si deve pure cambiare perché “quello sin qui realizzato è un Universalismo non omogeneo, crescentemente diseguale, e che dopo oltre 30 anni è forse doveroso chiedersi se non dipenda anche da qualche elemento di obsolescenza del disegno originario”. Questa una delle analisi e controproposte principali che emergono dall’11ª edizione del Rapporto Sanità a cura di C.R.E.A. Sanità-Università di Roma Tor Vergata presentato oggi a Roma.

Una spesa bassa, quindi, ma in compenso gli italiani “registrano un buon livello di salute che insieme al basso livello di spesa confermerebbero l’efficienza della Sanità”, anche se - avvertono i ricercatori - “stiamo velocemente perdendo il nostro vantaggio in termini di salute e il processo di convergenza sui livelli (peggiori) degli altri Paesi sembra avere accelerato negli ultimi 10 anni”.
 
Cresce anche la spesa privata, la cosiddetta out of pocket (+14,5% nel 2014) e se le Regioni in rosso vedono calare i loro disavanzi sanitari, il merito va più all’inasprimento fiscale a livello regionale (con differenze anche fino all’88%), che a effettivi riordini del sistema. Sulla prevenzione il rapporto segnala timidi segnali di ripresa degli investimenti ma ancora non basta e, vedi percentuali vaccinazioni, paghiamo il disinvestimento del passato. E anche sulla spesa farmaceutica c’è “il rischio di uno strisciante razionamento”. Queste alcune delle ragioni che portano gli esperti di Tor Vergata a proporre una “‘moratoria’ a medio termine di ogni tentativo di contrarre ulteriormente la crescita del finanziamento del Ssn ”anche perché la “Sanità nella Pubblica Amministrazione è il settore che ha dato il maggiore contributo al risanamento delle finanza pubblica”.

“Il titolo scelto per l’11° Rapporto Sanità “L’Universalismo diseguale” – scrive il presidente di Crea Sanità Federico Spandonaro, nasce da un tentativo di lettura quantitativa dell’evoluzione del sistema sanitario italiano; evidentemente la scelta del titolo tradisce il tentativo di segnalare che osserviamo fenomeni che, alcuni in modo strisciante, altri in modo più prorompente, risultano incoerenti con la linea politica che ha portato all’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale universalistico in Italia”.
 
Ma per Spandonaro il federalismo non è da buttare. “Vorremmo, in altri termini, evitare interpretazioni che possano far pensare ad una adesione alla posizione, che si tramuta facilmente in una sterile deriva anti-federalista, per cui il vero attentato all’Universalismo risiede nella creazione di 21 sistemi sanitari regionali, la cui diversità, effetto degli “egoismi” e delle “inefficienze” locali, genererebbe di per sé grave nocumento all’Universalismo e al diritto dei cittadini alla tutela della salute. Posizione che non possiamo condividere di fronte all’evidenza che gli obiettivi del federalismo, primo fra tutti quello della responsabilizzazione finanziaria regionale, ma anche quello della razionalizzazione dell’offerta, sono stati in larga parte raggiunti: e anzi, è proprio in alcuni nodi irrisolti a livello centrale che risiedono, a nostro parere, rischi di tenuta del sistema”.

“Nel dibattito di politica sanitaria – sottolinea - sembra in qualche modo predominante una posizione “creazionista”, nel senso di considerare l’affermazione dell’Universalismo acquisita con la istituzione del SSN: in questa ottica, obiettivo della politica sanitaria diventa il preservare il sistema da ogni attacco esterno e quindi da ogni cambiamento che possa metterne in pericolo l’assetto sostanziale definito alla fine degli anni ‘70. Difendere la conquista dell’Universalismo è certamente condivisibile, sebbene rileggendo la L. 833/1978 appare chiaro che ben altre erano le “vere” priorità: prima fra tutte la riduzione degli squilibri regionali e anche una visione olistica, integrata dell’approccio alla salute; la prima non è mai stata raggiunta e la seconda, come vedremo, inizia a scricchiolare”.

Il falso mito dell'ineffcienza. Ma “finché rimarrà in cima all’agenda politica il tema dell’inefficienza difficilmente si determinerà un incentivo al vero cambiamento” e “questo approccio non sembra essere più sostenibile, sia perché ha effetti non trascurabili tanto sul sistema sanitario, quanto su quello industriale, sia perché i dati dicono che non è questa la vera priorità”.

Per questo sarebbe almeno “auspicabile dichiarare una “moratoria” a medio termine di ogni tentativo di contrarre ulteriormente la crescita del finanziamento del SSN: moratoria prevista nell’ultimo Patto della Salute, ma subito infranta con la manovra sui bilanci regionali. L’ipotesi minimale dovrebbe essere una assoluta invarianza del rapporto finanziamento / PIL; più governabile, stante il crescente gap con la spesa sanitaria europea, potrebbe però essere l’invarianza del rapporto spesa sanitaria italiana vs spesa sanitaria EU14: il rischio, altrimenti, è l’impossibilità di mantenere livelli di risposta assistenziale paragonabili a quelli EU”.
 
Anche se le Regioni avrebbero potuto tagliare altre voci di spesa extrasanitarie. “Spesa bassa e pressione fiscale alta sembra un mix deleterio – dice però Spandonaro - che potenzialmente può innescare un circolo vizioso, con il rischio di deprimere lo sviluppo e in prospettiva peggiorare i gap anche sanitari”. Per questo, secondo Spandonaro, “appare davvero inspiegabile la “leggerezza” con cui le Regioni (e anche il Governo centrale, che ne ha incassato i benefici) hanno scelto di rispondere al taglio imposto ai loro bilanci (con la legge di stabilità dello scorso anno, ndr) utilizzando ancora le risorse della Sanità”.
 
“Indubbiamente – spiega l’economista di Tor Vergata - la voce Sanità è prevalente nei bilanci regionali, pesando per il 72,9% della spesa corrente e il 24,4% (sebbene sottostimato, si veda il capitolo finanziamento) degli investimenti. Ma i € 2,3 mld. di taglio alla Sanità sarebbero stati il 5,7% delle spese correnti non sanitarie e il 15,0% degli investimenti non sanitari, percentuali significative ma non drammatiche: la domanda è come mai si appalesi sempre solo una politica regionale per la Sanità, rimanendo opaca quella per gli altri settori”.

Le priorità di intervento per risalire la china. Per Spandonaro con “la certezza delle risorse disponibili, sarebbe anche forse possibile rivedere la lista delle priorità di intervento, inserendo anche tematiche che superano l’orizzonte del breve termine; fra queste ci sembra urgente inserire:

- la definizione della quota di domanda sanitaria soddisfabile con le risorse pubbliche, la proiezione della spesa privata residua e quindi la definizione delle regole di governo della sanità complementare, definendone la meritorietà sociale e i rapporti con il SSN;
- la ridefinizione dei criteri di riparto delle risorse, considerando che l‘assunto (presente nei costi standard) di una sostanziale gratuità delle prestazioni è ormai superata nei fatti;

- la rivalutazione dell’accreditamento professionale come criterio per perseguire una adeguata appropriatezza prescrittiva e parallelamente dell’accreditamento delle strutture come leva di governo dell’offerta, evitando una burocratizzazione del sistema e la rottura del rapporto fiduciario medico-paziente;

- l’analisi degli approcci corretti per garantire condizioni competitive (ma fair) nei mercati sanitari, massimizzando i risparmi, ma salvaguardando allo stesso tempo le condizioni di contendibilità dei mercati stessi: sembra infatti dominante la ricerca di risparmi a breve termine, spesso ottenuti mediante economie di scala, che sfruttano la grande opportunità (in termini di risparmi) dell’apertura a condizioni di competizione in molti mercati sanitari, ma sembrano trascurare le profonde differenze di questi mercati rispetto alle esperienze del passato; basti pensare ai biosimilari, per i quali si verificano grandi differenze (forti investimenti e quindi barriere all’entrata, pochi player, …) rispetto all’esperienza degli equivalenti; analogamente, in altri settori sanitari, non sembra si sia pienamente colto il rischio di competizioni di puro prezzo non adeguatamente regolamentate;

- la necessità di rapportarsi in modo proattivo con le decisioni a livello internazionale in tema di pricing delle nuove tecnologie: appare infatti evidente che l’attuale sistema di governo basato sul value based pricing diventa fortemente penalizzante per le popolazioni residenti nei Paesi con minore crescita e pensare di compensare il fenomeno con l’uso (e a volte l’abuso) di accordi confidenziali, payback, tetti e altri interventi per via amministrativa non è sostenibile a medio termine”.
 
Ma vediamo in estrema sintesi i punti toccati dal Rapporto
 
La spesa sanitaria italiana è molto più bassa che negli altri Paesi europei: è inferiore a quella dei Paesi EU14 (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia , Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia, Regno Unito) del -28,7%, e la forbice (anche in percentuale del PIL) si allarga anno dopo anno. Non può quindi essere una preoccupazione il livello della spesa.

Esiti di salute. La quota di popolazione che dichiara di avere patologie di lunga durata o problemi di salute è in Italia inferiore a quella degli altri Paesi europei: buon livello di salute e basso livello di spesa confermerebbero l’efficienza della Sanità italiana. Ma stiamo velocemente perdendo il nostro vantaggio in termini di salute; e il processo di convergenza sui livelli (peggiori) degli altri Paesi sembra avere accelerato negli ultimi 10 anni, quelli del risanamento finanziario. In particolare sembra più colpita la classe media, che evidentemente risente maggiormente della crisi e degli aumenti delle compartecipazioni. "Si potrebbe desumere che il SSN, a fronte di rischi di razionamento - scrivono i ricercatori del Crea - abbia preferito (con successo) salvaguardare le fasce più disagiate, a discapito però della classe media. Il non aggiornamento dei sistemi di esenzione e compartecipazione, pur salvaguardando le fasce meno abbienti, sembra penalizzare sempre più la classe media".

Spesa out of pocket (OOP) e livello equitativo. I fenomeni di impoverimento per spese socio-sanitarie out of pocket (spesa sostenuta direttamente dalle famiglie) e catastroficità (spese elevate rispetto al proprio reddito) sembrerebbero ridursi: nel 2013 quasi 100.000 famiglie in meno risultano impoverite e 40.000 in meno soggette a spese catastrofiche; ma è un fenomeno illusorio: parallelamente, se 1,6 milioni di persone in meno hanno sostenuto spese socio-sanitarie OOP, più di 2,7 milioni dichiarano di rinunciare a priori a sostenerle per motivi economici (2012). E per il 2014 si registra deciso aumento della spesa sanitaria out of pocket (+14,5%), che potrebbe peggiorare ancora l’impatto equitativo.

Finanziamento e carico fiscale. Il disavanzo della spesa sanitaria in termini assoluti è andato progressivamente diminuendo, riducendosi del 43,7% (considerando le sole Regioni in disavanzo) tra il 2010 e il 2014; quindi l’aspetto finanziario è nettamente migliorato, ma con esiti equitativi discutibili: l’equilibrio è infatti stato perseguito anche con l’inasprimento fiscale a livello regionale, penalizzando nei fatti le famiglie che risiedono nelle Regioni che non riescono a mantenere l’equilibrio finanziario nel loro SSR. Nel Lazio, che è la Regione che da sola ha generato, nel 2014, il 26,7% del deficit complessivo, la pressione tributaria locale in termini di addizionale Irpef è maggiore rispetto a quella di Regioni tradizionalmente in equilibrio: per esempio, più elevata del 23,7% di quella della Lombardia e superiore del 62,0% rispetto a quella riportata dal Veneto.

Razionamenti e farmaceutica. L’equilibrio è stato perseguito con la razionalizzazione (maggiore efficienza), ma anche inasprimenti fiscali (vd. Scheda 4) e razionamenti dei servizi e delle tecnologie. In particolare si avverte nei segmenti delle tecnologie dove l’innovazione è più rapida. Ad esempio il consumo in Italia dei farmaci approvati da EMA (European Medicines Agency) negli ultimi 5 anni (2009-2014), rispetto a Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, è in media inferiore del –38,4% (partendo da oltre -90% per quelli più recentemente approvati e rimanendo inferiore di quasi -20% anche a distanza di 5 anni dalla loro approvazione). E nel calcolo si tiene conto solo delle molecole presenti anche in Italia: andrebbe aggiunto che di oltre il 30% dei farmaci approvati da EMA tra il 2009 e il 2014 e commercializzati in almeno un Paese EU5, in Italia non si ha consumo.

Prevenzione. L’Italia sembra aver speso il 3,7% della spesa pubblica corrente in programmi di prevenzione e salute pubblica nel 2013, stando ai dati OECD (rettificando in qualche modo il dato dello 0,5% diffuso lo scorso anno): una percentuale maggiore di diversi altri Paesi, ma certamente insufficiente: considerando il valore pro-capite, infatti, la spesa per la prevenzione in Italia, sempre secondo OECD, sarebbe pari a € 66,3 contro € 99,5 in Germania e € 131,0 in Svezia. Dell’insufficienza degli investimenti nel settore negli anni passati è prova che nel 2014, a livello nazionale, la copertura per le vaccinazioni pediatriche non ha raggiunto il 95% (soglia minima raccomandata nel Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale) per nessuno degli antigeni previsti, con difformità a livello regionale, e che le politiche sugli stili di vita sono praticamente ferme.

29 ottobre 2015
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