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Scandalo nascite. Più di un parto su tre col cesareo e la stragrande maggioranza dei punti nascita a rischio è ancora in funzione. L’Accordo Stato Regioni del 2010 è miseramente fallito

di Luciano Fassari

A quasi cinque anni dall'Accordo che prevedeva di ridurre al 20% i cesarei e di chiudere i punti nascita con meno di 500 letti perché considerati poco sicuri, non è cambiato nulla. I cesarei sono ancora il 35,9% del totale (erano il 38,2 nel 2010) e i punti nascita troppo piccoli rappresentano tuttora il 28,1% del totale con una riduzione, rispetto al 2010, di appena lo 0,8%. 

12 SET - Ancora troppi parti cesarei e ancora troppi punti nascita piccoli e poco sicuri. A distanza di quasi cinque anni dall'Accordo Stato Regioni del dicembre 2010, fortemente voluto dall'allora ministro della Salute Ferruccio Fazio, i due principali target da raggiungere, e cioè l'abbattimento delle percentuali di ricorso al cesareo per avvicinarsi allo standard del 20% stabilito dal Piano sanitario nazionale e la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti l'anno, non sono stati ancora raggiunti.
 
Anzi, a leggere gli ultimi dati delle Schede di dimissioni ospedaliere relative al 2014 e da poco pubblicate dal ministero della Salute, sembra proprio che in questi anni si sia fatto poco o nulla. I punti nascita con meno di 500 letti, che l'accordo del dicembre 2010 prevedeva fossero chiusi salvo casi eccezionali e che allora erano il 28,9% del totale, oggi sono il 28,1%. I parti cesarei che rappresentavano, sempre nel 2010, il 38,2% del totale oggi sono ancora il 35,9%.

Tutti numeri di un flop. Nel 2010, come abbiamo appena visto, i cesarei sono stati in totale il 38,2% dei parti (i cesarei primari il  25,6%). A distanza di 4 anni, nel 2014 i cesarei sono scesi solo al 35,9% (i cesarei primari al 22,9%).

Nello specifico considerando nell’analisi il taglio cesareo, nel 2014 superano la media italiana di 35,9% otto regioni. In testa c’è la Campania con il 62,3% seguita da Sicilia e Puglia con il 44%. A seguire troviamo il Molise con il 43,7%, il Lazio (39,4%), Sardegna (38,5%), Basilicata (38,2%), Abruzzo (36,8%). Le regioni invece sotto la media sono il Friuli con il 22,2% di parti cesarei, poi c’è la Pa di Bolzano (24,1%), il Veneto (25,2%), la Pa di Trento (25,7%), la Toscana (26,5%), l’Emilia Romagna (27,1%), la Lombardia (28,2%), il Piemonte (28,4%), l’Umbria (31,5%), la Valle d’Aosta (31,7%), le Marche (34,6%),  la Liguria (34,7%) e la Calabria con il 35,4% di parti cesarei.
 
Stesso discorso per quanto riguarda le strutture con meno di 500 parti l’anno.  Erano il 28,9% nel 2010, nel 2014  sono il 28,1%. E dire che di punti nascita ne sono stati tagliati parecchi (dai 598 del 2010 si è scesi ai 531 del 2014) e le misure normative parlano chiaro. In ogni caso nei 531 punti nascita presenti nel 2014 la media di quelli con meno di 500 parti è del 28,1%, uno su tre.
 
A livello regionale, in ‘testa’ c’è la Pa di Trento con il 72,4% dei punti nascita che fa meno di 500 parti. A seguire c’è il Molise con il 66,6%, la Sardegna con il 57,9%, l’Umbria con il 55,5%. Poi troviamo la Pa Bolzano (42,9%), la Sicilia (33,9%), la Basilicata e  il Lazio con il 33,3%. Seguite da Toscana (31%), Emilia Romagna (30%), Campania (29,9%)e Veneto (28,6%). Sotto la media le Marche (25%), il Friuli (18,2%), la Lombardia (17,8%), seguita da: Puglia (17,6%), Piemonte (17,2%), Abruzzo (16,7%) e Calabria con il 12,5%. Infine, solo la Val d’Aosta e la Liguria non hanno nessuna struttura che fa meno di 500 parti l’anno. 

Luciano Fassari

12 settembre 2015
© Riproduzione riservata


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