Tutti vogliono l’eccellenza in sanità. Ma come si riconosce?
di Fabio Florianello
Il problema è capire cosa sia davvero “eccellenza” e come riconoscerla senza essere fuorviati dal marketing ormai entrato nel mondo delle aziende sanitarie. Bisogna invece guardare a quei criteri oggettivi che permettono la formulazione di un giudizio sul funzionamento di un ospedale
23 APR - Il forte richiamo di
Ivan Cavicchi sul diritto alla tutela della salute sancito dalla Costituzione, reca con sé un ulteriore aspetto spesso valutato in modo sfocato: le cosiddette eccellenze in sanità. Se infatti: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti” (art.32 Costituzione Repubblica Italiana) la domanda che si pone è se si possa tutelare questo diritto con modalità eccellenti e meno eccellenti ?
Dal latino excellere, la definizione di “eccellenza” si applica all’essere superiori agli altri o superiori alle altre cose dello stesso genere. In pratica identifica la qualità di chi o di ciò che è migliore e quindi superiore (Dizionario della Lingua Italiana Treccani).
Premesso che è innegabile l’esistenza di una qualche differenza reale tra un centro ed un altro, tra un ospedale ed un altro, tra un ambulatorio ed un altro, tra un operatore ed un altro, il Servizio Sanitario Nazionale deve comunque assicurare ad ogni cittadino lo stesso livello di cure in applicazione totale ed assoluta delle garanzie costituzionali.
In quanto Medici, inoltre, sarebbe contrario a qualsiasi regola deontologica avvallare il concetto che prestazioni di qualità particolarmente elevate, appunto di “eccellenza”, si possano contrapporre a prestazioni analoghe, ma eseguite con modalità di più basso livello. Anche se è ormai diffusa convinzione nell’opinione pubblica (ed anche tra i Sanitari) che esistano sensibili e reali differenze attribuibili a molteplici fattori spesso oltre le competenze individuali.
Il problema allora è cercare di capire cosa sia davvero “eccellenza” in sanità e come riconoscerla senza essere fuorviati dal marketing inopinatamente entrato nel mondo delle aziende sanitarie e rifarci, invece, a quei criteri oggettivi che permettono la formulazione di un giudizio sul funzionamento di un ospedale.
C’è innazitutto la “Struttura”, da valutare in termini di edilizia ovvero di muri, locali, accessi, dotazione di servizi igienici, ascensori, barriere architettoniche, ma anche per lo stato dei pavimenti, dei soffiti, delle pareti, della pulizia. E ancora in termini di cartellonistica che dovrebbe essere adeguata e precisa nel fornire indicazioni senza bisogno di chiedere informazioni di continuo. Quando si entra in qualsiasi edificio, palazzo o casa e ancora di più in un centro ospedaliero, l’occhio va naturalmente a posarsi su pavimenti, pareti, soffitti, agibilità di ascensori e scale, presenza o meno di indicazioni attuali. E lo stato della pulizia, del rivestimento delle pareti, dei gradini delle scale, della tastiera degli ascensori costituiscono già un significativo indicatore. Sarebbe superfluo sottolinearlo ma l’accoglienza in termini di “Struttura” dimostra che si è pensato all’utente e lo si vuole accogliere ed accompagnare a destinazione nel modo più rapido e confortevole.
Vi è poi il “Personale”: medici, infermieri, personale di assistenza, ma anche di supporto ed amministrativo che deve connotarsi per la professionalità e la competenza (peraltro documentate al momento dell’assunzione), ma anche per il comportamento ed il modo di trattare i singoli utenti che si affidano loro per diagnosi e cura. Pensiamo allo stato dell’’abbigliamento/divisa indicativo del modo di presentarsi e presentare l’azienda, ma anche indicativo di organizzazione, igiene e rispetto per gli altri. Pensiamo al modo di rapportarsi in modo consapevole all’utenza sofferente per la patologia da cui è affetta e per l’inevitabile stato di ansia.
Ci sono quindi le “Apparecchiature”, ossia la tecnologia esistente che deve essere non solo ben funzionante e quindi priva di rischi di esposizione per utenti e addetti, ma anche ben tenuta, con periodica manutenzione, giusta disposizione dei vari componenti, il tutto per contribuire alla formulazione della giusta diagnosi e/o delle corretta terapia.
Infine le “Procedure”, ossia le modalità di effettuazione delle prestazioni, che devono essere corrette, consolidate, declinate secondo protocolli condivisi ed in linea con le evidenze scientifiche. Dunque effettuate con modalità prestabilite, sperimentate e codificate in ogni parte. E il futuro ormai iniziato va verso la certificazione delle singole procedure.
Questi quattro aspetti sono alla base della sicurezza delle prestazioni, realizzano una condizione favorevole all’efficacia dei risultati e costituiscono i criteri indispensabili per la formulazione di un giudizio oggettivo.
Ma non basta. Vi è un ulteriore elemento da considerare, vale a dire la “Complessità” della prestazione.
Complessità “alta”, “media” e “bassa” in relazione al grado di difficoltà da affrontare e che introduce il concetto di tipologia della domanda, vale a dire le necessità e i bisogni sanitari che l’utenza esprime e la loro gravità. Una cosa è l’appendicectomia, un’altra la gastroresezione o la colectomia. Diversa la gastroduodenite o l’infarto cardiaco.
Sono aspetti totalmente ovvii e quasi offensivi per degli addetti ai lavori, ma che ci portano a soffermarci sulle diverse tipologie di domanda da affrontare in maniera diversa con strutture, personale, apparecchiature e procedure adeguate alla bassa, media o alta complessità per dare la migliore risposta alle necessità ed ai bisogni posti dall’utenza.
La tendenza, al contrario, è quella di identificare la prestazione complicata con l’eccellenza, quella che fa notizia (e marketing!), quella che non può e non deve essere affrontata in tutti gli ospedali. In pratica si confonde l’eccellenza con la complessità.
Eccellenza significa dare risposte adeguate e di qualità alla domanda che viene posta, sia essa di alta o di bassa complessità. Centro di eccellenza può essere quello dove si esegue un piccolo intervento, dove si affronta una patologia minore con tutte le modalità di correttezza e competenza (di cui sopra) e non solo quello dove si esegue l’intervento complesso e complicato.
E se un determinato ospedale non esegue prestazioni di alta complessità non deve scattare immediatamente il giudizio negativo (spesso anche da parte del personale sanitario!) nella convinzione che solo un’organizzazione in grado di affrontare patologie complesse può raggiungere livelli di eccellenza.
Tale convinzione, infatti, è quanto mai errata perché proprio i centri ospedalieri dediti all’alta complessità non dovrebbero impiegare tempo, risorse ed organizzazione per rispondere alla media e minore complessità. Come pure il contrario.
E’ questa la “rete ospedaliera” diversificata che assicura i migliori risultati per l’utenza, la migliore qualità delle prestazioni e, in sintesi, la richiamata tutela della salute. Non ultima la migliore allocazione delle risorse.
Fabio Florianello
Segretario amministrativo Anaao Assomed, Lombardia
23 aprile 2013
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